Pigmalione aveva visto le Propetidi vivere questa loro vita colpevole e, indignato dai difetti di cui la natura aveva abbondantemente dotato la donna, aveva rinunciato a sposarsi e passava la sua vita da celibe, dormendo da solo nel suo letto.

Questo l’inizio del mito di Pigmalione narrato da Ovidio nel X libro delle Metamorfosi (vv. 243-297), questo l’inizio di una storia d’amore apparentemente impossibile.


Pigmalione è un abile scultore di Cipro. Nell’incapacità di trovare una donna degna del proprio amore e di fronte alla lascivia delle donne della propria isola (le Propetidi appunto, che hanno oltraggiato la divinità di Venere prostituendosi), Pigmalione rifugge il matrimonio e dedica la propria vita alla solitudine. Decide quindi di modellare una statua, chiamata Galatea, che incarni il proprio ideale di donna e di cui si innamora (vv. 247-258):

Grazie alla felice ispirazione dettatagli dal suo talento artistico, scolpì in candido avorio una figura femminile di bellezza superiore a quella di qualsiasi donna vivente e si innamorò della sua opera […] Spesso allunga le mani verso la sua opera per accertarsi che si tratti di carne o di avorio. La bacia e gli sembra di essere baciato, le parla, la stringe e crede che le sue dita affondino nelle membra che tocca: teme perfino che per la pressione spuntino dei lividi sulla pelle.

Pigmalione colma la statua di tenerezze: le porta doni, la veste e la orna con orecchini e anelli. La chiama sua amante e la adagia sul letto per farla riposare. Prega gli dei di farla diventare sua sposa. Venere coglie la supplica e il desiderio di Pigmalione diviene realtà (vv. 280-294):

Pigmalione, non appena torna a casa, si reca dalla statua della fanciulla e sdraiatosi sul letto accanto a lei, prende a baciarla; gli sembra incontrare qualcosa di tiepido. Di nuovo accosta la bocca e le tocca il petto con le mani: al tocco l’avorio si ammorbidisce, deponendo la sua rigidità; […] il giovane resta attonito, quasi si lascia andare alla gioia ma teme di ingannarsi: pieno d’amore torna a toccare più e più volte l’oggetto dei suoi desideri: è proprio un corpo vivo! Le vene pulsano sotto la pressione del pollice […] Finalmente preme le sue labbra su una bocca vera e dà dei baci che la fanciulla sente: ella timidamente leva verso di lui lo sguardo e ai suoi occhi appare contemporaneamente la visione del cielo e quella dell’uomo che l’ama.

Il mito di Pigmalione è sicuramente uno dei più raffinati racconti delle Metamorfosi: in poco più di cinquanta versi (vv. 243-297) Ovidio riflette sul significato dell’arte e dell’amore con uno stile delicato ma mai eccessivo. Diversamente da Narciso, punito dagli dei per essersi innamorato del proprio riflesso, Pigmalione incorre nella grazia divina. Nella brama smaniosa nutrita per la propria opera, l’artista rifugge ogni eccesso, ogni furor insano ed empio. Egli rifiuta la realtà, preferendo la propria creazione artistica e la sua perfezione.

Pigmalione evade consapevolmente da una realtà sconsolante e tetra: la sua arte non è più mimesis, ma creazione ex novo di un ideale, che l’artista sceglie di vivere abbandonandosi alla sua illusione, ma anche godendo della sua perfezione. Da artifex, artista, Pigmalione scardina il concetto estetico di arte antica e, senza imitare la realtà, asseconda un’esigenza tutta interiore e crea un amore puro e incontaminato, in cui l’arte supera la realtà per bellezza e completezza.

La narrazione ovidiana è l’attestazione più antica che possediamo del mito di Pigmalione. Dopo Ovidio parlano di tale personaggio anche due padri della chiesa, Clemente Alessandrino e Arnobio. Questi citano il mito in chiave cristiana e critica, mostrando di quali empietà il culto pagano fosse fautore. Clemente e Arnobio individuano esplicitamente la propria fonte comune in un autore di età ellenistica, Filostefano di Cirene, autore di una raccolta di mirabilia (“fatti prodigiosi”) dal titolo Sugli eventi straordinari accaduti a Cipro. Si pensa che lo stesso Ovidio abbia attinto a tale raccolta come fonte.


L’amore di Pigmalione per la statua (agalmatofilia) non rappresenta un unicum all’interno della cultura antica. Come attestano Eliano nella Storia varia e Ateneo nei Deipnosofisti, l’attrazione irrazionale per le statue coglieva paradossalmente diversi individui. Ma il racconto ovidiano rivela la propria originalità all’interno di una tematica diffusa. Molti di questi stravaganti amori erano rivolti a immagini di dee, considerate sacre quanto la stessa divinità. La loro profanazione comportava un’esclusione dalla società. Nel racconto di Filostefano, infatti, Pigmalione è indicato non come un semplice scultore, ma come il re della stessa Cipro, innamoratosi della statua di Afrodite a tal punto da volersi unire alla statua della stessa dea. Il Pigmalione ovidiano, pur ispirandosi al personaggio della tradizione, se ne differenzia. Il suo amore è rivolto, infatti, a una donna ideale e alla statua dedica attente cure, che mai si mutano in attenzioni sessuali. Ovidio ha quindi laicizzato il mito, trasferendolo dalla sfera sacrale della tradizione a quella prettamente umana tutta ovidiana.

Citazioni tratte da Ovidio, Le Metamorfosi, Bur, 2010, traduzione a cura di Giovanna Faranda Villa.

In copertina Franz von Stuck, Pigmalione, XIX secolo.