Immaginate che il vostro vicino di casa scompaia improvvisamente. O meglio, che sia sempre lui, ma ad un certo punto, aprendo la porta è un’altra persona: si presenta con un altro nome, ha cambiato modi, personalità, ma non l’aspetto esteriore, in una parola che, per motivi ignoti, abbia assunto un’altra identità.

Nella storia millenaria della letteratura c’è anche un caso del genere.

È il caso di Hölderlin che all’improvviso diventa Scardanelli.

Un giorno Hölderlin scomparve nel nulla. Al suo posto, così come dal nulla è apparso Kaspar Hauser, comparve un certo Scardanelli. Non è un caso di pseudonimia, ovvero che Hölderlin abbia assunto volontariamente uno pseudonimo artistico, è proprio il caso di uno scambio d’identità, anche letteraria.

Si sono avanzate numerose ipotesi riguardo a questo cambio di personalità. La più accreditata vuole che si trattasse di una grave forma di psicosi, ovvero la schizofrenia, forse provocata o comunque favorita dalla morte prematura e improvvisa della sua amatissima Diotima, come il poeta chiamava Susette Gontard.

Un recente saggio di Francesco Roat intitolato Il cantore folle. Hölderlin e le Poesie della Torre (Moretti & Vitali, 2016), abbraccia l’ipotesi della schizofrenia, sottolineando però come le poesie scritte da Scardanelli siano di una sorprendente levità e felicità espressiva. Quasi che avesse raggiunto la Vollkommenheit, la “perfezione” cui fa cenno l’ultima splendida poesia del “cantore folle”, La veduta, scritta da Scardanelli solo qualche giorno prima della morte (mentre Hölderlin era già scomparso da tempo):

Quando la dimorante vita degli umani va lontano,
dove lontano brilla il tempo della vite,
lì appresso è pure il campo vuoto dell’estate,
il bosco appare nel suo scuro tono.

Che natura completi il quadro delle stagioni,
ch’essa ristia, quelle scivolino via velocemente,
viene da perfezione; allora la sommità del cielo
splende agli umani qual fiorame che alberi incoroni.

Firmata «Con umiltà, Scardanelli, 24 maggio 1748». Anche se in realtà fu scritta nel 1843.

Il poeta ha perso la ragione. Il grande amico di Schelling ed Hegel, frequentati nella giovinezza allo Stift di Tubinga, verrà rinchiuso per 36 anni in una torre sul fiume Neckar, dove i familiari di Hölderlin andranno a trovare il loro caro, trovandosi però di fronte un delirante Scardanelli, che a sua volta scrive poesie.

Testi di una semplicità e trasparenza tali da corrispondere perfettamente a ciò che Roman Jakobson, nel suo saggio sull’afasia, chiama “disturbo della contiguità”, ovvero la perdita totale di una percezione soggettiva soppiantata dalla perfetta aderenza all’osservazione dettagliata della realtà esterna. Come sottolineato anche da Camilla Miglio in Afasia e Assenza: Hölderlin e Celan (saggio compreso in Il turbamento e la scrittura, a cura di Giulio Ferroni, Donzelli, 2010).

Sono poesie molto più brevi di quelle di Hölderlin e anche più semplici, ma altrettanto intense. La sintassi delle Poesie della Torre si fa talvolta eccentrica e in alcuni casi la strofa rischia fortemente d’incappare nell’incoerenza grammaticale. Alcune poesie sono siglate con il nome di Scardanelli, ma portano date incongrue, come abbiamo visto: una di queste ad esempio reca la data assurda e inquietante del 1943…

Il libro disperso che presentiamo oggi è appunto Poesie della Torre, edito da Feltrinelli nel 1993, a cura di Marianne Schneider e con la traduzione di Gianni Celati. Un libro che rimane a testimonianza di come a volte si possa obnubilare la ragione e possano venir meno le facoltà intellettive, senza per questo che ne venga intaccato il talento.

Come accade per certi “idioti sapienti”, affetti dalla sindrome del savant, che nella loro pazzia sanno compiere a mente complicati calcoli aritmetici o quelli che disegnano una cattedrale in ogni minimo pinnacolo e gargoyle, avendola vista una sola volta o che sanno riprodurre un’intera sinfonia, orecchiata di sfuggita dalle finestre aperte di un conservatorio.

Allo stesso modo Scardanelli continuò a strimpellare per 36 anni al pianoforte, con grande disappunto del falegname Ernst Zimmer, che lo aveva in custodia, ma anche a comporre poesie immortali che nulla hanno da invidiare a quelle di Hölderlin, a testimonianza del suo “folle talento”.

Friedrich Hölderlin
Poesie della Torre
Titolo originale: Turmgedichte
Traduzione di Gianni Celati
Feltrinelli, 1993