Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti è una storia silenziosa dell’amicizia fra due ragazzi che nasce ai piedi del Monte Rosa e della loro faticosa ricerca del proprio posto nel mondo.

Pietro, voce narrante e uno dei due personaggi principali, è un solitario ragazzino di città che trascorre le sue estati in montagna, luogo dove i suoi genitori si sono conosciuti, innamorati e sposati e dove trovano tutte le volte quella pace e serenità assenti nella vita frenetica di Milano.

Pietro eredita lo stesso sentimento, per lui il paesino di Grana ai piedi del Monte Rosa è un luogo in cui i pensieri si fanno più uniti, dove capire cosa fare e dove andare, mentre la città è il luogo della confusione.

Ogni volta che tornavo lassù mi sembrava di tornare a me stesso, al luogo in cui ero io e stavo bene.

A schiarirgli le idee e ad aspettarlo fra i 14 abitanti di Grana c’è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole, un selvaggio montanaro della sua stessa età che invece di essere in vacanza si occupa di pascolare le vacche.

L’incontro fra questi due adolescenti è anche il contatto fra due tipi di mondi: quello di Pietro fatto delle parole di Salgari e London, e quello di Bruno, protagonista in prima persona di quelle avventure che l’amico ha solo letto fra le pagine di un libro e che ha così la possibilità di vivere in lunghe esplorazioni estive tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri.

Le parole, anzi la misura delle parole, sono un elemento caratterizzante di questo romanzo, in cui si ha la sensazione che ogni aggettivo sia ponderato e sia stato pensato a lungo, in perfetta armonia con il paesaggio che descrive – un luogo fondamentalmente di solitudine, dove ci si concentra più a dialogare col paesaggio che si sta attraversando piuttosto che con la persona che ci accompagna nel cammino.

E non stupisce neppure di ritrovare un tale stile in un romanzo di Cognetti, che viene dalla scrittura di racconti, dove l’economia della parola è una cosa fondamentale e che negli ultimi anni ha scelto la montagna come dimensione prediletta per la stesura dei suoi libri.

Le parole mancano anche nel rapporto fra Pietro e suo padre, un chimico, uomo scorbutico e poco loquace, che diventa incredibilmente affettuoso quando mette piede suoi monti, accettando la richiesta del figlio di andare a camminare insieme, «la cosa più simile a un’educazione che abbia ricevuto da lui».

Se si tratta di una storia di uomini è anche vero che è tenuta insieme da una donna, la mamma di Pietro, che lavora in un consultorio di periferia e si fa carico di questi uomini goffi e orgogliosi riuscendo a tessere fra di loro delle relazioni e mantenendone gli equilibri.

Nel corso degli anni questi tre uomini infatti si perderanno e ritroveranno diverse volte e in diversi modi, riuscendo però a riannodare fili, darsi spiegazione e iniziare una vita adulta aperta a nuove destinazioni e nuovi progetti, al di là di quel paese «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l’accesso».

“Le otto montagne”, edito da Einaudi e candidato al Premio Strega, è un racconto di formazione, un grande vagabondare per poi ritornare a se stessi.

Autore: Paolo Cognetti
Titolo: Le otto montagne
Pagine: 180
Editore: Einaudi
Anno: 2016