Sebbene il latino possa sembrare una lingua inutile, non lo è affatto. Questa lingua è ancora in grado di dare un senso alla nostra identità, spiegando il vero significato di molte parole che oggi diamo per scontato. Molti modi di dire italiani e molte massime trovano le proprie radici nell’antichità, nei testi degli antichi scrittori.

Entrando nel linguaggio quotidiano, molte espressioni hanno perso però il rapporto con la fonte da cui derivano. Una loro conoscenza offre la possibilità di comprenderle meglio, rendendoci più consapevoli della lingua che usiamo e del modo in cui pensiamo.

Ecco qui di seguito alcune frasi latine poi diventate quasi proverbiali. Una volta compresa la loro origine, il loro significato sarà sicuramente più affascinante!

Amicus certus in re incerta cernitur

“L’amico certo nella incerta sorte si discerne”

La frase è del poeta latino Ennio (239 a. C.- 169 a. C.) e proviene dalla sua tragedia Hecuba, a noi non pervenuta (fr. 210 Vahlen). La massima, di tono proverbiale e sentenzioso, è citata da Cicerone nel De Amicitia (17, 64).  Quest’ultimo insiste sulla necessità di non abbandonare l’amico nel momento del bisogno e parla della difficoltà di trovare vere amicizie fra quelli che vivono in mezzo alle cariche e alla vita pubblica. Secondo Cicerone l’onore personale verrà sempre anteposto a quello dell’amico, e chi nella fortuna e nell’avversità si sia dimostrato un vero amico è da considerarsi una persona quasi divina. La ripetizione degli stessi suoni (lettera “c”) e l’accostamento di parole simili nel suono ma distanti nel significato (paronomasia) sono caratteristiche tipiche dello stile enniano.

Omnia fert aetas

“Il tempo porta via tutte le cose”

La locuzione latina è tratta dalle Bucoliche di Virgilio, genere letterario in cui dei pastori sono messi in scena in uno sfondo rustico come attori e creatori di poesia. Nella IX Egloga Meri dialoga con il pastore Licida e racconta la triste vicenda relativa all’esproprio del proprio podere. Un marcato pessimismo descrive la condizione dei proprietari terrieri del Mantovano, privati dei propri terreni in seguito alla loro assegnazione ai veterani della guerra contro i cesaricidi. Durante il dialogo Licida invita il pastore amico a cantare qualche verso poetico: solo la poesia può lenire le sofferenze subite. Meri non riesce però a ricordare i molti versi imparati da bambino e si rammarica del fatto che il tempo si porta via ogni cosa, anche la memoria.

Est modus in rebus

“Nelle cose è insita una loro misura”

Inizio di una frase del poeta latino Orazio, che continua: sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum (Satire I, 106-107 “vi sono precisi limiti al di là o al di qua dei quali non può essere il giusto”). L’espressione invita a ricercare l’equilibrio e la moderazione, posti sempre tra due opposti estremi. Il concetto apparteneva alla più antica saggezza greca, sviluppata con la massima ampiezza da Aristotele. La massima oraziana non deve però essere ricondotta a un profilo scialbo dell’autore: con ironia, comprensione e divertito umorismo Orazio coglie il lato ridicolo degli eccessi e non riconosce aprioristicamente un giusto mezzo. Esso varia a seconda del temperamento individuale e delle circostanze e, nel fluire ininterrotto della vita, l’uomo deve continuamente cambiare posizione per mantenere il proprio equilibrio.

Mens sana in corpore sano

“Una mente sana in un corpo sano”

La locuzione è tratta dalla X Satira di Giovenale, in cui il poeta polemizza contro i desideri e le vane spirazioni tanto ricercate dagli uomini, come la ricchezza, la potenza, la bellezza, la longevità. Idoli fallaci e ideali, allontano l’uomo dal vero bene: la sanità dell’anima e la salute del corpo. Solo il sapiente è in grado di distinguere il fallace dal durevole, e gli uomini dovrebbero pregare le divinità affinché concedano loro tale condizione.

Il mio consiglio è questo:

lascia giudicare agli dei

quel che ci convenga e più utile

sia ai nostri interessi;

invece di ciò che ci piace,

ci daranno gli dei

quel che più ci si adatta.

L’uomo è più caro a loro che a sé stesso.

… Allora, se qualcosa vuoi chiedere ai numi,

offrendo nei sacrari viscere

e carni sacre di un candido porco,

devi pregarli che ti diano

mente sana in un corpo sano.

Chiedi un animo forte,

che non tema la morte,

che ponga la lunghezza della vita

come l’ultimo dono di natura,

che sappia tollerare qualunque fatica,

che ignori collera, non abbia desideri,

e preferisca le dure fatiche di Ercole,

i suoi travagli, agli amori lascivi,

alle cene e alle piume di Sardanapalo.

Ti ho indicato quei beni

che tu stesso puoi procurarti;

un sentiero soltanto si apre

a una vita tranquilla:

quello della virtù.

Se vige la saggezza,

non avrai altro nume.

Noi, solo noi, Fortuna,

t’abbiamo resa dea,

e collocata in cielo.