Il libro di un pazzo di Giovanni Antonelli è apparso per la prima volta nel lontano 1892 e l’anno successivo è uscita una seconda edizione, leggermente modificata. Da allora è stato un libro disperso. Un libro inopinatamente caduto nell’oblio. Finché quest’anno gli editori Giometti & Antonello non l’hanno ripescato dall’abisso di dimenticanza nel quale giacciono innumerevoli opere e anche qualche capolavoro.

Giovanni Antonelli è stato scrittore e poeta, ma le vicissitudini della sua vita turbolenta ed errabonda, che ricorda da vicino le vicende di Dino Campana, l’hanno fatto entrare e uscire da carceri e manicomi per tutta la sua avventurosa esistenza.

Lo stesso Cesare Lombroso, riconoscendone meno la straordinarietà che la pazzia, gli dedicherà un intero capitolo del suo Genio e follia (1882), scrivendo: «Antonelli è una mezza celebrità letteraria nelle Marche, benché i suoi versi, già editi, non passino la mediocrità, e meglio valga la sua autobiografia».

Giudizio impietoso al quale Antonelli risponderà nell’introduzione del suo libro, usando in risposta le stesse armi del Lombroso, che in questo brano gli si rivoltano contro:

«E se è vera la scala fabbricata dal prof. Lombroso e compagni, quella cioè che dall’anomalo, dall’esaltato, dall’originale, dall’eccentrico va sino al matto, Lombroso che conosce così bene la materia, sarà per certo a capo di essa scala. Difatti, egli nel corso di sua vita, avrà voluto appagare molti suoi desideri bizzarri, sarà quindi mattoide; avrà avuto qualche momento di mestizia, sarà quindi lipemaniaco; avrà creduto che altri non riconosca i suoi meriti letterari e scientifici, sarà quindi delirante di persecuzione; vorrà scriver sempre e non saranno i suoi scritti tutta farina del suo sacco, sarà dunque kleptografomane; crederà alla propria infallibilità nella sua qualifica di pontefice della scuola psichiatrica, sarà dunque megalomane; sognerà pazzi dappertutto, ed eccolo anco allucinato»

Nella stessa introduzione, sempre per scagionarsi da questa nomea di pazzo da catena che gli avevano affibiato il Lombroso, il professor Morselli e altri medici che l’Antonelli ha incontrato sulla sua strada, cita L’elogio della follia di Erasmo da Rotterdam per generalizzare la sua condizione:

Una gabbia di matti è il mondo tutto

E il poeta Giuseppe Giusti, quando disse che:

Ognuno è matto alla sua maniera

Così egli stesso battezzerà queste sue note autobiografiche nominandole Il libro di un pazzo, perchè riteneva di dover portare, suo malgrado, il titolo affibbiatogli di pazzo, così come altri portano il titolo di cavaliere, con ugual merito nell’uno e nell’altro in quanto:

«Purtoppo è più pazzo degli altri e degno di star tappato in un manicomio speciale, segregato, cioè, dall’universale, quegli che vola alto, sublime, lasciandosi dietro con un palmo di naso la mediocrità rancida, oltracotante de’ così detti savi che s’impone e vuole il primato ad ogni costo»

Dopo di che dedica questa sua autobiografia romanzesca «agli oppressi, perché depongano l’angoscia e ridano con amarezza di una società perfidamente ridicola nel suo tono di prosopopea», dalla quale Antonelli si sentiva braccato e perseguitato.

E la dedica continua inglobando «gli alienisti, perché afferrino un nuovo dato per elevare sull’arena i loro fantastici castelli», sottolineando di nuovo il giudizio negativo nei confronti degli psichiatri da strapazzo.

E infine la dedica si allarga «agli imbecilli, parassiti dell’ingegno altrui, perché si dieno il lusso, il piacere di una criticuzza di più», riferendosi ai critici del suo tempo che non compresero il suo genio, decretandone un secolo e un quarto di oblio.

Per non rientrare in quest’ultima categoria, sarò quindi clemente con quest’opera di Giovanni Antonelli. Un’opera che sorprende per la sua freschezza e per la modernità della prosa che assomiglia a tratti a Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo.

Ma le avventure dell’Antonelli sono ancora più fantastiche e picaresche di quelle del Nievo. C’è veramente una vena di pazzia, almeno in quell’eccesso di megalomania con cui l’autore ammanta le sue traversie passate per terra e per mare, trasfigurando una quotidianità fatta di stenti, abusi, carceri e manicomi, in un’odissea drammaturgica ed epica.

Il libro di un pazzo infine, oltre alle sue memorie, contiene anche un florilegio delle sue poesie, per lo più sonetti nei quali passa dal suo Autoritratto alla descrizione di Un pretaccio vampiro, non tralasciando l’accusa all’Infamia sbirresca fino all’ennesima, lucida condanna della figura del Criticuzzo, che l’ha condannato alla dimenticanza:

Chiamatemi pur matto da catena,
Quanto vi piace, o svergognati, o inetti;
dite pur ch’è selvaggia la mia vena,
che son roba da chiodi i miei sonetti:

ma non sperate già di darmi pena
co’ vostri insulsi e limacciosi detti;
non lo sperate già… la pelle appena
mi sfiorano le ingiurie degl’insetti.

I rari onesti e saggi del paese
Mi renderan giustizia, poi che sanno
Contro chi scaglio le mordaci offese.

Pietà mi muove del comune affanno
A fulminar le vostre infami chiese,
fonti perenni di nefando inganno.

Giovanni Antonelli
Il libro di un pazzo
Giometti & Antonello
2016