Molto più di un romanzo, un mito.
Già dal titolo capisco il motivo d’incastonarlo, in quanto raro bijou, in una rubrica di libri rari, i quali più di uno con somma ingiustizia non sono più ristampati. “La scomparsa” il titolo, ma scomparso financo il romanzo, il qual non più alcuno in Italia lo cita o ricorda, ma Guida con costanza ancora ripubblica.
Di sicuro si tratta di un caposaldo scaturito dalla fabbrica di capolavori oulipiani.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di OuLiPo. Fu l’OuLiPo fucina di scrittura di giovani autori tra i più ambiziosi in suolo di Francia dal 1960 fino ad oggi. Tra di loro un italiano, il più famoso tra i nostri cugini al di là dall’Alpi, Italo Calvino. Il sommo principio oulipiano fu il darsi di volta in volta nuovi obblighi di scrittura, così, andando allora dai lipogrammi fino all’acrostico, dalla sciarada alla crittografia, dal palindromo al tautogramma.
La cifra stilistica scaturita dalla scuola oulipiana fu di sicuro la caccia alla bizzaria linguistica. Un altro mitico compagno di giochi linguistici fu un tal Raymond, i cui giochi stilistici furono tradotti con cura in ogni lingua. Il suo romanzo più famoso: “I Fiori blu”. Un altro Raymond, oulipiano avanguardista, financo uno tra i padri spirituali di un altro ramo linguistico chiamato Patafisica, altra disciplina combinatoria ma più dadaista, nata dal caos artistico di Jarry, ha scritto dal canto suo il capolavoro “Locus solus” (tra l’altro Sciascia a sua volta ha scritto un libro sulla sua dipartita, il suo corpo fu trovato infatti privo di vita il 14 luglio 1933, in Sicilia, in una famosa locanda, stanza n° 224).
Il romanzo “La scomparsa” fu pubblicato in Francia, a Parigi, anno 1969. Un plauso va a colui (sarà nominato più sotto) il qual ha tradotto in altra lingua o idioma, dir si voglia, l’arduo romanzo dato alla stampa in Italia quando scoccava l’anno domini 1995, da Guida di Napoli, indiscussa mitica collana “Il bianco, il blu”, in cui si ospitavano nomi quali Cormac McCarthy o Gracq o altri sommi innominabili. Innominabili? Sì, tranquilli, il motivo sarà poi ovvio, lapalissiano.
Già il non nominar chi ha scritto “La scomparsa” risulta un’ardua sfida, colta al balzo dal sottoscritto. Ma purtroppo la norma oulipiana, assunta da chi ha compilato il romanzo, appunto obbliga alla tacita mancanza. Tra i suoi capolavori ricordiamo “Storia di un quadro” o “Mi ricordo”. “W o il ricordo d’infanzia” o “Sono nato”. Libri in bilico tra gioco o sogno, i quali vanno dalla malinconica ricordanza alla ludica parodia. Dal dramma alla farsa insomma.
Il suo capolavoro di sicuro: “La vita istruzioni d’uso”. In cui cataloga passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, la vita di tutti gli abitanti di un condominio di Parigi. Romanzo privo di alcun vincolo costrittivo. Quando al contrario “La scomparsa” risulta una sfida ad un caposaldo, alla prima norma oulipiana. Appunto darsi un obbligo fisso alla scrittura di un brano o di uno scritto. Risulta quindi un romanzo con un fondo giocoso, uno scopo goliardico. Ma in più, sullo sfondo ludico, la sadica disciplina da artigiano, dalla magica parola accurata, da cui scaturisca un incanto favoloso quanto ardito.
Ma qual sarà mai la norma costrittiva di “La scomparsa”? Ovvio, trattasi di un romanzo privato di un minuscolo ingranaggio di cui il linguaggio, a guisa di complicato macchinario, si forma. Manca qualcosa, in sostanza, tra la a fino alla z. O, focalizzando il punto, tra a i o u.
Dapprincipio ha l’aria di un noto romanzo, in cui si parla di un uomo, il protagonista Anton Vocal, sprofondato in un gran sonno. Infatti assomiglia molto all’incipit di un noto romanzo in 7 libri di Proust, «A lungo, mi sono coricato di buonora», tradotto da Giovanni Raboni, Mondadori, unico al mondo il qual ha tradotto da solo tutta la saga proustiana. In cui si va alla caccia di qualcosa di scomparso.
Ma andando avanti la trama si complica. Tra i capitoli si parla di un Robinson innamorato o d’infanzia, di quando una volta fatti i compiti di scuola si va dritti allo zoo. Si parla di una sonata di Anton Dvorac o, fatta piazza pulita di svariati svarioni, si scoprirà in qual modo sia colato a picco il Titanic. Un capitolo dopo l’altro conosciamo il giudizio su Hollywood di Vladimir Il’ič o di quali rischi si corrano cucinando una carpa (o capra, non ricordo) farcita. In coda al libro un post-scriptum, umoristico, su da qual mira, lungo il faticoso romanzo – sfogliato ci si augura non troppo a spizzico – fu guidata la mano di chi lo compilò.
Cito dal post-scriptum: «Cosa mi ha spinto a farlo? Più motivazioni, di sicuro, ma, voglio dirlo, innanzitutto fu il caso, in quanto tutto iniziò da una sfida. Poi ho cominciato a provarvi gusto. Si formò così, scritto sul foglio, parola dopo parola, frutto di una norma tanto più rigida quanto più significativa agli occhi di chi non la sa, un romanzo di cui, malgrado la sua bizzaria, fui subito abbastanza soddisfatto. Poi, soprattutto, riuscivo in tal modo a dar sfogo a un mio istinto primario, connotato d’infantilità (o d’infantilismo): il mio gusto, la mia mania, la mia smania di far uso di saturazioni, imitazioni, citazioni, traduzioni, automatismi».
Un gran casino insomma. Una trama complicata, arzigogolata, in più la norma la qual priva l’utilizzo di una particola di cui la parola o la lingua si formano.
La cosa scomparsa manca tra l’altro, non proprio ovvio ma chi ha compulsato lo scritto con scrupolo di sicuro già l’ha capito, financo dalla prima riga fino all’ultima di un articolo il qual tra un po’ sarà… finito.
Autore: George Perec
Titolo: La scomparsa
Titolo originale: La disparition
Traduzione:
Piero Falchetta
Editore: Guida editori Napoli
Anno: 2007
3 commenti
Sono un ammiratore di Perec, e soprattutto della “Vie, mode d’emploi”, che ho citato con dovizia nel mio “Corso di lettura creativa”, ma l’entusiasmo per il lipogramma “La Disparition” è forse eccessivo. Basti dire che all’inizio del terzo secolo un poeta greco, Nestore di Laranda, scrisse una “Iliade mancante di una lettera” , i cui 24 canti erano rielaborazioni di quelli dell’Iliade però mancante ognuno della lettera corrispondente al canto (alfa per il primo, beta per il secondo ecc.). C’è poco da fare, siamo nati a Maratona…
Non avevo mai pensato di poter essere una oulipiana, ma solo una malata di mente. Ho scritto la tesi di laurea senza mai usare gli articoli “il” e “l apostrofato”, semplicemente perchè non mi piacevano. Ah, pure “non”…
Niente paura. Questo vuol dire essere oulipiani dentro. Esserlo e non saperlo. Chissà quante patologie e disagi mentali potrebbero essere semplicemente ascritti nella categoria Oulipo………….