Ponzio PilatoBisogna dire che Gesù Cristo è un personaggio fin troppo abusato. Del resto anche tutte le comparse del suo tempo hanno avuto alterne fortune letterarie. C’è il Barabba di Pär Lagerkvist, che forse potrebbe essere un libro disperso; c’è Giuseppe d’Arimatea, protagonista della storia del Santo Graal. San Tommaso è diventato addirittura proverbiale e Erode famoso, con tutta la sua famiglia, da Erodiade alla storia di Salomè e di Giovanni il Battista, che perde la testa per lei, immortalati tra gli altri da Flaubert e da Laforgue, nelle sue Moralità leggendarie.

Ma quanti Ponzio Pilato ci sono in letteratura?

C’è il Pilato del romanzo di Werner Koch; c’è Il procuratore della Giudea del racconto di Anatole France. L’amante di Pilato di Gisbert Haefs e La moglie di Pilato (la famosa Claudia Procula) di Antoinette May. Addirittura c’è Il Vangelo secondo Pilato, romanzo di Éric-Emmanuel Schmitt. E forse è lui e non Celestino V «colui che – secondo Dante – fece per viltade il gran rifiuto».

Molto s’è scritto su questo personaggio. Secondo Ennio Flaiano, Pilato era di origine abruzzese. Secondo un’altra leggenda fu esiliato da Caligola e morì suicida a Vienne, nell’antica Gallia, e il suo corpo gettato nel Rodano. Del resto da che mondo è mondo la storia s’è mischiata con la leggenda. Secondo il filosofo Celso il vero padre di Cristo fu un soldato romano, chiamato er Pantera, trasferitosi poi in Germania, nei pressi dell’attuale Bingerbrück, dove è stato anche ritrovato un monumento funebre sul quale sarebbe inciso il suo nome…

Ma sicuramente il Ponzio Pilato romanzesco più famoso è quello del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Un Ponzio Pilato con una terribile emicrania. Che s’intervalla alle avventure del Maestro, di Margherita Nikolaevna e del diavolo, dall’aspetto multiforme, in visita in Unione Sovietica. Un Ponzio Pilato doppiamente romanzesco, perché personaggio evocato da un altro personaggio. Inventato infatti dal Maestro che gli fa ironicamente pronunciare la fatidica frase: «Che cos’è la verità?». Così come La Leggenda del Grande Inquisitore è opera di Ivàn Karamazov.

Il rapporto tra Ponzio Pilato e Gesù Cristo del resto è la storia dello yin e dello yang. Della persuasione e della retorica. Del giorno e della notte. Della materia e dello spirito. Di un dipendente statale che incontra un figlio dei fiori.

Ma è anche la storia di uno che parla una lingua incomprensibile, almeno al tempo. Di uno che è venuto a turbare la terra con le sue parole rivoluzionarie. E l’altro, serioso, simbolo del potere consolidato, dell’Impero romano, procuratore di Cesare Augusto. Che lo guarda con sussiego. E pensa. Ma non è che questo mi sta facendo la supercazzola, come se fosse Antani?

Insomma, tanta incomprensione.

È che Ponzio Pilato non era preparato. Diciamocela tutta. S’è trovato il Figlio di Dio davanti a sé, senza preavviso. E chissà quanti ne ha visti in quel periodo. Non era facile distinguere il vero dai falsi. La Palestina a quel tempo pullulava di predicatori (tra i più famosi Simon Mago o Apollonio di Tiana). Sicuramente più facile per il Grande Inquisitore di Siviglia, che secondo Dostoevskij, si ritrova a ricevere il ritorno del Cristo. Facile per l’inquisitore, che s’è letto i vangeli e tutto il resto. Sa già chi è Gesù e tutta la storia. Facile per lui dirgli, grazie, ma hai già detto tutto, penso che non ci sia niente da aggiungere, arrivederci. Gliela fa lui la supercazzola, prematurata. E chi s’è visto s’è visto.

Così impara a ricomparire sulla terra senza preavviso, senza neanche farsi annunciare.

Ma dopo questo breve, doveroso preambolo, veniamo al Ponzio Pilato di Roger Caillois. Del resto questo è l’unico romanzo del celebre intellettuale francese, saggista e studioso di miti. Celebre per opere quali L’uomo e il sacro (1939), Il gioco e gli uomini (1958) e quel bellissimo libercolo che è L’incertezza dei sogni (1956), un altro libro per anni disperso, pubblicato anni or sono da Feltrinelli e finalmente ristampato quest’anno dalla Casa Editrice SE.

Roger Caillois ha ricostruito le ventiquattrore della vita di Pilato che trascorrono tra l’arresto di Gesù e il momento in cui il funzionario romano deve prendere una decisione in veste di rappresentante dell’imperatore Tiberio a Gerusalemme. Decisione o non decisione, che fa di lui una pedina essenziale nel grande disegno scacchistico di Dio. Cosa sarebbe successo se non se ne fosse lavato le mani?

Tra l’altro Borges, in Tre versioni di Giuda, afferma per bocca dell’eminente teologo svedese Nils Runeberg, che fu proprio Giuda, un’altra pedina essenziale, forse il vero artefice della Volontà del Signore. Giuda l’incompreso, Giuda che con umiltà si piega alla volontà di Dio e infanga per sempre il proprio nome, perché sia fatta la Sua volontà. Senza di lui e il suo tradimento non avremmo avuto la crocefissione di Cristo, niente morte, niente resurrezione. E questi sarebbe forse morto di vecchiaia, in attesa del compimento di un piano fallito sul nascere…

Comunque sia.

Caillois ripercorre la tormentata giornata di Pilato. Tutti sono per la condanna del Cristo innocente. La folla; i sacerdoti del Sinedrio, specialmente Caifa e suo suocero, Anna e il consigliere Menenio, cinico assertore della ragione di Stato, contro le idee rivoluzionarie e incendiarie di quello strano predicatore venuto dalla Galilea. Giuda stesso appunto, che confessa di aver tradito perché le Scritture si adempissero e infine l’amico caldeo di Pilato, Marduk, un intellettuale che non crede negli dèi, ma nel bisogno che gli uomini hanno di entità divine. E attraverso questi personaggi Caillois mette in scena tutte le possibili posizioni filosofiche e teologiche a proposito del mistero di Cristo, della divinità incarnata e del suo Mito.

La figura del Cristo passa in secondo piano, è solo un pretesto. Tutto è giocato nell’animo contrastato di Pilato, che si rode nel dilemma. Claudia Procula è tormentata da un sogno che racconta al marito e lo rende ancora più inquieto. Riecco l’incertezza dei sogni. Procula s’era smarrita in sotteranei labirintici popolati da esseri furtivi e ardenti. Pesci e agnelli erano dipinti alle pareti. Il Profeta diceva che bisognava leggere la pelle dei pesci, il vello degli agnelli. La voce di quel Messia le diceva che il suo destino dipendeva da lei, se quei segni non venivano tradotti, lei sarebbe stata responsabile di un errore terribile.

Ma il vero gioiello dell’opera è il capitolo V in cui Pilato discute con Marduk e questi, come una sorta di profeta visionario, narra ipoteticamente quello che accadrebbe se le parole di questo Profeta si concretizzassero in una religione. Narra a Pilato dei problemi che angustieranno in futuro i seguaci di questo Messia, enumera le possibili eresie, i concili, gli scismi. Racconta l’antagonismo della potestà temporale, la lotta dei papi e dei monarchi. Descrive il sorgere e l’empito guerriero insito in questa religione, tutti gli avvenimenti in nuce nelle parole di Gesù. Marduk continua a fare congetture, a inventare ipotesi plausibili.

Infine Marduk se ne va, esce di scena. Pilato è indeciso, non è convinto della condanna. Eppure non vuole che le ipotesi di Marduk si avverino. Bisognerebbe stroncare sul nascere questa eresia? A cosa porteranno le parole di questo Uomo? E davanti ai suoi occhi atteriti, come in una visione, passano in colonna i quindicimila prigionieri bulgari ai quali Basilio II il Giovane, L’Imperatore che i panegiristi chiamavano L’Eguale degli Apostoli, aveva fatto cavare gli occhi, prima di rimandarli allo zar Samuhil. Un guercio ogni centinaia guidava novantanove ciechi. Una visione terribile. Ma Ponzio Pilato, come sappiamo, se ne lava le mani.

P.s. L’ultima edizione italiana si perde nella notte dei tempi. A memoria di Homo Lector risale al 1982, Nuovi Coralli, Einaudi.

Autore: Roger Caillois
Titolo: Ponzio Pilato
Titolo originale: Ponce Pilate
Traduzione: 
Luciano De Maria
Editore: Einaudi
Anno: 1982