“La modernità di una città si misura dal fragore delle armi per le strade”.

Così riflette Edgard Mendieta, soprannominato “Zurdo” cioè mancino, detective della squadra omicidi della polizia ministeriale di Stato di Culiacàn. Un detective che risponde ai classici topoi del genere: duro, al limite dell’alcolismo e con una vagonata di problemi da risolvere; el Zurdo Mendieta, infatti, non sta vivendo un bel momento. È in cura presso uno psicanalista per superare un trauma che risale alla sua infanzia (molestato da un prete) e l’abbandono da parte della sua donna.

Malinconico, vagamente chandleriano, ironico, poliziotto sui generis che non disdegna di disobbedire ai superiori, Mendieta è un protagonista complesso e riuscitissimo così come riusciti risultano i molti personaggi di contorno che appaiono nelle storie complicate e ben congegnate dove l’incrocio di vari fili porta a soluzioni impreviste. Le indagini non si presentano mai semplici, pochi indizi e tanti personaggi scomodi: padrini di famiglie di narcotrafficanti, poliziotti corrotti e tipiche donne dei narcos, bellissime e sprezzanti.

Un noir che apre una finestra sulla realtà dei bassifondi messicani, attanagliati dalle prepotenze dei narcotrafficanti, mentre ai piani alti polizia, potere politico e capi dei principali cartelli si spartiscono la torta, lasciando alla povera gente nient’altro che una sembianza di briciole. In un mondo in cui la linea tra bene e male non sembra esistere, Mendieta, affiancato dalla collega Gris Toledo, ha solo il suo coraggio e la dignità di affrontare la realtà della società corrotta Sinaloense (gli eventi si svolgono a Culiacàn, città del nord est del Messico, territorio “controllato”dai narcotrafficanti).

Storie che utilizzano i canoni del noir per trascenderlo, una narrazione solida e una scrittura che non fa sconti al lettore, seduce e pretende attenzione grazie ad uno stile asciutto, crudo, nervoso e, soprattutto, ricco di linguaggi diversi: gergo di strada, frasi sincopate, abbandono dei segni d’interpunzione e della distinzione tra pensato e parlato. Va sottolineata la bravura del traduttore (Pino Cacucci) che ha saputo rispettare la struttura originale della narrazione.

Travestendosi di finzione, l’indagine di Mendieta rappresenta un ponte con una cultura apparentemente lontana con i suoi codici, i suoi risvolti politici ed economici, la sua salda presa sulla società ma che in realtà è diventata qualcosa di più di un fenomeno criminale: una vischiosa gelatina globale che sta rimodellando intere zone del mondo. E ci accorgiamo che anche le città dove viviamo hanno raggiunto, e da un pezzo, il loro ragguardevole grado di “modernità”.

“Deve esserci un modo per uscirne che non sia l’alcool, buttarsi tra le braccia di un’altra o scrivere poesie ridicole”.

Romanzi di Élmer Mendoza con “el Zurdo” Mendieta:

  • Proiettili d’argento – La Nuova Frontiera, 2010
  • Il cartello del Pacifico – La nuova Frontiera, 2012

Élmer Mendoza

Élmer Mendoza è nato a Culiacán, Messico, nel 1949. Professore dell’Università di Sinaloa, è uno dei più attivi intellettuali del suo Paese. Tra il 1978 e il 1995 pubblica cinque raccolte di racconti e due reportage letterari. Nel 1999 esce il suo primo romanzo, Un asesino solitario, che viene subito elogiato dalla critica e ha reso Mendoza il primo scrittore che ricostruisce con efficacia l’effetto della cultura del narcotraffico sul Messico. Pochi anni dopo pubblica El amante de Janis Joplin, vincitore del XVII premio Nacional de Literatura, e Efecto Tequila, finalista del premio Dashiell Hammett. Proiettili d’argento, vincitore della terza edizione del premio Tusquets, è stato il suo primo libro tradotto in italiano, a cui ha fatto seguito Il cartello del Pacifico.

Autore: Élmer Mendoza
Titolo: Il cartello del Pacifico
Traduzione: Pino Cacucci
Editore: La Nuova Frontiera
Anno: 2011