Bisogna arrivare fino in fondo, immedesimarsi nelle situazioni e cogliere tutte le sfumature – l’ironia, il cinismo, la paura, il disincanto – per apprezzare pienamente “Sette anni di felicità” di Etgar Keret (Feltrinelli, 2015). È un romanzo autobiografico, il racconto di 7 anni segnati da una nascita – quella del figlio – e da una morte – quella del padre – e vissuti in uno dei luoghi più tormentati della storia, Israele.

Ci vuole un po’ a entrare nel meccanismo congeniato da Keret: i vari aneddoti sono raccontati con linguaggio sciolto e coinvolgente, ma all’inizio lasciano un senso di incompiutezza e superficialità.

Le discussioni con una addetta a un call-center, le disquisizioni sul significato recondito di Angry Birds (un popolare gioco per smartphone), gli episodi in aereo o in giro per festival letterari, sono tutti gradevoli ma fanno serpeggiare insistentemente la domanda: cui prodest?

E invece mettendo in fila ogni episodio, e cogliendo la capacità di Keret di trarre da ognuno di esso un aspetto positivo, un barlume di felicità, si delinea il vero senso del romanzo.

Che è quello di raccontare senza retorica o in toni apocalittici la condizione di intellettuale, ma anche di padre, di marito e di figlio, in un Paese così duramente provato dalla storia, che convive ogni giorno con attentati e allarmi.

Si sorride amaramente quando Keret racconta dei suoi viaggi in Polonia, o delle forme di antisemitismo – consapevole o inconscio – che vede attorno a sé.

Ci sono in mezzo le minacciose farneticazioni di Mahmud Ahmadinejad (ex leader iraniano) o i rapporti con la Palestina. Il senso di ineluttabilità che si vive a Tel Aviv non impedisce allo scrittore di cogliere con tagliente umorismo gli aspetti più grotteschi di quello che gli capita attorno.

E da figlio di sopravvissuti alla Shoah, è cresciuto con lo spirito adatto per affrontare una realtà così drammatica: cioè sdrammatizzando tutto (l’allarme anti-aereo diventa anche pretesto per giocare con il figlio Lev), facendosi beffa degli stereotipi sugli ebrei e riuscendo a godere di tutte le gioie che gli regala la vita.

Senza i toni drammatici di un David Grossman o le analisi storico-politiche di un Amos Oz, Keret offre uno spaccato fresco, moderno ma non per questo meno intenso della questione israeliana. Un percorso intimo, familiare e personale, tale da convincere l’autore – per la prima volta alle prese con un’autobiografia – a pubblicarlo in tutto il mondo tranne che nel proprio Paese.

Autore: Etgar Keret
Titolo: Sette anni di felicità
Titolo originale: The seven good years A memoir
Traduzione: Vincenzo Mantovani
Editore: Feltrinelli
Anno: 2015