Le mappe dei miei sogni, diversamente da quanto questa rubrica si riproponeva nella preliminare dichiarazione d’intenti: ovvero di recensire capolavori poco noti, ecco, Le mappe dei miei sogni forse è poco noto, ma non è un capolavoro.

Mettitela via, Reif. Sarà per la prossima volta!

Certo è un libro particolare, molto particolare. Unico o comunque in scarsa compagnia. Un libro simile, almeno nel suo apparato editoriale iniziale, è L’opera struggente di un formidabile genio. Romanzo in cui Dave Eggers premette al suo testo Regole e suggerimenti per apprezzare meglio questo libro. Una Prefazione alla presente edizione. Un Indice molto particolareggiato di antica memoria…

…laddove nei secoli passati si inseriva una breve anticipazione degli eventi. Esempio: “Cap VI – Curioso inventario generale, che il curato e il barbiere fecero nella libreria del nostro ingegnoso gentiluomo” nel primo Don Chisciotte di Cervantes; oppure “Cap I – Come Don Chisciotte della Mancia ritornò alle sue follie di cavaliere errante, e dell’arrivo al paese di Argamesilla di certi cavalieri di Granada” nel Secondo Chisciotte apocrifo di Avellaneda.

E ancora. Ringraziamenti da pagina xix a xxxv. Una Guida incompleta ai simboli e alle metafore. Un’ultima pagina di Riconoscimenti vari, che termina con il disegnino di una graffatrice. Arrivando a inserire le proprie irrefrenabili esternazioni pseudoletterarie anche nel colophon. Subito dopo il frontespizio, dove ci riferisce, tra le altre cose e tra il titolo dell’opera originale e il traduttore e l’anno di pubblicazione e il copyright, delle proprie caratteristiche fisiche e inserisce un grafico del proprio orientamento sessuale. Tutto molto confacente, se vogliamo, all’esuberanza debordante tipica del libro d’esordio. In cui si vogliono inserite tutte le proprie elucubrazioni, anche le meno richieste.

(e una cosa simile l’aveva già fatta Macedonio Fernández, anteponendo al suo Museo del romanzo della Eterna ben 57 prologhi al romanzo, circa. Mentre il più antico precursore di questo genere di elefantiasi paratestuale è senza dubbio Saint-Hyacinthe che nel suo Chef d’oeuvre d’un inconnu (1714) commenta per centinaia di pagine una canzonetta popolare di una quarantina di versi scritta da un tale Matanasius)

Ma torniamo al buon Reif Larsen, che non ha scritto un capolavoro. E che inoltre s’è lasciato prendere anch’esso, in questo suo romanzo d’esordio, dalla mania affastellatrice e catalogatoria tipica della prima prova letteraria.

Così il buon Reif ha voluto sì scrivere un romanzo, che però fosse anche un atlante. Un dettagliato compendio dell’intero scibile dell’eclettico giovane protagonista della storia.

Il suo nome è T.S. Spivet e sue sono le mappe dei sogni e non solo, che verga in ogni dove con incessante energia e spirito tassonomico e nomenclativo, quale fosse un giovane Linneo. Il cui ritratto, tra l’altro, campeggia sopra il caminetto del ranch del Montana in cui vive il nostro eroe con la sua strampalata famiglia. A guisa di nume tutelare del giovane scienziato in erba.

(una tipica famiglia da romanzo di formazione. (sia detto tra parentesi). Nel quale i genitori sono sufficientemente presi e immersi anch’essi nelle loro manie per non curarsi della ricerca di libertà e dello spirito di avventura dei figli. Il tutto ovviamente molto consustanziale allo sviluppo della trama. O meglio perché le cose vadano plausibilmente come devono andare).

Ne Le mappe dei miei sogni troviamo comunque le cose più assurde. Troviamo anche qui alcuni appunti già nell’apparato bibliografico del volume in cui si enumera ciò che si troverà nel libro: da bambini cartografi, coleotteri e tigri con i denti a sciabola, fino a bevute di whisky, un fucile corto Winchester e la teoria dei molti mondi

Troviamo di tutto ai margini delle pagine del libro, che per l’occasione è più largo di un libro normale, arrivando a misurare 19 cm. di larghezza. Troviamo disegni, cartine, fotografie, lettere, una breve storia del filo del telefono della famiglia Spivet, una rappresentazione frattale dello spartiacque continentale, un progetto per il lancio di un uomo dall’Empire State Building e uno schizzo di alcune fasi nei modelli di calvizie maschile…

Troviamo tavole raffiguranti il livello freatico, un grafico della danza di ecolocalizzazione dei pipistrelli Yuma (Myotis yumanensis), un referto d’autopsia, modelli di conversazione incrociate, una rappresentazione figurativa della Danza ungherese n. 10 di Brahms, una tabella delle andature del protagonista, disegni dei vari tipi di vagoni dei carri merci, come posizionare le mani per formare l’ombra del passero ecc. ecc.

Il tutto seguendo nel frattempo il protagonista che scappa di casa per raggiungere lo Smithsosian Institution di Washington, proprio personale Eldorado, la sua Alaska mentale, per la quale parte all’avventura in una sua speciale Golden Rush.

Che dire? Volendogli fare un complimento. Trovarli un parente nobile. Paragonerei questo romanzo a Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon. O forse no. Un altro libro recente che gli si può paragonare è S di J.J. Abrams, in cui l’azione si svolge più negli scolii del paratesto che si sviluppa ai margini, che non nel testo vero e proprio, che diviene semplice pretesto.

Insomma, per concludere, questo è un non-capolavoro disperso, per chi volesse comunque avventurarsi in un libro diverso.      

Reif Larsen
The Selected Works of T.S. Spivet
Traduzione di Martino Gozzi
Mondadori, 2010