Roma, 16 marzo 1978, ore 9:00 circa: la Fiat 130 blu con a bordo l’onorevole Aldo Moro e l’Alfetta bianca della scorta al seguito vengono bloccate in via Fani da uomini appartenenti alle Brigate Rosse i quali, dopo aver ucciso gli agenti della scorta, fuggono con il presidente della Democrazia Cristiana loro ostaggio verso il covo designato. Nel corso dell’agguato, 49 colpi, più della metà di quelli sparati nel corso dell’azione e tutti andati a segno in venti secondi, provengono da un’unica arma automatica. Resta a tutt’oggi mai chiarita la probabile presenza, assieme a brigatisti di un cecchino freddo e infallibile rimasto senza volto.

Il seguito della vicenda, proseguita con il ricatto allo Stato e conclusasi con l’omicidio dell’onorevole Moro – inviso a molti in patria (anche nel suo stesso partito) e all’estero per via dell’apertura al PCI – e il ritrovamento del corpo in via Caetani nel bagagliaio di una Renault 4 dopo 55 giorni di prigionia, è storia italicamente arcinota.

Concentriamoci invece sulle frasi sopra scritte in grassetto: nel libro “Il mio vero nome”, edito da Il Maestrale, Mauro Pusceddu, di professione magistrato, sua prima opera in solitaria dopo alcune collaborazioni, fantastica sulla fisionomia da dare a questo misterioso tiratore scelto. E ne viene fuori un (anzi due…) inquietante personaggio femminile…

Cosa accade quando un evento storico così spinoso e su cui non si è mai del tutto fatto luce, si fonde con la squallida esistenza di un avvocato di provincia tossicodipendente coinvolto in loschi traffici di droga e nella gestione fiduciaria di patrimoni illeciti? Certamente non può che esplodere una “bomba” dalla cui detonazione bisogna allontanarsi il più velocemente possibile.

Qui entra in scena Mister Poof, “che fa un mestiere strano, nuovo e straordinario: aiuta la gente a scomparire” e che ci informa, se mai avessimo in futuro, non si sa mai, necessità dei suoi servigi, che la gente sparisce per due motivi principali: soldi e violenza. Qual è il prezzo di una nuova vita? Dai 12.000 ai 20.000 dollari. Neanche tanto.

A lui si rivolge, nel suo tentativo di fuga, il già nominato pseudo-avvocato nuorese, che narra sempre in prima persona, sebbene sia curiosamente anonimo (non a caso però: la sua “vera” identità sarà quella fornitagli dal suo “creatore” mr. Poof), il quale, come in una versione moderna del pirandelliano “Il fu Mattia Pascal”, cerca di rifarsi una nuova vita. Del resto è drammaticamente umano provare la sensazione che gli errori compiuti siano ormai troppo grandi per essere riparati e che non rimanga altra soluzione se non scappare da tutto e da tutti e rifarsi una nuova esistenza altrove.

Ma da cosa fugge costui? In generale, dalla sua vita scomoda, così scomoda da far comodo ad altri avvocati, arroccati alla loro idea di dignità professionale ma con un occhio rivolto verso chi ha l’audacia di fare il lavoro sporco, tipo pedinamenti, intercettazioni abusive, corruzione; più in particolare, fugge da spacciatori ai danni dei quali ha fatto “la cresta” e che per questo lo vogliono morto; tornando all’incipit della recensione, fugge appunto dal suo coinvolgimento, recente e tutto sommato casuale nella vicenda di Aldo Moro.

“Ancora oggi penso al Caso che ti travolge. Uno sguardo di troppo, un fissare indefinito che cade sul punto sbagliato nel momento sbagliato e dal quale per giunta si traggono conclusioni sbagliate, che non ti curi di correggere, smentire. Ed è lì che la vita cambia, con una deflagrazione che apre un nuovo universo. Questo ho imparato. E mica succede secondo una volizione o una regola precisa”.

Mentre l’opera si tinge di rosso sangue, fa la sua comparsa anche una borsa appartenuta allo statista democristiano, prelevata dalle BR dalla sua auto e che nella realtà non è mai stata ritrovata. L’autore la immagina piena di documenti importanti, alcuni dei quali inerenti la preoccupazione dell’On. Moro circa l’esistenza di una struttura occulta, composta da elementi appartenenti all’Arma dei Carabinieri, anche all’interno dei Comandi regionali, avente il fine di assumere il controllo dello Stato democratico con metodi autoritari occupando una serie di obiettivi sensibili e arrestando un certo numero di persone (si suggerisce all’uopo un approfondimento sul generale Giovanni De Lorenzo e il cosiddetto Piano Solo, 1964).

Un modo originale insomma, quello di Pusceddu, di raccontare una, di sicuro non l’unica, ferita rimasta aperta nella storia della nostra Repubblica unendo aspetti storici ad una narrazione di fantasia avvincente, quasi da thriller, a tratti lineare e a tratti più complicata e zeppa di feedback.
Quando ogni cosa sembra definita, c’è un finale un po’ a sorpresa, in cui l’autore fa entrare nella trama anche sé stesso in una sorta di cameo letterario.

Autore: Mauro Pusceddu
Titolo: Il mio vero nome
Editore: Il Maestrale
Anno: 2016