Ne La vita è sogno di Calderón de la Barca il protagonista, Sigismondo, s’interrogava sull’impossibilità di distinguere i sogni dalla veglia. Del resto anche nel celebre aforisma Zhuangzi al suo risveglio si domanda se era lui a sognare la farfalla o la farfalla che sta sognando Zhuangzi?

Componibile 62 è al tempo stesso sogno e realtà.

È il sogno del capitolo 62 di Rayuela. Infatti in quel romanzo (tradotto in Italia come Il gioco del mondo) si narra di come lo scrittore Morelli «una volta pensò un libro che non andò oltre a delle annotazioni sciolte». Componibile 62 è appunto quel romanzo, lasciato allo stato di bozze da un personaggio in un libro precedente.

E al tempo stesso, oltre ad essere il sogno di un altro libro, riprendendo l’insegnamento surrealista, si compone come di molteplici «infra-realtà», in cui la vita evidente e la vita segreta, il significato ordinario e il significato idiosincratico, il senso comune e l’assurdo associativo continuano a scambiarsi di posto.

Componibile 62 fu pubblicato per la prima volta in Italia da Einaudi nel 1974 e ora finalmente ristampato da SUR, sempre nella traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini.

Un libro che fuoriesce dall’ordinazione di un cliente al cameriere, come la Recherche dal morso di una madeleine. L’ordinazione di “Un castello insanguinato” mette in moto tutto un meccanismo di ricordi e di rimembranze, che si sovrappone alle sensazioni e agli stimoli ricevuti dall’esterno. Un conflitto dentro/fuori che è in fondo l’esistere.

Componibile, suggerisce il titolo, come fosse un modello da montare, non un libro ma un mobile Ikea. Comunque diversamente da Rayuela. Là il lettore aveva due opzioni per leggere il romanzo. La prima: lo si legge come abitualmente si leggono i libri, e finisce con il capitolo 56. La seconda: lo si legge cominciando dal capitolo 73 e seguendo l’ordine indicato a piè pagina d’ogni capitolo, quindi saltando da un capitolo all’altro.

Scrivere è mettere ordine. Raccontare è ordinare gli eventi distinguendo i fatti dalle emozioni che hanno suscitato, in genere. Cortázar vuole invece riprodurre il magma che si affastella dentro di noi nell’attimo presente. Ma lo fa dal futuro, raccontando l’accaduto. Ecco perché questo libro è componibile, perché l’autore non ha scelto una linea guida per raccontare i fatti, o i sogni.

Diversamente da Joyce, di cui Orwell, Nel Ventre della Balena, diceva che ha scoperto un continente intero dentro di noi e ha voluto farlo emergere, quest’Atlandide sommersa di inconscio e pensieri fugaci e sensazioni che affollano l’io e l’attimo:

«Egli ha osato – perché è una questione di audacia quanto di tecnica – esporre l’imbecillità dell’intima mente, e così facendo ha scoperto un’America che era sotto gli occhi di tutti».

Cortázar non è così estremo come Joyce. Vuole portarci per mano lungo questo continente, non ce lo sbatte in faccia allo stato brado, ma ci spiega, cercando di spiegarli anche a se stesso e al proprio personaggio principale, i meccanismi che formano e informano la coscienza.

Lo dice all’inizio:

«Ma in fondo so che tutto è falso, che sono ormai lontano da ciò che mi è appena capitato e che come tante altre volte si risolve in questo inutile desiderio di capire, non badando forse al richiamo o al segno oscuro della cosa medesima, all’inquietudine in cui mi lascia, all’istantanea dimostrazione di un ordine diverso in cui irrompono i ricordi, potenze e segnali tesi a formare una folgorante unità che si scompone proprio nell’istante in cui mi abbatte e mi strappa da me stesso. Adesso tutto questo non mi ha lasciato che curiosità, l’antico topico umano: decifrare».

Un libro anche filosofico se vogliamo, ermeneutico, nella sua ricerca di uscire dalla forma classica del racconto, per lanciarsi in un tentativo altro, più realistico paradossalmente, perché più attinente ai meccanismi reali dell’esistere. Non a caso all’inizio è citato anche Michel Butor, in quell’atmosfera di sperimentalismo che sfociava in quegli anni nel nouveau roman.

Eppure, nonostante questo sottofondo solipsistico e raziocinante, Cortázar è sempre lui. Un grande affabulatore, come lo conosciamo nei racconti, dove c’è sempre un altrove, un personaggio che vive a cavallo di un mondo moderno e di un mondo ancestrale. Personaggi che rimangono in mera contemplazione o che vengono sopraffatti dall’altro lato. In questo caso quell’altrove, quell’inquietante e indecifrabile zona d’ombra, è dentro di noi.

Permane allora il dubbio iniziale. Siamo noi a sognare di leggere il libro di Cortázar o è Cortázar che ha sognato di scrivere il libro e i suoi futuri lettori? Ci sembra dire che esistere non è che convergere nello stesso sogno…

Julio Cortázar
Componibile 62
62. Modelo para armar
Traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini (rivista da Giulia Zavagna)
SUR, 2015