Questo è un libro chimera, un libro ibrido e irreale. Un libro più volte ristampato e poi scomparso, per poi riapparire sotto altra veste. Per molti è il libro dei libri. Quello, il solo, che possa competere con Hypnerotomachia Poliphili, stampato da Manuzio nel 1499.

Anche il Codex ha avuto un grande editore. Quel Franco Maria Ricci, editore di una volta, capace di affidare una collana a Jorge Luis Borges, quella Biblioteca di Babele inaugurata nel 1975 con Le morti concentriche di Jack London.

Alla fine, dopo pubblicazioni d’arte e letterarie di gran pregio, forse perché incapace di liberarsi dell’influsso del grande scrittore argentino, Ricci s’è messo a progettare labirinti e ha costruito il Labirinto della Masone, a Fontanellato in provincia di Parma, che risulta essere il più grande del mondo nel suo genere.

Si narra che Luigi Serafini, dopo aver generato il Codex, tra il 1976 e il 1978, si fosse appostato sotto l’ufficio della casa editrice di Ricci, a Milano, con in mano una fotografia dell’editore, per poterlo riconoscere e mostrargli le tavole del Codex, che contengono più di mille illustrazioni.

Alla fine Serafini incontrò Ricci e quest’ultimo fu subito entusiasta del Codex. La prima edizione, quella del 1981 pubblicata nella collana I segni dell’uomo, era in due volumi. Due anni dopo è stato pubblicato a New York, dalla Abbeville Press (da cui sono tratte le immagini che seguono). Dal 2006 Rizzoli ha ripubblicato il libro in varie edizioni successive, fino all’ultima del 2013.

Ma cos’è il Codex Seraphinianus?

Fondamentalmente è un’Enciclopedia Onirica dell’Impossibile. Scritta in una lingua inventata, o non ancora adottata da nessun popolo di cui si abbia contezza. Un libro che in pratica aspetta ancora una traduzione, o addirittura la scoperta della sua Stele di Rosetta.

E dentro c’è di tutto…

C’è una sezione in cui vengono descritti, analizzati e catalogati fiori, ortaggi e tuberi mai finora visti in natura:

In un altro capitolo viene descritta una nuova forma di riproduzione degli alberi, che a volte si dividono a metà, altre volte escono dalla loro sede e camminando sulle radici vanno a gettarsi in acqua, come le anguille, per cercare un posto tranquillo dove amoreggiare e morire:

La tavola più famosa del Codex è questa, e non ha bisogno di spiegazioni, perché da sola spiega non solo la magia di tutto l’intero libro, ma quello che può accadere sfogliandolo o se per sbaglio capitasse d’inciamparci e di finirci dentro, così come si finisce per cadere nel tranello di un’ossessione che ci tolga la ragione di vivere logicamente:

Ma il Codex non finisce qui, anzi forse non finisce mai.

Dentro ci sono sedie che nascono come alberi dalla terra; fiori che una volta spetalati soffiandoci all’interno dall’estremità del gambo si gonfiano come palloncini e ti portano via; strane lucciole che riempiono le lanterne per illuminare le strade e altri insetti colorati che compongono arcobaleni.

Pesci con una scopa al posto della pinna caudale o con la coda di cavallo (fermata con un fiocco); pesci con un occhio disegnato sul fianco e la coda all’in su come un sopracciglio, che quando s’incontrano, forse per baciarsi, sulla superficie dell’acqua sembra che ti guardino, simili all’uccello pihi di Apollinaire:

«Dalla Cina son giunti i pihi lunghi e agili
Che hanno un’ala sola e volano a coppie»

Cervi con corna ramificate e foglie; rinoceronti con il corno unito alla coda, a formare un arco dove si posano gli uccelli e si appendono le scimmie e altri esseri strani, tra l’omuncolo e lo gnomo, come gomitoli con le gambe che se ne vanno uniti per un filo o omini ombrello che si aggirano per le strade sotto la pioggia.

Un vero e proprio trattato alternativo di fisiognomica universale e un manuale di calligrafia di questa stessa scrittura assurda e fantasiosa; improbabili cartine geografiche di qualche luogo non localizzato e ricette con ingredienti incomprensibili e disegni dei piatti, ritratti in ogni minimo particolare.

Un progetto ambizioso, inerente al tempo stesso all’ittica e all’idraulica, per far fuoriuscire il pescato direttamente dai rubinetti di casa e dei figurini di moda raffiguranti i vestiti e gli accessori di qualche specie apparentemente extraterrestre e un immancabile manuale dei tarocchi con tanto di riproduzione dell’intero mazzo di carte, per prevedere il castello dei destini incrociati nel labirinto dei sentieri che si biforcano.

Minerali fantastici descritti minuziosamente (sempre in quella lingua illeggibile di cui si diceva); fuochi sotto alambicchi e serpentine che distillano strani liquidi e sezioni di materia variopinta esposte sui vetrini dei microscopi. Popoli esotici raffigurati nei loro tipici indumenti e abitazioni. O l’uomo moderno, proprio lui, con la faccia a banderuola che gira nel vento.

E ancora città-labirinto costruite sull’acqua e tutta una topografia di metropoli utopistiche nella sezione dedicata all’architettura e all’urbanistica; catapulte infernali e altri strumenti leonardeschi; macchine escheriane che producono camicie e stoviglie; barche a vela azionate con grossi mantici e aerei per produrre baleni di varie forme, dato che il solito arco ci è venuto a noia.

Vademecum su come utilizzare le ossa umane: per fare zuppe o costruire antenne; protesi futuristiche per avere la mano a martello o a penna stilografica e delle ruote di bicicletta al posto dei piedi; finchè ad un tratto una pagina si alza come un sipario e sotto c’è un memento mori.

Insomma. Un libro che non si può descrivere, ma solo sfogliarlo, leggerlo? Anche leggerlo, perché no, e scrutare ogni dettaglio di queste 360 tavole con la lente d’ingrandimento dell’immaginazione, per amplificare le chimeriche meraviglie scaturite dalla rigorosa fantasia, surreale e classificatoria, di uno dei più grandi artisti del nostro tempo.

Luigi Serafini
Codex Seraphinianus
Rizzoli
2013