Mia madre, a Princeton, ricevette un conciso telegramma: «Apro libreria Parigi. Prego spedire soldi» e mi mandò tutti i suoi risparmi

Così ha inizio la storia della piccola libreria di Sylvia Beach, la Shakespeare & Company aperta inizialmente al numero 8 di rue Dupuytren, il 19 novembre del 1919: una libreria che è diventata un mito ed è tuttora meta di pellegrinaggio per tutti i bibliofili che si recano a Parigi.

Entrare alla Shakespeare & Company è come fare un viaggio nel tempo. La sensazione è che girando l’angolo di uno scaffale di libri ci si possa scontrare con Hemingway o che saliti al primo piano, dopo aver oltrepassato la scritta “Be not inhospitable to strangers, lest they be angels in disguise” che campeggia sull’architrave, una giovane donna seduta sul divanetto ci ricordi Djuna Barnes, che proprio in quel punto, qualche decennio fa, infervorata sussurrava brani di Nightwood a T.S.Eliot.

Le istantanee in bianco e nero ricreano l’atmosfera di un’epoca: su quei libri riposti sulla mensola vicino alla finestra si sono appoggiati Paul Valéry e Robert McAlmon; sulla soglia della libreria si sono seduti a chiacchierare Scott Fitzgerald e Adrienne Monnier; mentre nel salottino discutevano Ezra Pound, John Quinn, Ford Madox Ford e James Joyce.

Frequentatori abituali erano Valery Larbaud, Sherwood Anderson e André Gide. André Maurois fu uno dei primi a fare gli auguri alla neonata libreria portando una copia del suo piccolo capolavoro appena pubblicato: Le silences du Colonel Bramble. E ovviamente non poteva mancare il punto di riferimento degli americani a Parigi, Gertrude Stein, con l’inseparabile Alice B. Toklas:

Poco tempo dopo l’apertura del negozio, mi fecero visita due signore. Le vidi giungere, a piedi, per rue Dupuytren: una, dal viso molto bello e di corporatura robusta, portava un abito lungo e il cappello elegantissimo che sembrava il fondo d’un cesto. L’accompagnava una donna sottile, bruna, strana, che somigliava a una zingara. Erano Gertrude Stein e Alice B. Toklas

A raccontare la storia della Shakespeare & Company è la stessa fondatrice, Sylvia Beach, in un libro pubblicato nel 1956. Nel 1962 quest’opera autobiografica, che è al tempo stesso la biografia della libreria, fu tradotta in Italia da Rizzoli e poi più volte ristampata, fino al 2004, fino a divenire un libro disperso.

Come racconta Sylvia Beach, e come racconteranno nei loro romanzi Hemingway e Fitzgerald su tutti, Parigi era negli anni venti la capitale artistica del mondo, anche per quell’aria di libertà che si respirava, diversamente dagli Stati Uniti, ma non solo:

Naturalmente, non era tutta colpa del proibizionismo e della censura se tanta gente migrava in Francia: c’entrava anche il fatto che a Parigi c’erano Joyce e Pound e Picasso e Stravinsky: tutti, insomma (o quasi: T.S. Eliot viveva a Londra)

La storia di Sylvia Beach è indissolubilmente legata a James Joyce e alla pubblicazione dell’Ulysses a Parigi, che è il capitolo più interessante della vicenda della Shakespeare & Company. L’Ulysses era uscito a puntate sulla rivista Egoist nel 1919, ma alla quinta puntata la pubblicazione si dovette interrompere a causa delle reazioni scandalizzate dei lettori.

Harriet Weaver, editrice di Egoist, decise di pubblicarlo in volume, ma l’impresa si rivelò impossibile: «Al solo sentire il nome di Joyce i tipografi inglesi scappavano come il diavolo davanti all’acqua santa», in quanto sarebbero stati corresponsabili insieme all’editore e passibili quindi di subire conseguenze penali.

Ecco perché la prima edizione dell’Ulysses vide la luce a Parigi nel 1922, primo volume della casa editrice Shakespeare & Company e stampato a Digione dal coraggioso tipografo Maurice Darantiere, “maestro stampatore”, dai cui tipi erano uscite anche le opere di Huysmans.

Fu stampato un volantino in cui Shakespeare & Company, Parigi, annunciava per “l’autunno del 1921” la pubblicazione dell’Ulysses di James Joyce “in edizione integrale” (punto molto importante). L’edizione sarebbe stata di mille copie: cento su carta olandese e firmate dall’autore, in vendita a 350 franchi; centocinquanta su vergé d’Arches, a 250 franchi; le rimanenti settecentocinquanta su carta comune a 150 franchi

Sia detto en passant che per comprare una di queste copie oggi occorrono più o meno dai 10 ai 15mila euro in su.

Le reazioni furono le più disparate. La più divertente fu quella di George Bernard Shaw, che indirettamente scrisse la prima recensione all’Ulysses, rispondendo alla lettera nella quale Sylvia Beach gli chiedeva se fosse intenzionato ad acquistare una copia del libro. Se da una parte Virginia Woolf scrisse che “leggere l’Ulysses è come stare di fronte a un disgustoso studente universitario che si schiaccia i brufoli”, G.B. Shaw si espresse invece così (potendo tranquillamente sostituire dublinesi con l’intero genere umano…):

Imparo dai libri del signor Joyce che Dublino è ancora quella di sempre, e che i giovanotti dublinesi passano ancora il loro tempo a sbavare sconcezze, esattamente come nel 1870. Certo è una consolazione sapere che qualcuno finalmente ne ha avuto tanto schifo da trovare il coraggio di trascriverle e da usare il suo genio letterario per costringere la gente a guardare in faccia quella ripugnante realtà. In Irlanda, per insegnare al gatto a non sporcare in casa, gli fanno strofinare il naso nei suoi bisogni. Il signor Joyce ha tentato l’esperimento sul soggetto umano. Mi auguro che l’esperimento abbia successo

Insomma un libro, questo di Sylvia Beach, che è una testimonianza di prima mano della libreria più famosa e culturalmente più importante del mondo, un libro pieno di aneddoti e di retroscena sulla vita di celebri scrittori, come quest’ultimo, che chiude il libro, in cui un giovane soldato scioglie la Shakespeare & Company dall’assedio dei cecchini durante la liberazione di Parigi dall’occupazione nazista:

Le sparatorie continuarono per parecchio tempo in rue de l’Odéon, e cominciavamo a esserne proprio stufe quando un bel giorno una fila di jeep venne su per la strada e si fermò di fronte alla mia casa. Udii una vociona profonda gridare: «Sylvia!» e tutti nella strada risposero al grido.
«È Hemingway! È Hemingway!» gridò Adrienne. Volai giù per le scale, e finii addosso a Hemingway che mi tirò su prendendomi sotto le ascelle, mi fece girare in aria e mi baciò fra gli applausi della gente per strada e alle finestre.
Domandò se poteva fare qualcosa per noi , e noi lo pregammo di liberarci dai franchi tiratori nazisti che si nascondevano sui tetti delle case della nostra strada, specialmente sul tetto di Adrienne. Hemigway fece scendere i suoi uomini dalle jeep e li guidò sul tetto; udimmo dei colpi, per l’ultima volta in rue de l’Odéon. Poi Hemingway e i suoi uomini ridiscesero e si allontanarono sulle loro jeep, «per liberare», così disse Hemingway, «la cantina del Ritz»


P.s. Se questo libro della Beach è introvabile e realmente disperso, la Shakespeare & Company ha recentemente pubblicato un volume autocelebrativo in cui si racconta la storia della libreria dagli anni ’40 in poi, continuando la storia da dove la gestione iniziale s’interrompe e subentra l’epoca, tuttora attuale, con la gestione degli eredi, di George Whitman.

Si sussegono quindi le frequentazioni dei grandi autori. Dagli scrittori della Beat Generation Jack Kerouac e William Burroughs, fino ai poeti Allen Ginsberg, Gregory Corso e Lawrence Ferlinghetti, che aprirà a sua volta la mitica City Lights a San Francisco. Passando per Henry Miller, Anaïs Nin, Rudolf Nureyev e Jackie Kennedy.

Il tutto testimoniato da questo libro che vanta un corredo di foto attuali e d’epoca, ritagli di giornali, telegrammi, fumetti, appunti e quant’altro, partendo dalla sua riapertura nel dopoguerra, fino ai giorni nostri, in una parola: imperdibile.

Sylvia Beach
Shakespeare & Company
Traduzione di Elena Spagnol Vaccari
Rizzoli, 1962

Krista Halverson e Jeanette Winterson
Shakespeare and Company, Paris: A History of the Rag & Bone Shop of the Heart
Shakespeare & Company
2016