CellaA Pordenone, nell’ambito di Pordenonelegge abbiamo fatto conoscenza con un’affascinante scrittrice, che risponde al nome di Gilda Policastro. Ci ha concesso quest’intervista, in cui parla anche del suo ultimo romanzo da poco pubblicato, “Cella” (Marsilio).

Gilda, scrivi per giornali e riviste, sei autrice di più di un romanzo e hai pubblicato opere di poesia. C’è qualcosa che non ti riesca di fare con la penna (o con la tastiera)?

Non scrivere, ecco cosa non mi riesce. La scrittura è una sorta di entelechia, per me, una condizione cui non riesco a sottrarmi. Se ho un verso in testa, mi alzo di notte e lo scrivo, oppure se per strada orecchio qualche conversazione dissonante o al contrario fin troppo tipica, annoto sul cellulare: così sono nate le Inattuali, il mio ultimo testo di poesia, che è una sorta di eavesdropping, di raccolta di lacerti di senso comune, almeno nell’ispirazione iniziale.

Visto che sei anche italianista e critica letteraria, sei dell’idea che tutti possano scrivere liberamente o ci vorrebbe una sorta di “patentino” di scrittore?

Non credo ai certificati, però sicuramente ci vuole qualche riconoscimento, al di là della propria personale ambizione/aspirazione. Cioè, scriventi siamo tutti, come diceva Malerba, poi scrittori, magari, è bene che ci consacri qualcun altro.

Quali abitudini hai nello scrivere? Un determinato posto, una stanza, un orario della giornata…

Di solito no, ma Cella, il mio ultimo romanzo, è nato da un’autocostrizione: per un periodo di alcuni mesi mi sono svegliata alla stessa ora e ho scritto lo stesso numero di ore, se non di pagine. Questo per calarmi nella condizione di reclusa, che è poi la condizione abituale dello scrittore. Si è da soli quando si nasce, quando si muore e quando si scrive.

La musica. Che ruolo gioca nella tua vita?

Avendo una formazione primariamente poetica, la prosodia informa la mia scrittura, e dunque la pagina è comunque per me uno spartito da eseguire. Mi fa molto piacere quando la mia lettura viene apprezzata, perché è proprio come se fosse un’esecuzione musicale. Un risarcimento, questa sorta di performance, alla solitudine di cui parlavo prima, imposta dalla scrittura.

Con che grande autore o autrice del passato avresti voluto, potendo, scrivere un’opera a 4 mani?

Non devo pensarci nemmeno un secondo: Proust. La Recherche c’est moi.

Come lettrice, che autrici e autori ami leggere? I tre libri che porteresti nell’isola deserta?

Leggo soprattutto critica e saggistica. I romanzi li riservo alla parte finale della giornata, le poesie sono per lo più oggetto di studio. Il vero godimento me lo dà il sapere aggiunto, la rivelazione su qualche aspetto dell’esistenza, quindi anche nei romanzi, in fondo, è questo che cerco, non la storia in sé. Nell’isola, lo Zibaldone di Leopardi, così avrei con me estetica, filosofia, linguistica, usi e costumi, teoria letteraria, retorica etc. E poi le tragedie di Eschilo, la trilogia di Oreste. Posso portare anche una serie tivù? Se mi mandate nell’isola deserta, voglio almeno essere risarcita coi nuovi episodi di House of Cards!

Domanda d’obbligo: il libro attualmente sul tuo comodino?

Un saggio: Tim Parks, Di che cosa parliamo, quando parliamo di libri, uscito da poco per Utet. Una specie di antiretorica del piacere della lettura e dei luoghi comuni che questo obbligo sociale porta con sé.

Utilizzi qualche ebook reader o leggi solamente su carta stampata?

Utilizzo per forza di cose i supporti elettronici, ma non essendo nativa digitale la mia opzione di preferenza è la carta, soprattutto per la facilità di appuntarmi note e tornare indietro con lo sguardo alla pagina precedente, operazione che per noi “cartacei” è naturale e, direi, indispensabile.

Chi si cela dietro lo pseudonimo di Elena Ferrante?

Io, credo.

Infine… la ricetta di una pasta o pietanza di cui si è ghiotti può, intimamente, avere valore di poesia? In ogni caso, qual è il tuo piatto preferito?

Non sarà un caso se la nostra miglior letteratura, a parte il famoso risotto di Gadda e poche altre eccezioni, non sovrabbondi in descrizioni di pietanze… se però capisco bene la domanda, vuoi sapere se un buon piatto di pasta è equiparabile a una poesia, per il piacere che può dare. Mi sento di negarlo, perché il godimento materiale, “di pancia”, è qualcosa di molto diverso da un’esperienza estetica, che coinvolge, di necessità, la testa. Ciò posto, un tris di dolcetti al cioccolato, che so, una mousse, un tiramisù e un tartufo nero, ecco, forse potrei preferirli a un romanzo, per la famosa isola deserta. Beh, a certi romanzi.

Photo Credits: Dino Ignani