Anche il solo incipit è sconvolgente. Si è catapultati in un mondo a sé, con regole proprie, fisiche e sintattiche.

Il livello della scrittura, innanzitutto. Ricercatissima eppure scorrevole. Sembra un’unica frase di senso incompiuto, che il lettore compartecipa nel trovargli altri infiniti sensi.

La narrazione passa dal discorso indiretto al discorso diretto senza soluzione di continuità, con “,” al posto delle classiche « » militaresche.

Virgole che sembrano quindi messe a caso, mentre niente è per gioco in questo libro, ma tutto studiato e puntiglioso, il che rende il tutto molto giocoso.

Assomiglia a certi pazzi irregolari francesi. Tra Boris Vian e Raymond Queneau, con la stessa surreale fantasia e giullaresca giocoleria.

Libro composto di due parti unite da un tratto a penna, un filo conduttore che assomiglia a un filo di fumo, a un leggero sciabordio di ondivaghe onde.

In alcuni passaggi si parte da “un tocco di palla”, poi c’è un’esclamazione, un’osservazione, una spiritosaggine, infine è una folla intera che commenta e si scatena:

Che gioia poi quando un tiro ad effetto, con la palla che seguitava a girare follemente come una trottola ragionevolissima, o un’entrata in scivolata, ma è fallo, ma smettila di tuffarti, il nuoto è lo sport più sano, ripeteva un genitore e assentiva un altro, sollevavano un polverone da perdercisi dentro. C’era qualcuno nel quartiere che portava avanti con strenuo idealismo la causa natatoria, anche se quelli preferivano sempre e comunque sguazzare nel fango rincorrendo un pallone

Tutto accade nella lingua, è un’avventura della parola che si fa saltimbanco, si allunga, si torce, si piega, si intreccia, si lancia, si butta, si acchiappa, fino a piombare esausta sul tappeto consunto della pagina.

Parole che faticano a rimanere nella pagina, a rispettare i margini, le virgole sono i pedoni impazziti di questa strana scacchiera, vengono utilizzate come regine e danno un nuovo respiro, più ampio, alla frase.

C’è un qualcosa di anomalo in Jo, nel protagonista, il suo sguardo assomiglia a quello di Benjy Compson nella prima parte de L’urlo e il furore di Faulkner.

Jo è un anarchico, come la scrittura che lo definisce, è un Pinocchio gettato nella vita rutilante della società contemporanea. Un Edipo Re che parte per un’avventura, eroica e meschina al tempo stesso.

Jo è fuori dagli schemi, sceglie di saltare dalla finestra, piuttosto che mangiare la minestra, e la sua avventura non può che essere raccontata con sguardo schizofrenico e non lineare.

Jo è un malandrino, un manigoldo che sfacciatamente occupa un posto a sedere su un autobus, impresa epica, da eroe antico, ma il coro tragico è contro di lui e vuole che lo si lasci libero per altri, più bisognosi e opulenti:

L’aria affollata, povera di ossigeno, cominciò a popolarsi di voci che ripetevano tutte lo stesso anomalo rosario, ritmicamente lasci il posto al signore, scandito in maniera stentorea, irregolarmente develevarsi, pronunciato di sfuggita come un segreto o un pettegolezzo. Jo, in tutta coscienza, quella poca che gli restava non divorata dallo sfinimento fisico, non avrebbe davvero saputo dire se quelle voci avessero origine soprannaturale o interregionale, se lo invitassero ad elevarsi spiritualmente o a levarsi dal cazzo

Jo è Anarchia pura. L’Anarchia dell’avventura, del pensiero e della scrittura. Si può addormentare nel deserto, dopo aver chiesto consiglio a un cammello e svegliarsi in una stampante 3d, nel bel mezzo di un tumulto popolare.

Nella seconda parte del libro incontriamo la nonna di Jo, dal nome palindromo: Hannah, che dentro la corsia di un ospedale si preoccupa per l’irrefrenabile nipote e incontra di sfuggita anche l’autore, catapultato nel racconto:

Un altro giovane sta nascosto dietro il suo blocco bianco, spazio libero per appunti, pensieri e ghirigori. Coi suoi due occhi insonni Hannah vede di sfuggita che è pieno di schizzi e disordinate parole a briglie sciolte – non c’è nessuna griglia, né righe, né quadretti, da seguire – scritte in un emozionato corsivo. La penna e la matita decrivono traiettorie che girano attorno ad emozioni e aspirazioni per poi lanciarsi dentro lo spazio immenso delle fantasticherie

Insomma un libro anomalo, denso, profondo e divertente. Un testo che risponde affermativamente all’affermazione di Kafka per la quale «se il libro che leggiamo non ci sveglia come un pugno sul cranio, perché leggerlo?». Un libro che non vi cambierà la vita, ma che cambierà comunque il vostro modo di intendere la letteratura.

Pietro Dell’Acqua
Jo va a nanna
Mincione Edizioni
2016