«Era come se il sangue di Jean-Jaques Rousseau si mettesse di nuovo a colare dalle alture di Parigi, come se il sangue dei rivoluzionari non avesse mai smesso di scorrere in Francia, e le frasi che da qualche mese venivano scritte in rosso sui muri del  XX arrondissement mostrassero, con l’ovvietà di un sacrificio, una storia che continuava a essere occultata: quella di una guerra civile che attraversa le epoche e che continua ancora oggi».

Quello che Yannick Haenel ci descrive nel suo ultimo libro Le volpi pallide (Clichy Edizioni) sembra un personaggio in cerca di una storia, più che la storia di un personaggio.

Jean Deichel, “un uomo taciturno di quarantatré anni che prende il sussidio di disoccupazione e dal punto di vista sociale fa di testa sua” scivola in una voragine di solitudine, in un intervallo dalla vita che non è (ancora) morte. Si trova a passare le giornate prima seduto in un angolo del suo appartamento, poi nella sua auto, fermo per ore a fissare la misteriosa danza dei petali di un ciliegio. Sulla sua strada si palesano altre ombre che, come lui, cercano solo di esistere. Il XX arrondissement di Parigi diventa il suo piccolo mondo.

Una serata allucinata passata allo Zorba, storico locale di Belleville, ubriaco con Ferrandi (surreale artista contemporaneo diventato famoso fotografando telecamere di sorveglianza), una passeggiata, un caffé, persino il macabro incidente in cui muore un senzatetto finito dentro un trita rifiuti.

Questo l’universo in cui prende forma una sorta di totem: l’anarchia, incarnata nella volpe pallida, dio anarchico dei Dogon del Mali. La volpe pallida è il rifiuto delle regole, dei patti di convivenza, delle convenzioni. Ma è anche l’ideale punto di congiunzione tra la solitudine estrema di Jean Deichel, e un nuovo paradossale tentativo politico che passa attraverso la distruzione dell’identità dell’individuo, e, con essa, di ogni ordine costituito. Perché, se da un lato il sistema erode l’individuo e le sue libertà, dall’altro, l’unico modo per sottrarsi a questo processo è rinunciare alla propria identità, o almeno a quella riconosciuta dallo stato e dal sistema stesso.

Haenel descrive così la parabola di un uomo che all’inizio sembra capace solo di scivolare negli interstizi del vivere comune, come un rigagnolo che si va ormai esaurendo ma che non muore, e che finisce poi per ritrovarsi nella comunità delle Volpi pallide descritta come “comunità della mancanza dei limiti”–  incapace, stavolta, rinunciare del tutto a condividere il suo viaggio nell’esistenza con qualcuno.

L’incontro con Anne, la regina di Polonia, e con il Griot strappano Jean dal suo isolamento marginale, dalla sua apparente passività, e lo riportano all’azione –  sebbene un’azione distruttiva, che fa tornare in mente la grande rivolta delle Banlieue parigine – e alla partecipazione a una causa come quella degli immigrati sans-papier.

Un racconto politico, dunque, soprattutto nella misura in cui ci permette di tornare a interrogarci sul senso della politica, del vivere insieme e delle sue molteplici connessioni con l’esistenza individuale di ognuno, preso nella propria solitudine. Come a ricordare, insomma, che la letteratura serve ancora, almeno un poco, anche a questo.

Autore: Yannick Haenel
Titolo: Le volpi pallide
Titolo originale: Les renards pâles
Traduzione: Puggelli B.
Editore: Clichy
Anno: 2015