“Non prestate troppa attenzione a chiese, edifici governativi, o piazze; se volete saperne di più sulla cultura di un determinato popolo, passate la notte nei bar”, disse Hemingway.

Quello dove si recava tutte le sere l’autore di “Il vecchio e il mare” si chiamava El Floridita. Hemingway sedeva al banco e ordinava un El Papa Doble dietro l’altro, così il bar cubano decise di rinominare il cocktail “Hemingway Daiquiri”. Siete curiosi di sapere come si prepara?

  • 1 misurino di rum bianco (ca. 43 grammi)
  • il succo di 2 di lime
  • il succo di 1/2 pompelmo
  • 6 gocce di liquore maraschino
  • ghiaccio e una fettina di lime per la guarnizione.

È necessario soltanto versare gli ingredienti come elencati nell’ordine soprastante, mescolarli in un shaker per cocktail, aggiungere del ghiaccio, mescolare di nuovo e servire con una fetta di lime. Semplice, no?

Ora che i vostri occhi assonnati del lunedì mattina hanno la mia attenzione posso iniziare a parlare dell’argomento di oggi. Che, ovviamente, non c’entra niente con l’Hemingway Daiquiri.

È estate e, comme d’habitude, blog letterari, riviste e giornali fagocitano le varie novità editoriali del momento e partoriscono per noi la classifica dei libri da leggere sotto l’ombrellone. Non siete un po’ stufi?

Anziché i nuovi trend letterari, mi piacerebbe che, una buona volta, si consigliasse un libro che insegna a vivere le vacanze con serenità.

Fatevi un favore: riponete “La ragazza del treno” nella vostra borsa di vimini (so che l’avete comprato o avete intenzione di farlo), uscite dall’ombra oziosa e godetevi la poeticità del mare.

Non prima, però, di aver sentito cos’ha da dire Henry Miller che, con il suo “Il giudizio del cuore”, (in Italia edito da Marinotti), si precipita in nostro soccorso contro la noia della routine.

Nel 1939 Miller scrisse uno dei saggi di questa raccolta per il Modern Mystic Magazine, che gli aveva commissionato un pezzo sull’opera “War Dance” dello psicanalista Graham Howe. Il saggio tratta la caducità del tempo, l’amore e il ritmo della vita in rapporto alla condizione umana. Tutti astrattismi dai quali ho tentato di ricavare qualche consiglio pratico*.

Miller esordisce:

“Vivere la vita significa rispettare un determinato ritmo… Soltanto accettandone tutti gli aspetti , siano essi positivi o negativi, la nostra vita subisce una metamorfosi e si trasforma in una danza, allontanandosi da quella dimensione di staticità”.

Nei passi successivi Miller spiega qual è il modo più semplice per vivere una vita dinamica e in armonia con noi stessi:

“Accettare qualsiasi situazione porta a galla un flusso, un impulso ritmico indirizzato verso l’espressione del sé. Rilassarsi è la prima cosa che un danzatore deve apprendere. È la prima cosa da assimilare se si vuole davvero imparare a vivere. Ed è estremamente difficile, perché significa arrendersi a uno stato di totale abbandono”.

Ma cosa significa rilassarsi? Miller tenta di spiegarcelo confrontando la stato di abbandono dell’uomo con la conflittualità della vita:

“La vita, come tutti sappiamo, è conflitto e l’uomo, facendone parte, è anch’egli espressione di questo conflitto. Se sarà in grado di riconoscerlo e accettarlo, allora, riuscirà anche a godersi la vita con serenità, pervaso da uno stato di abbandono estatico, che non è altro che amore”.

Secondo Miller, la barriera che si pone tra l’io e questa condizione di totale abbandono è rappresentata dalle convenzioni, dalla quotidianità, dai binomi giusto-sbagliato, pensiero-azione, razionalità-emotività, coinvolgimento-distacco; in altre parole, la normalità.

Secondo Howe, lo studioso al quale Miller si ispira per la stesura di questo saggio, bisognerebbe imparare a percepire la nostra anormalità come un aspetto “normale” della nostra vita, senza preoccuparsi di cambiare per asserire a uno standard preconfezionato e dettato da canoni di forma. In altre parole, rilassarsi, abbandonarsi, significa allontanarsi da ciò che trasmette sicurezza per avvicinarsi sempre di più al piacere.

Miller sostiene che per raggiungere questa condizione bisogna passare attraverso una fase di solitudine:

“Tutto sta nel vivere la solitudine con serenità, senza sentirsi in colpa o stressati, come se ci mancasse qualcosa. La maggior parte delle persone ne è incapace. L’eternità è al di fuori della nostra portata, cerchiamo di controllarla concretizzandola in alcuni bisogni che diventano ossessioni: la ricerca della felicità, di un buono stato di salute, la smania del possesso – di cose e persone. La verità è che è queste necessità non sono altro che proiezioni immaginarie e illusorie di quell’eternità dalla quale non ci possiamo difendere”.

E ora sarebbe proprio il caso di andare all’El Floridita e ordinare un Hemingway Daiquiri.

Buone vacanze, amici lettori!

*I paragrafi estrapolati dall’opera sono una mia libera traduzione dall’inglese.