La volta celeste della storia della letteratura è costellata di clamorosi rifiuti editoriali. Più o meno famosi. In Italia è celebre quello di Elio Vittorini che fece, non si sa se per viltade, il gran rifiuto, non inserendo nei suoi Gettoni il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Rifiuto che Vittorini espresse per ben due volte: come consulente di Mondadori e l’anno dopo come curatore della collana per Einaudi.
E Guido Morselli? Nel 1974 Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera scriveva:
«La prima tentazione è di dire che c’è stato anche un Gattopardo del Nord. Viveva in luoghi profondamente lombardi, tra Gavirate e Varese. Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. È morto il 31 luglio del 1973, nella sua casa di Varese. Adesso esce un suo romanzo, Roma senza Papa, pubblicato dalla Adelphi, e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile»
Recentemente c’è la storia letteraria a lungo sotterranea di Antonio Moresco, a rimarcare la cronologia dei grandi rifiuti. Lui che per anni non ha trovato un riscontro editoriale per la sua vena creativa e che ha finito per capire che: «La letteratura è piena di rapporti personali, esaltazioni, sogni, illusioni, cenacoli, schieramenti, cricche, congreghe», come ha potuto constatare definitivamente quando ha partecipato al Premio Strega.
Nel mondo editoriale tutti sapevano che c’era Moresco “in fondo al pozzo”, là sotto, nei sotterranei e nelle fogne, tra i reietti e gli impubblicabili, a volte per demeriti letterari e carenze di scrittura (la moltitudine di quelli che hanno un libro nel cassetto ed è meglio che rimanga là, al buio e chiuso a chiave), ma spesse volte per scelte altre, che seguono le logiche politiche o della moda imperante.
La vicenda di Goliarda Sapienza è per certi versi molto simile a quella di Antonio Moresco. E per lo più legata alla sfortuna editoriale del suo unico romanzo di pura narrativa L’arte della gioia, al punto che il marito, Angelo Pellegrino (Vero angelo custode per Goliarda), partendo dalle lettere editoriali e da alcuni rifiuti del romanzo da parte delle case editrici, imbastirà il libro Cronistoria di alcuni rifiuti editoriali dell’Arte della gioia (Croce Libreria, 2016).
L’arte della gioia, come spesso accade, finirà per avere successo all’estero prima di avere un adeguato riscontro editoriale e di pubblico anche in Italia, nemo profeta in patria.
Goliarda Sapienza iniziò il romanzo nel 1967 e lo terminò il 21 ottobre 1976 a Gaeta. Riuscì a farne pubblicare una parte nel 1994, nella famosa collana Millelire diretta da Marcello Baraghini. Il romanzo completo venne pubblicato solo dopo la morte dell’autrice, nel 1998, da Stampa Alternativa in un migliaio di copie (praticamente autoprodotto da Angelo Pellegrino), senza tra l’altro destare alcun interesse.
Nel frattempo Goliarda aveva pubblicato altri libri, prevalentemente autobiografici: Lettera Aperta (Garzanti,1967); Il filo di mezzogiorno (Garzanti, 1969); L’università di Rebibbia (Rizzoli, 1983) sulla sua esperienza in carcere e Le certezze del dubbio (Pellicanolibri, 1987), ma per L’arte della gioia niente, sempre e solo rifiuti.
In effetti è un libro avanguardistico e scandaloso, molto crudo e realistico, scritto in una prosa sperimentale ed evocativa, sicuramente non un libro facile e pubblicarlo sarebbe stato sicuramente un azzardo per qualsiasi editore. Eppure libri altrettanto sperimentali hanno trovato il loro sbocco editoriale, penso ad esempio a Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, pubblicato da Mondadori nel 1975.
«No, qua sto, dove vuoi che vado? Ora qua devo stare. Rassicurata chiusi gli occhi. Tina gridava e tutto il mio corpo era scosso da quei brividi che conoscevo. Poi le carezze si fecero così fonde che come faceva? Lo guardai. Mi aveva aperto le gambe e il suo viso affondava fra le mie cosce; mi accarezzava con la lingua. Certo che non potevo capire se non lo guardavo: quello io non lo potevo fare da sola. Questo pensiero mi diede un brivido così profondo che i gridi di Tina si tacquero e fui io a urlare forte, più forte di come gridava lei quando la mamma la chiudeva nello stanzino. Ero svenuta o avevo dormito? Quando aprii gli occhi c’era un grande silenzio nella chiana»
La sua “riscoperta” la dobbiamo ad una prima edizione tedesca per i tipi di Aufbau Verlag che pubblicò dapprima l’opera in due parti, nel 2005 e nel 2006, e infine l’intero romanzo in un tascabile, nel 2013. Contemporaneamente usciva anche in Francia, sempre nel 2005, per le Editions Viviane Hamy, riscontrando un grande successo di vendite. E fu solo dopo il clamore mediatico suscitato all’estero che L’arte della gioia venne pubblicata, nel 2008, da Einaudi.
In seguito Einaudi ha pubblicato tutta l’opera di Goliarda Sapienza, restituendoci una scrittrice straordinaria. Einaudi pubblicherà in seguito anche i diari e i quaderni di scrittura (circa ottomila pagine manoscritte in 40 taccuini) dell’autrice: Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989 e La mia parte di gioia. Taccuini 1989-1992, dai quali possiamo seguire come Goliarda viveva nell’intimo il rifiuto del mondo editoriale di far venire alla luce Modesta, la protagonista dell’Arte della gioia.
La prima volta che Goliarda menziona Modesta è nell’agosto del 1976, nella prima pagina del suo primo taccuino, «Ho un quadernetto per scrivere sciocchezze e no», regalatole da Angelo:
«Da quando non ho piú l’occupazione manuale di agire giornalmente i fatti e le emozioni di Modesta mi sono trovata pienamente nella mia vita, e un flusso di idee nuove, alcune precise altre meno, mi tornano a fluire nel sangue e chiedono di essere portate alla luce.
Vedo i miei atti – dopo quasi cinque anni di convivenza con Modesta – piú chiaramente, criticamente, e so che devo accingermi a un’ulteriore «rivoluzione» di tutto il mio sistema-regno fisico e mentale. So anche che mi trovo in un interregno svagato e sognante che, se è salutare per qualche mese ancora, non può durare a lungo se non voglio che questo riposo marcisca in noia e insofferenza. Ma so anche che se Modesta non prende «’a strata di fora» e se ne va a spasso a sperimentare la sua vita non mi sarà facile uscire da questo stato di riposo e attesa e serenità che ho chiamato interregno»
Poi nel novembre del 1978:
«È chiaro che quando parlo di forze contrarie indico qualcosa in me stessa o nel profondo del mio inconscio che si è rivoltato contro di me. L’arte della gioia è in lettura ma non ho notizie. Dalla partenza di Angelo, venti giorni fa, sono stata depressa come non mi avveniva da almeno dieci anni. Ho paura di me stessa, una volta o l’altra questa depressione la vincerà sulla mia volontà di vita e la farò finita»
Nel febbraio del 1979:
«Quarto giorno a Gaeta: sento di nuovo gli odori. Non sono riuscita né a leggere né a lavorare. L’ansia per la sorte di Modesta struscia molle e viscida fra le costole e il cuore, ma è giusto cosí e non la combatto. Lascio che questo serpentello o topo d’ansia spazi nel mio torace e qualche volta morda con i suoi denti la mia carne. È giusto cosí, non accettarla sarebbe malato. Si può non essere in ansia per la sorte di un lavoro al quale hai dedicato sette anni interi della tua esistenza?»
Nell’ottobre del 1979:
«Questo Mark, che qui chiamano capitan Mark, è arrivato l’anno scorso a Gaeta. Non si sa da dove. È esattamente come l’ultimo uomo di Modesta, e come se non bastasse si chiama anche Mark! Se non avessi finito già da tre anni L’arte della gioia potrei confondermi e pensare che questo Mark mi abbia suggerito quello di Modesta.
È quasi incredibile anche per me, ma è lui: Mark. Ne parlerò col tempo. Sempre che possa tornare a lavorare, lavorare, lavorare… Non voglio altro e non posso: è come una condanna.
Ricordo gli anni di Modesta come qualcosa di meraviglioso. Un sogno bellissimo. Lavorare alle sue avventure mi chiudeva in un forziere caldo adorato; stretta in quei pensieri la maledetta realtà restava distante. Maledetta realtà.
Poter tornare a lavorare senza la preoccupazione di dover pubblicare. Mi viene quasi da piangere dalla rabbia. Rabbia a volte da bambina, a volte con onde di depressione cosí forte che l’idea di lasciarsi andare in mare con due pietre in tasca mi prende forte.
Non sarò mai in grado di lottare per imporre il mio lavoro. Mai. E tutti ripetono che è importante, che si deve fare. Sarà poi vero?»
E nell’ottobre di dieci anni dopo, nel 1989:
«Cerco il modo di tagliare qualche artiglio al pensiero lucido della mia Modesta. È molto difficile, non ho mai ceduto né allo scrivere troppo né dopo a queste lusinghe dell’autocensura, ma forse per una volta devo farlo: non vorrei seppellire del tutto questa mia bimba nata morta. Fra poco sarò vecchia e lei deve vivere, anche a costo di gridare meno forte le sue istanze ribelli di vita»
Modesta accompagnerà e ossessionerà Goliarda per tutta la vita. Anche nel periodo del carcere nei suoi taccuini ci sono annotazioni che riguardano Modesta (anch’essa, nel romanzo, incarcerata per cinque anni), l’ombra mentale di Goliarda. E Goliarda confronterà la sua esperienza carceraria con quella di Modesta, come se avesse predetto la propria e traendone la conclusione di aver immaginato perfettamente come poteva essere la reclusione forzata (Ottobre 1980):
«Dormito la prima notte nella nuova cella, che in confronto all’altra che io chiamo bestiario sembra un college…
Qui le classi sono atroci, assolutamente come fuori. Altra cosa appurata in prigione per Modesta e per un futuro romanzo, Nostalgia di Pechino. Al sesto giorno (che qui diviene almeno sesto mese) sono sicura che tutti i miei temi sul carcere dell’Arte della gioia sono esatti. Meno, naturalmente, la realtà esteriore, che è cambiata e che non potevo immaginare»
Sembra che Modesta sia scaturita dalla fantasia di Goliarda per divenire la sua confidente, non un semplice personaggio, ma una persona in carne ed ossa. Che, con la sua autrice in vita, l’editoria italiana non ha voluto tenere a battesimo:
«Come sfuggire a questa legge dettata dal cinema e poi dalla televisione che porta all’amputazione? Il tempo si accorgerà di tutti questi scrittori dimezzati che usurpano la definizione di romanzieri? Io ho cercato di sfuggire a questa sorte, ma mi è costato miseria e impopolarità (anche presso gli addetti ai lavori): miseria e impopolarità che dalla fine della stesura dell’Arte della gioia mi hanno costretta a «rimettermi a correre» con romanzetti brevi. Avevo almeno due o tre storie lunghe – non dico come Modesta – ma abbastanza corpose, e invece eccomi qui con la mia vita dimezzata, non a lamentarmi, ma ad avere una rabbia in corpo da farmi venire i capogiri»
Fino all’ultima annotazione che si trova nel marzo del 1991:
«Bene: tutte le ideologie falliscono, Modesta lo sa. Lo so bene anch’io, che mi ritiro nel mio campicello volteriano dove cercherò di lavorare al mio lavoro e morire con dignità: non voglio altro»
Goliarda Sapienza moriva a Gaeta il 30 agosto del 1996, mentre Modesta, concepita nel 1976, vedrà finalmente la luce, dopo lunga ed estenuante gestazione, solo nel 1998…
Goliarda Sapienza
L’Arte della Gioia
Einaudi
2008
Goliarda Sapienza e Angelo Pellegrino
Cronistoria di alcuni rifiuti editoriali dell’Arte della gioia
Croce Libreria
2016
3 commenti
Ma dia, pensa che unendo la mia libreria con quella di mia moglie ci siamo accorti che avevamo questo libro entrambi 🙂
Gentile Matteo,
grazie per questo articolo ben argomentato, ricco di riferimenti ai Taccuini.
Mi piace pensare che se un libro è destinato a brillare, prima o poi succederà, a dispetto dei rifiuti editoriali.