Zerocalcare per Piego di LibriZerocalcare, all’anagrafe Michele Rech, ha mantenuto la sua semplicità ed è rimasto con i piedi per terra, nonostante l’enorme successo. È entrato nella selezione del Premio Strega con il suo Dimentica il mio nome e sta riscuotendo un successo trasversale con il suo ultimo libro, che è un reportage dalla Siria, Kobane calling.

Grande successo, ma anche grande disponibilità. Al Salone del Libro di Torino ha firmato copie del suo ultimo libro (che per lui vuol dire “fare disegnetti” sul frontespizio, con la dedica), per sette ore, confidandoci che «in realtà è stata una passeggiata, il mio record è tredici ore a Milano». Perché Zerocalcare è così. Non dice di no a nessuno.

L’abbiamo incontrato a Padova, durante il Gasparotto Street Festival, tenutosi il 21 e 22 maggio, festival organizzato per provare a riempire e riqualificare una zona degradata della città e sottrarla a spacciatori e delinquenti. Disponibile, come sempre, Zerocalcare ha risposto alle nostre domande.

Noi gestiamo il blog Piego di Libri, anche il tuo grande successo è nato da un blog, ci racconti come è nato e che rapporto hai con il tuo blog?

Il blog in realtà è nato da un altro, è nato da Makkox che in quel periodo stava producendo il mio primo libro, La profezia dell’Armadillo, e mi aveva detto che senza qualcosa che mi facesse conoscere non l’avrebbe comprato nessuno. Ma io ero contrarissimo al blog, perché i blog deserti mi mettono tristezza e non lo volevo fare. Però Makkox ha comprato il dominio, ha fatto il template, ha fatto il banner, in pratica ha fatto tutto lui e ha anche postato le prime storie, perché io continuavo a dire di no. Poi quando ho visto che la gente commentava le prime storie e che comunque c’era un minimo di feedback, allora ho cominciato un pochettino a seguirlo, ma in realtà è stata una cosa che mi è stata proprio imposta da Makkox. Il rapporto che ho adesso con il blog è ottimo, nel senso che è la cosa che mi stimola di più a lavorare perché è una cosa che mi da un feedback immediato e io senza un feedback di solito mi annoio, perché penso che sto facendo le cose solo per me stesso e mi demotivo, mentre invece il blog, con il fatto che ci sono immediatamente i commenti e le condivisioni, è una cosa che mi stimola molto. Purtroppo mi manca molto non riuscire più ad aggiornarlo con costanza.

Cosa rappresenta l’Armadillo che ti fa da spalla nelle tue tavole, è un po’ come la Tigre in Calvin & Hobbes?

L’Armadillo rappresenta la parte più chiusa della mia coscienza, quindi è un po’ come la Tigre, ma la Tigre ha un valore un po’ più positivo dell’Armadillo. L’Armadillo invece incarna quelle cose più meschine, che io di solito non dico, ma che però penso.

Con Dimentica il mio nome, c’è stato un cambiamento nella tua scrittura, sei andato più in profondità, anche in te stesso.

Può essere, non lo so. Se devo pensare quale possa essere la differenza tra Dimentica il mio nome e le storie precedenti, forse è che in questa ho parlato del dolore di qualcun altro, ho parlato del dolore anche di mia madre e non solamente delle cose mie. Poi in verità questo lavoro l’ho fatto sempre in maniera continua, in questi ultimi cinque anni non ho mai avuto uno stacco, non ho mai preso una pausa per fare altro, quindi se c’è stata anche un’evoluzione, che si percepisce dall’esterno, da parte mia non la vedo.

Quanto c’è di autobiografico in Dimentica il mio nome?

Tutti i miei libri in realtà sono autobiografici, a parte Dodici, che parla di zombie, in tutti gli altri c’è una parte autobiografica. A partire dal primo libro La profezia dell’Armadillo, nel quale parlavo della morte di una mia amica per anoressia, anche lì era assolutamente autobiografico. Anche in Un polpo alla gola, nonostante l’intreccio sia più romanzato, tutte le situazioni descritte sono assolutamente autobiografiche.

Recentemente è uscito Kobane calling, per presentarlo sul tuo blog hai scritto: «Che quest’attenzione venga riservata a questo fumetto, che parla di qualcosa che va oltre gli strettissimi cazzi miei, mi sembra tendenzialmente una cosa che uno si può rivendicare come una cosa bella». Ha un significato particolare questa storia?

In questa storia vedo molta continuità con il mio lavoro, nel senso che anche in Kobane calling racconto le cose che mi succedono nella vita. Negli ultimi due anni sono stato due volte in Kurdistan e una volta in Turchia ed è stata una cosa che è stata “ingombrante” all’interno della mia vita, per cui era impossibile raccontare la mia vita senza parlare di questa cosa. Poi ci tengo particolarmente perché è una questione in generale molto bistrattata dai media, e non credo neanche con qualche particolare motivo segreto di boicottaggio dell’esperienza curda, ma viene comunque affrontata con molta superficialità tutta la vicenda della guerra civile e della guerra con Daesh e certe cose non emergono mai, mentre quello che sta succedendo là è qualcosa di prezioso e che dovrebbe essere un modello per noi, a cui guardare e a cui riferirsi, per cui sono contento se più persone leggono la mia storia e vengono a scoprire quella realtà.

L’esperienza in Siria ti ha cambiato?

Ma… il fatto è che la gente ha la percezione che io parlassi di plumcake e poi mi ritrovano in Kurdistan, che prima ero un coglione e poi invece sono cambiato. In realtà sono stato anche a Gaza e ho avuto anche altre esperienze molto significative, quindi mi può aver cambiato come mi hanno cambiato anche altre esperienze e sicuramente è stata un’esperienza che ha ancora una grossa influenza su di me e che seguo con continuità, però non è che solo ora ho aperto gli occhi sul mondo insomma.

Paolo di Paolo sulle pagine dell’Espresso ha decretato la scomparsa dell’intellettuale impegnato, del modello alla Pasolini, con rare eccezioni e fa i nomi di Michela Murgia e di Erri de Luca e poi ha citato te, con questo Kobane calling, come esempio di intellettuale impegnato, te la senti di prendere questo testimone?

A parte che non ho mai detto che le guardie avevano ragione in nessun caso, quindi non voglio accollarmi l’eredità di Pasolini. Detto questo devo dire di no, che non mi sento assolutamente un intellettuale, ma su una cosa sono d’accordo, ovvero sul fatto che manca moltissimo una figura di intellettuale che dica delle cose diverse dall’opinione mainstream, che quando capitano delle vicende a livello sociale o politico ci sia una voce pubblica che dica delle cose di segno diverso e che dia pure delle indicazioni, non sono ovviamente io che lo posso fare, ma io sono uno che ne sente molto la mancanza e avverto quindi questo vuoto.

Domani c’è ARF al Testaccio, con incontri su Andrea Pazienza e una mostra dedicata a Corto Maltese, quali sono i disegnatori che apprezzi di più, del passato e del presente?

Del mio recente passato e che disegnano ancora, sicuramente Silver e anche Cavazzano, che sono ancora presenti. Poi le opere di Gipi continuano a piacermi moltissimo. Un altro importante per la mia formazione è Manu Larcenet, francese, che cito sempre perché è quello che ha fatto le cose che mi hanno appassionato di più negli ultimi anni. Poi il fatto è che io ho letto sempre cose che erano contemporanee a me, quindi per esempio lo stesso Pazienza o Hugo Pratt sono disegnatori che io ho letto poco, ho letto di più Dragon Ball per dire, perché sono manga che uscivano quando io ero ragazzino, proprio per un fatto generazionale.

In Francia sei conosciuto come in Italia?

In Francia è uscito solo un libro mio e non se l’è filato nessuno, ma quest’estate esce Kobane calling per un’altra casa editrice, quindi chi lo sa?

Tu sei un appassionato di serie Tv, quali sono le tue preferite?

Ultimamente è ricominciato Il Trono di Spade, quindi sicuramente questa e Gomorra, che al di là del giudizio politico e sociale è comunque una serie che mi piace molto.

Quali libri leggi? Qual è il tuo genere preferito?

Il mio genere preferito è il noir. Specialmente noir di letteratura americana: Edward Bunker, Don Winslow, Joe Lansdale, Elmore Leonard e tutto quel filone e in generale anche il noir di altri paesi, per esempio mi piace molto anche Fred Vargas.

Libro sul comodino?

In questo momento sto leggendo Giorni di fuoco di Ryan Gattis, un libro sulla rivolta di Los Angeles del ’92, scoppiata in seguito al pestaggio di Rodney King e all’assoluzione dei poliziotti coinvolti.