Solo Feltrinelli poteva portare in Italia un manoscritto dalla Russia, così come aveva fatto nel ‘57 con il capolavoro di Boris Pasternak. Al pari di quello infatti il manoscritto di Eroféev circolava già da lungo tempo in forma clandestina, prima di venire pubblicato nel 1973 sull’almanacco russo “Ami” di Israele e nel febbraio del 1977 appunto nella prima traduzione italiana, per i tipi della casa editrice Feltrinelli.

Chi è Eroféev? Semplicemente un Bukowski russo.

Infatti, se “Under the Vulcano” di Malcom Lowry è considerato una Divina Commedia ubriaca. Questo “Mosca sulla Vodka” è un’odissea alcolica, scritta da un visionario Bukowski russo.

Un poema ferroviario che si consuma in un viaggio lungo il nastro di Moebius della tratta Mosca-Petuškí, finché ogni visione non si capovolge e tutto non comincia a girare in tondo per colpa di un’estasi superalcolica, una sbornia senza fine che scompagina ogni piano narrativo e fisico, confondendo infine la partenza con l’arrivo. Alla fine del viaggio è come se non si fosse mai partiti e non ci rimangono nelle orecchie che i suoni distorti di un infinito e insensato soliloquio teatrale.

Così come per Bukowski, anche il narratore russo ha due imprescindibili punti fermi nella sua vita. Due soli, due stelle polari. L’alcol e la fica. E grazie all’alcol e alla sua ebbrezza costante può permettersi di scagliarsi contro tutto e contro tutti, con la sua satira corrosiva e i suoi scherzi da trivio. Perché lo sappiamo, agli ubriachi è tutto permesso.

I toni passano in un attimo dal lirico al ridicolo. Così la donna dell’eroe, tutt’altro che angelicata, prende prepotentemente l’iniziativa erotica. «Lei stessa fece per me la sua scelta, arrovesciandosi indietro e carezzandomi sulla guancia con la caviglia. In questo c’era qualcosa di giocoso, e pure qualcosa di un leggero schiaffo. E c’era qualcosa di un aereo bacio. E poi, quel biancore torbido, quel biancore di cagna nelle pupille, più bianco del delirio e del settimo cielo!».

Intanto il treno corre da Mosca a Petuškí. E questo poemetto eroico, erotico e etilico scivola via agevolmente, si beve tutto d’un sorso, e i capitoli del libro sono le stazioni ferroviarie attraversate. Che divengono le tormentate stazioni di una via crucis blasfema, di un’espiazione orrenda, di una discesa agli inferi. Anche perché si svolge di venerdì: «Oggi è il tredicesimo venerdì. E sono sempre più vicino a Petuškí, Regina Celeste!».

In questa Odissea alcolica al protagonista appare di tutto, visioni mistiche e carnali. Che descrive con rime petrose e tratti giullareschi, senza tralasciare un tocco di scapigliatura e di decadentismo, quanto basta. Si susseguono anche descrizioni di cocktail e lunghi rabelaisiani  elenchi di bevande alcoliche, ma finiti questi si passa ai profumi, partendo dall’acqua di Colonia, fino alla vernice per mobili purificata. Tutto diventa bevibile, fino al cocktail estremo, il “Trippa di cane”: con shampoo, soluzione antiforfora, deodorante per i piedi e antiparassitario. Una vera prelibatezza.

Tutto viene dissacrato, ogni valore e ogni istituzione. Ogni personaggio, Puškin, Togliatti, Turgenev, Lenin, Kant, i professori della Sorbona, Louis Aragon e i surrealisti. Infatti racconta che a Parigi ha incontrato per strada Louis Aragon e Elsa Triolet e li ferma per interdirli con una tirata delle sue, «Poi, naturalmente, appresi dalla stampa che quei due non erano affatto loro; a quanto pare erano invece Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, ma per me che differenza faceva?».

Gli appare anche, ma come fosse la cosa più normale del mondo, personaggio in incognito tra i passeggeri, Satana in persona che lo tenta per una pagina e mezzo. Finché non si accorge che Eroféev è troppo ubriaco per dargli retta e svergognato se ne va. Mentre Eroféev butta giù sei sorsate a garganella e torna a schiacciare la fronte contro il finestrino del treno.

Alla fine, al culmine dell’estasi e della tortura, appare anche Dio, anche lui passava di lì, sulla tratta Mosca-Petuškí. Richiamato dalle invocazioni di Eroféev, crocifisso al suo chiodo fisso: «Signore, perché mi hai abbandonato?». Perché l’alcol è finito? Ma il Signore taceva.

E alla fine ecco uno stormo di angeli svolazzanti.

«E gli angeli scoppiarono a ridere. Voi sapete come ridono gli angeli? Sono creature immonde, adesso io lo so. Volete che vi dica come ridevano? Una volta molto tempo fa alla stazione di Lodnja, un uomo fu maciullato dal treno e lo fu in modo inimmaginabile: tutta la sua parte di sotto era stata sminuzzata in piccoli pezzi e scaraventata sulla massicciata, mentre la metà di sopra, era rimasta come viva e stava ritta presso le rotaie, come stanno sui piedistalli i busti d’ogni genere di canagliume. Molti non erano capaci di guardare quello spettacolo. Dei bambini invece corsero verso di lui, raccolsero un mozzicone ancora fumante e glielo misero in quella bocca morta semiaperta. E il mozzicone continuava a fumare e i bambini saltellavano intorno e ridevano a crepapelle per quel divertimento…

Ecco, così adesso ridevano di me gli angeli del cielo. Essi ridevano e Dio taceva…».

p.s. Nel 2014 è apparsa una nuova traduzione di Paolo Nori per Quodlibet, Collana Compagnia Extra, dal titolo “Moska-Petuskì. Un poema ferroviario”. Il binomio Nori-Eroféev ci sembra azzeccato, infatti il protagonista del racconto ha la stessa vena surreale e strampalata di alcuni personaggi di Nori.

Venedikt Erofeev
Mosca sulla vodka
Traduzione di Paolo Nori
Editore Quodlibet
Anno 2015