Ermanno Cavazzoni con il suo fare sempre un po’ stravagante ci racconta di quando c’erano questi eremiti, che vagavano per il deserto o che se ne stavano immobili su una colonna, in muta preghiera. In una sorta di abnegazione totale erano in costante contemplazione di Dio. Erano come degli atleti, di una gara di resistenza, di una disciplina che non esiste più.

Cavazzoni prende testi di San Girolamo e di Atanasio, tradotto da Evagrio di Antiochia; attinge dalla Historia monachorum di Rufino da Concordia o dalla Historia Lausiaca scritta da Palladio; Si rifà a Teodoreto di Ciro e alla sua Historia philothea; prende tutti questi testi storici e ce li racconta da par suo.

Il libro è diviso in tre parti, perché tre sono le tipologie di eremiti che Cavazzoni ci descrive, come se fossero tre discipline diverse dello stesso sport estremo. Ci sono infatti i Primi eremiti, gli eremiti d’Egitto e di Palestina e gli eremiti di Siria, quest’ultimi a loro volta suddivisi in quattro sottoinsiemi.

Gli eremiti di Siria sono infatti i più strambi e i più tenaci:

Numerose le stravaganze, specie negli eremiti siriani, che si davano regole particolari: c’erano i cosiddetti ìpetri, che non avevano tetto e vivevano all’aria (ipo-aithra), al sole e alla pioggia. Gli stiliti, in piedi su una colonna (stylos). Gli stazionari, immobili in una posizione, con pesi e catene addosso. E i reclusi, costretti in una tomba, in una cassa o in una cavità

Gente strana, come i primi eremiti, Paolo e Atanasio, che a un certo punto sentivano la chiamata, una sorta di voce interiore che li spingeva a lasciare tutto e ad andare raminghi nel deserto alla ricerca di Dio. E lo cercavano nelle grotte e nelle spelonche, oppure restavano immobili, più devoti e tenaci che pigri o furbi, e aspettavano che fosse Dio ad andare da loro.

E a quel tempo ad attenderli nel deserto c’erano legioni di demoni e diavolazzi arrabbiati, che gliene combinavano di tutti i colori. Magari armati di raganelle e trombe da stadio. O che si mettevano a percuotere intere batterie di pentole per tutta la notte, solo per non farli dormire. Quegli eremiti, che già di loro sentivano le voci degli angeli e dei profeti.

Adesso sarebbe impossibile fare così, prendere e andare. Impossibile avventurarsi nel deserto per uno sport così estremo senza avere almeno uno sponsor tecnico e un minimo di preparazione atletica. I demoni stessi se ne sono andati tutti in pensione, un po’ stanchi di questi eremiti immobili che non rispondevano alle provocazioni e un po’ disoccupati, ché al massimo nel deserto ci si avventura qualcuno in camper al fine settimana o qualche troupe televisiva per girare un documentario.

I tempi sono cambiati.

San Girolamo racconta che Paolo, avventuratosi nel deserto, aveva incontrato ippocentauri, esseri mezzo uomini e mezzo cavalli o fauni, uomini col naso a becco, in fronte due corna appuntite e le gambe che finivano in un piede di capra. Tutti esseri ormai estintisi, esseri favolosi che se ne sono andati dal nostro immaginario insieme all’innocenza primordiale dell’uomo.

Antonio invece, una volta sentito le voci e inoltratosi a sua volta nel deserto, era stato accolto da demoni amanti dei travestimenti, dei veri e propri trasformisti, che cambiavano foggia e sembianze. Prima si erano presentati sono forma di bimbo negro, un po’ depresso e senza più nessuna pretesa e Antonio nottetempo si nascose in una grotta.

Lì lo sorprese una paranza di demoni dediti al bullismo, peggio di un commando di Gomorra, la serie TV, e lo conciarono per le feste. Il giorno dopo, questi demoni fantasiosi, nel pieno della loro attività professionale, si trasformarono in animali selvatici, in bestie feroci, e cercarono di nuovo di spaventare Antonio, perché abbandonasse il suo eremitaggio e tornasse nella schiera degli altri uomini, corrotti e vili.

Infine si presenta Satana stesso, consapevole di essere di lì a poco relegato al dietro le quinte della storia e delle sagrestie. Più dimenticato che evocato. Se la prende con gli eremiti, gli atleti vittoriosi di questa insolita disfida religiosa, dove in palio c’erano le anime degli uomini. Tutti ignari che alla fine avrebbe vinto il consumismo e la pubblicità:

Sono Satana. Perché tante lamentele contro di me dagli eremiti? Perché mi maledicono ogni momento? – È perché li molesti – Non sono io, sono loro che si conturbano. Io sono debole ormai, non ho più un posto, non ho più frecce, non ho città, sono tutti cristiani, e i deserti sono pieni di eremiti. Che badino a sé, gli eremiti, e non mi maledicano invano

Un libro divertente, ma anche istruttivo, questo di Cavazzoni. Dipende dai punti di vista.

Perché se gli eremiti sono scomparsi, insieme ai demoni che li infastidivano e ad altri esseri fantastici, è anche vero che nella società moderna, persi nel deserto delle metropoli, infastiditi da jingles di spot e da suonerie di smartphone, è forse ancora possibile ritagliarsi un angolo di paradiso e pensare a Qualcosa di più grande di noi, chiamandolo come più ci pare e piace, per riscoprire la spiritualità perduta e quelle tecniche per metterci in contatto con l’altro.

P.S. Se si vuole andare sul sicuro nella scelta di un libro basta pescare alla cieca nella collana Compagnia Extra dell’editore Quodlibet. Oltre a Mosca-Petuškì, ristampato di recente con la traduzione di Paolo Nori o a Dino Baldi con le sue Vite efferate di Papi, continuando a compulsare il catalogo incontriamo altre prelibatezze, altre anomalie.

Ermanno Cavazzoni
Gli eremiti del deserto
Quodlibet
2016