Davide Zilli è il primo “ospite” che abbiamo il piacere di intervistare in Piego di Libri. Non è uno scrittore, o meglio, non è conosciuto per il fatto di scrivere libri. Davide Zilli è un musicista e come tale scrive canzoni. Dopo “Coinquilini” del 2010 ha pubblicato da qualche mese il suo secondo album, dal titolo “Il congiuntivo se ne va”. Già, perché è anche un professore d’italiano.
Davide, vuoi presentarti ai lettori di Piego di Libri?
Certo, sono un emiliano (piacentino) trapiantato vicino a Milano: al mattino insegno Italiano e Storia in un ITIS, e alla sera faccio il cantautore-pianista un po’ in tutta Italia (a volte anche all’estero).
Che rapporto hai con la letteratura e con i libri in genere?
È un grande amore, ma come tutti gli amori ha i suoi momenti di stallo, di crisi e di rottura: ricordo che quando mi laureai avevo letto e studiato così tanto che subito dopo non riuscii a toccare un libro per due anni. Infine mi salvò una copia dei “Tre moschettieri” (mai letto prima di allora), aperta e sfogliata per caso, che mi ridiede a poco a poco il piacere della lettura.
Sei o sei stato un lettore appassionato?
Lo sono e lo sono stato. A volte il fatto di dover insegnare la letteratura a scuola non mi aiuta. Le “analisi del testo” sulle antologie, che mi trovo a dover leggere in classe, fanno inaridire perfino me… non oso immaginare i miei studenti. Ovviamente con gli anni ho trovato il modo di aggirare, per quanto possibile, la sterilizzazione sistematica della lett(erat)ura praticata dai programmi scolastici.
L’ultimo libro che hai letto e quello che, magari, stai leggendo? E quello che avresti sempre voluto leggere ma non hai mai trovato il tempo?
Mi piace leggere più opere contemporaneamente, e abbinare ogni libro a una situazione fissa: ora sto leggendo “Architettura e potere” di Dejan Sudjic a letto, “La cultura del Rinascimento” di Garin in bagno (senza offesa per Garin, naturalmente), “La prigioniera” di Proust in soggiorno e in borsa, quando sono in giro, mi porto “Cavie” di Palahniuk. In cucina non leggo, sono troppo impegnato a cucinare da schifo.
Ho appena terminato “Sillogismi dell’amarezza” di Cioran e “Il signor Croche” di Debussy.
Per qualche motivo non sono mai riuscito a finire – nonostante numerosi tentativi – “La montagna incantata” e “Sulla strada” (non era una questione di tempo ma di mancata alchimia: mi sono sempre entrambi caduti spontaneamente dalle mani, non posso farci nulla).
Biblioteca o libreria?
A seconda della disponibilità economica del momento… comunque tendenzialmente libreria: mi piace poterli maltrattare profondamente, i libri.
Quali sono stati i romanzi che più hai amato? Quali i tuoi scrittori preferiti?
Tra i tanti romanzi che potrei nominare ne cito tre. “Il barone rampante“: ancora oggi non conosco prosa italiana che lo superi… Calvino è per me LA lingua italiana nel suo massimo funzionamento e splendore; “I demoni” di Dostoevski, che da adolescente mi proiettò letteralmente in uno stato di trance per tutto il tempo della lettura; “Jacques il fatalista” di Diderot, con quell’ironia sempre intelligente e spregiudicata, che per anni mi fece desiderare ardentemente di essere vissuto nel ‘700 (poi ci ho ripensato… troppi pidocchi, e troppi scomodi viaggi in carrozza).
Per quanto riguarda la poesia sicuramente “Romanze senza parole” di Verlaine, che mi fece capire per la prima volta quanto si possa dire con pochissime, esili parole messe al posto giusto.
E infine qualsiasi cosa di Paul Valery, l’ingegno più prodigioso che il Novecento ci abbia regalato.
C’è qualche autore di narrativa o letterato fonte d’ispirazione per i tuoi testi?
Se parliamo di ispirazione diretta e consapevole direi nessuno, ma ogni tanto mi piace pensare che i miei testi abbiano qualcosa della leggerezza di “Palomar”, o di certe poesie di Umberto Saba.
Tra i cantautori? Faccio un nome… Simone Cristicchi.
Credo che la musica debba ispirarsi il più possibile alla realtà, non ad altra musica, altrimenti si diventa troppo autoreferenziali. Quindi non credo di avere dei veri modelli musicali. Ci sono artisti con cui, a posteriori, mi sento in sintonia. Volendo rimanere in Italia direi Samuele Bersani, ma ancora di più penso ad artisti stranieri come Elvis Costello, Randy Newman e i Divine Comedy.
Venendo al tuo ruolo di insegnante: è stata una scelta, una casualità, una necessità?
Giuro che non mi ricordo, ma posso dire cos’è che mi piace OGGI di questo lavoro: il fatto che davanti a dei ragazzi (e nel caso della mia scuola non parliamo certo di lettori abituali) sei obbligato a selezionare, nel gran mare dei romanzi, delle poesie e delle commedie, ciò che davvero pensi abbia un valore universale; davanti agli adolescenti, provando a metterti nei loro panni, capisci subito cosa vale la pena di proporre (talvolta sbagli comunque) e, in fin dei conti, di leggere anche per te stesso.
Tutto il resto, per dirla col buon Verlaine, è letteratura.
Qual è l’errore di grammatica o sintassi che più ti fa imbestialire? L’uso errato del congiuntivo?
No, direi la confusione tra “a” preposizione e “ha” inteso come verbo avere (sembra incredibile ma lo sbagliano anche in quinta). Detto questo, al di là del fatto che devo correggerli per mestiere, so bene che sono gli errori a fare evolvere le lingue. Dopotutto noi parliamo il latino degli ignoranti. Ragion per cui detesto ogni forma di purismo (Crusca & compagnia bella, per intenderci), e sono pronto a scommettere su un grande avvenire per la parola “tipo” usata al posto del “come”.
“Il congiuntivo se ne va” parla appunto, più in generale, della necessità di accettare e vivere i cambiamenti, senza impuntarsi in modo assurdo e… mi fermo qui prima di iniziare a parlare come Osho.
Se potessi vivere di sola musica, ti mancherebbe l’insegnamento? Hai mai fatto qualche lezione non canonica, magari al pianoforte?
Credo che non lascerei mai l’insegnamento: i ragazzi, nel bene e nel male, vivono senza filtri, e ti tengono coi piedi per terra. Ti ricordano quali sono le cose VERAMENTE fondamentali. Mi spiace dirlo, ma il mondo dei cosiddetti adulti troppo spesso non è così interessante.
Più che il pianoforte qualche volta ho portato in classe lo stereo, e ho fatto qualcosa di simile a un’educazione all’ascolto (breve storia del rock in quinta, il romanticismo e l’opera lirica in quarta, ecc.), materia di cui c’è un gran bisogno nella scuola italiana. Chissà, un giorno non è escluso che porti il piano elettrico in classe…
Nel salutarci, dove possiamo seguirti on-line e venire a conoscere le date dei concerti?
Sul mio sito www.davidezilli.com o sulla mia pagina facebook.
Su Youtube trovate alcuni miei video e, prima che ve lo chiediate e me lo chiediate, no, non sono parente di Nina.
1 commento
Bellissima intervista Marco e grazie a Davide Zilli! Mi è piaciuto leggere che non sono la sola ad aver abbandonato “Sulla strada” di Kerouac, a leggere in bagno e a credere che la musica debba essere portata in classe, magari lasciando sotto il banco il temuto flauto…