A chiunque sarà capitato di provare un’irresistibile attrazione verso una persona o un luogo pur nella consapevolezza che alla base di quel magnetismo non vi era nulla di oggettivo. Tino Mantarro nel suo “Nostalgistan” declina il concetto di relatività della bellezza e tenta di spiegare il fascino che su di lui esercita lo sfascio.


“anche se contro ogni logica dominante sono sinceramente attratto dalla poesia dell’inesatto e mi affascina questo mondo screpolato e derelitto dove ogni giorno si celebra l’apoteosi della sconfitta”.

Raggiunge ed esplora una parte del mondo su cui aveva fantasticato fin dai tempi della scuola: le mitiche steppe dell’Asia Centrale.
Si avventura attraverso i misteriosi “stan disseminati tra il Mar Caspio e la Cina, un itinerario per niente facile da percorrere. Lo scrittore milanese si ritrova infatti a fare slalom tra doganieri corrotti, guide improvvisate, strade polverose e tempistiche imprevedibili. A ciò si aggiungono tutti gli inconvenienti derivanti da una comunicazione frustrante, facilitata solo dal linguaggio universale del tifo calcistico.

Al di là dei disagi c’è però la seduzione esercitata da un territorio sconfinato, da “uno spazio pieno di vuoti” che regala un’accoglienza senza fronzoli. C’è l’emozione nel riuscire a trovare un punto di contatto con culture così variegate e diverse dalla propria.


“mi attira quest’estetica di terre in rovina, questi luoghi dissonanti, mai lindi, mai ordinari, a volte oggettivamente brutti […]. Luoghi dove nulla è a posto, dove a ogni angolo c’è qualcosa di inaspettato, malmesso, improvvisato. Dove vivono persone incastrate nelle giravolte del potere, sconfitte dalle ideologie, travolte dalla fine dei sogni.”


E’ Mantarro stesso ad ammetterlo: questo territorio non può essere definito bello. Sono invero estremamente evidenti le cicatrici geografiche e sociali lasciate dal regime sovietico, come la “morte” del lago Aral e la sedentarizzazione forzata dei popoli nomadi del Kirghizistan. L’Autore riesce a descrivere ciò che vede in maniera evocativa, non trascurando interessanti aspetti storici. Dalle pagine emergono in modo chiaro la sopraffazione e l’arretratezza di popoli straziati e induriti da una storia turbolenta.


Ha un’essenza romantica questa ricerca continua della decadenza e il desiderio dell’Autore si autoalimenta. Grazie a questa intensità narrativa, dietro l’ombra del degrado si intravede il volto di chi, pur strappato alla propria indole nomade, riesce ancora ad offrire sorrisi. Si scorgono cavalli allo stato brado che cavalcano fieri attraverso immense praterie, e si accarezzano i resti di una cultura antica. Tutto ciò non può che rendere contagioso il sentimento del protagonista nei confronti di queste lande desolate.


L’incantesimo di Tino Mantarro può dunque dirsi riuscito: il lettore è incantato e divertito e non riesce a desiderare altro che essere lì, in una yurta kirghisa, perso in mezzo alle brutte steppe dell’Asia Centrale. Perché un vero viaggiatore sa che “brutto” non può essere l’attributo corretto da associare a una qualsiasi realtà osservata con curiosità.

Autore: Tino Mantarro
Titolo: Nostalgistan
Editore: Ediciclo
Pagine: 206
Anno: 2019