Vienna, il monastero di Santa Caterina del Sinai e Rochester (NY). Questi i luoghi in cui Giulia Rossetto, dottoranda a Vienna, studia manoscritti antichissimi con l’intento di renderli visibili e fruibili a tutti.

Ventiseienne Roveredana, dopo una laurea in filologia classica a Padova, Giulia ha deciso di coltivare la propria passione per il mondo antico direttamente sul campo e in modo decisamente originale (e invidiabile!). Il progetto di ricerca di cui fa parte è il Sinai Palimpsests Project. Un progetto che l’ha portata lontana, tra viaggi inconsueti, nuove esperienze e molte scoperte.

Giulia RossettoGiulia, le tue ricerche sui codici palinsesti si svolgono tra Vienna, Rochester (NY) e l’Egitto. Puoi spiegarci in cosa consiste il Sinai Palimpsests Project e di quali compiti ti occupi in questo progetto? 

Il Sinai Palimpsests Project è un progetto internazionale e interdisciplinare il cui scopo è recuperare i testi cancellati dai manoscritti palinsesti conservati presso la biblioteca del Monastero di Santa Caterina del Sinai usando le tecnologie più all’avanguardia. Il mio lavoro si articola su diversi livelli. Quando sono al Monastero mi occupo della descrizione codicologica di ciascun codice (legatura, dimensioni, fascicolazione, fogli palinsesti, lingua dei fogli palinsesti). A Vienna ordino e inserisco nel nostro database il risultato del lavoro svolto sul campo e anche quello dei paleografi che collaborano al progetto. Nel “tempo libero” mi dedico alla parte più prettamente tecnica del lavoro, e cioè rendere nuovamente leggibili i testi che non lo sono più. Ho appreso i metodi dai miei colleghi, li ho sperimentati durante un soggiorno al Rochester Institute of Technology negli Stati Uniti e ora li uso anche per le mie ricerche personali (ad esempio per il mio dottorato).

Se non lo hai già spiegato, cos’è un palinsesto?

Palinsesto è ciascun foglio manoscritto che sia stato scritto, cancellato e poi nuovamente utilizzato. Si tratta di un processo abbastanza comune fra X e XIV secolo, un modo per riciclare la pergamena. La biblioteca del Monastero di Santa Caterina possiede più di 150 codici palinsesti, risultando così una delle biblioteche più ricche al mondo per numero di questo tipo di manoscritti).

Generalmente che tipi di testi si possono leggere nei manoscritti e quali opere avete invece “riportato alla luce”? Avete fatto qualche scoperta particolare?

I manoscritti conservati a Santa Caterina sono per lo più di carattere religioso in quanto servivano, in primis, a supportare la vita monastica: troviamo dunque libri liturgici, bibbie, trattati teologici, ascetici, agiografici e via dicendo. Per quanto riguarda le nuove scoperte fra i testi cancellati, non posso ora entrare nel dettaglio in quanto i risultati devono ancora essere pubblicati (ma lo saranno a breve, on-line, sul sito del progetto), ma posso anticipare che i testi “riportati alla luce” conservano copie di testi classici e cristiani – talora mai attestati finora – in dieci diverse lingue (greco, siriaco, georgiano, arabo, aramaico cristiano-palestinese, latino, albanese caucasico, armeno, slavo ecclesiastico antico, etiope).

Vanno ad esempio annoverate la scoperta di testi medici greci fino ad ora sconosciuti, un foglio in siriaco contenente un passo da un’opera di Galeno, un largo numero di testi in aramaico cristiano-palestinese finora sconosciuti (non avevamo molti testi in questa lingua prima d’ora), tanti testi in maiuscola greca (IV-IX secolo) importanti per meglio delineare la storia della scrittura.

Prima di questo progetto solamente tre dei palinsesti erano stati studiati con un certo grado di approfondimento.

Quale è la storia del monastero di Santa Caterina del Sinai e come mai lì si trovano tanti palinsesti?

La fondazione del monastero di Santa Caterina del Sinai risale alla metà del VI secolo ed è stata voluta dall’imperatore Giustiniano nel luogo in cui Mosè avrebbe parlato con Dio nell’episodio del roveto ardente (il roveto è tutt’oggi visibile ed esiste una speciale cappella ad esso dedicata all’interno della basilica). Si tratta del più antico monastero cristiano ancora esistente: molto è rimasto com’era 1500 anni fa. Dal momento della sua fondazione il monastero è sempre stato meta favorita di pellegrinaggio da parte di tutti i cristiani e molti codici vi sono giunti in qualità di doni portati dai pellegrini. Altri manoscritti furono probabilmente copiati in situ, altri ancora portati da monasteri ed eremitaggi abbandonati che facevano riferimento a Santa Caterina.

I libri usati per la liturgia o per lo studio, destinati ad avere uno scopo pratico, non sono solitamente esemplari di lusso e per questo motivo venivano vergati su pergamena spessa, mal lavorata, riciclata, palinsesta. Questo spiega l’elevato numero di manoscritti palinsesti presenti al monastero.

Quale è stata l’esperienza più suggestiva che hai vissuto nei tuoi soggiorni al monastero di Santa Caterina? Come si svolge la vita lì e come cambia la realtà tra dentro e fuori il monastero?

Come esperienza più suggestiva direi la scalata del monte Gebel Musa (dove, secondo la tradizione, Mosè ricevette le tavole della legge): si sale di notte, col buio, e si arriva in cima giusto in tempo per vedere l’alba, attorniati da pellegrini di fedi diverse (ortodossi, cattolici, musulmani) che cantano gioiosi, tutti assieme.

Per quanto riguarda la vita al monastero: si lavora con ritmi molto serrati. Dalle 8.00 alle 12.00, poi 13.00-16.00, pausa vespri, e poi ancora 17.30-20.00. A volte alla mattina partecipo alla liturgia nella basilica a partire dalle 6.00, prima della colazione. Si respira un’atmosfera di quiete, pace e silenzio (soprattutto in quest’ultimo periodo in cui i turisti si contano sulla punta delle dita), non vorrei mai tornare a casa quando sono lì… Il monastero chiude le sue porte alle nove di sera e le riapre alle cinque di mattina: noi soggiorniamo nella foresteria gestita dai beduini che si trova a qualche metro dalle mura. Si tratta dell’unica struttura vicina al monastero. Attorno solo il deserto.

La regione del Sinai è considerata una delle più pericolose: come organizzi gli spostamenti e ti sei mai ritrovata in situazioni rischiose?

Per fortuna no. Tutti gli spostamenti sono organizzati dal direttore del progetto negli Stati Uniti. L’importante è avere il via libera del monastero: se i monaci dicono che va tutto bene e che possiamo andare allora non esitiamo. Loro conoscono bene il territorio che li circonda.

Quali sono le tecniche chcopystand_per_frammentie consentono di far nuovamente apparire la scrittura precedentemente cancellata e come si inserisce il Rochester Institute of Technology di Rochester (NY) all’interno del Sinai Palimpsests Projects?

Al Rochester Institute of Technology di Rochester (New York) esiste l’unico centro al mondo per la scienza delle immagini (Center for Imaging Science). In questo centro ci si cimenta con l’elaborazione digitale delle immagini applicata a diversi campi: medico, ambientale, governativo e anche culturale.

Per quanto riguarda il progetto del Sinai, i miei colleghi imaging scientists hanno creato delle lenti e delle luci speciali per fotografare ciascuna pagina palinsesta 33 volte a diverse lunghezze d’onda, dall’infrarosso all’ultravioletto. Successivamente, le immagini multispettrali vengono fra loro combinate mediante elaborazione digitale col fine di massimizzare la leggibilità del testo eraso. Questo processo può essere automatizzato o, nei casi più difficili, manuale. Nel primo caso due o più immagini vengono combinate in un’unica immagine sulla base della semplice aritmetica. Per fare un esempio: l’inchiostro ferrogallico – che solitamente viene usato per vergare i manoscritti – tende ad essere maggiormente visibile alla luce ultravioletta (lunghezza d’onda corta) e meno visibile alla luce rossa e infrarossa (lunghezza d’onda lunga). Dunque, sottraendo da un’immagine ultravioletta un’immagine infrarossa si ottiene un’immagine in cui il testo eraso risulta più leggibile. Quando si tratta di elaborazione manuale si vanno invece ad applicare speciali algoritmi a sezioni dell’immagine che si vogliono migliorare. Per fare questo usiamo software normalmente utilizzati per il telerilevamento da satellite come IDL e ENVI di Harris Geospatial, Matlab e infine Adobe Photoshop.

Il Sinai Palimpsests Project riunisce professionisti con competenze diverse in un lavoro di gruppo internazionale: esperti di codici, come codicologi, paleografi, filologi, ma anche specializzata in lingue diverse e tecnici dell’immagine. Si trovano facilmente situazioni analoghe nel campo della ricerca e si coordina facilmente il lavoro tra le diverse componenti?

Direi che oggi situazioni interdisciplinari di questo tipo sono e devono diventare sempre più comuni, basti pensare alla neo-disciplina chiamata digital humanities che mette assieme letterati, filologi, linguisti, programmatori, tecnici dell’immagine e matematici. Questo in Italia probabilmente non è ancora molto in voga, ma qui a Vienna ad esempio – tanto all’Università quanto all’Accademia delle Scienze – sono stati recentemente fondati due istituti dedicati a questa disciplina, che già a partire dal semestre che sta per cominciare verrà insegnata all’Università.

Detto questo, penso che il Sinai Palimpsests Project rappresenti un caso esemplare per la riuscita sinergia fra studiosi di ambiti diversi. Certo, non è semplice, perché molte volte le idee che si hanno sono diverse, ma è una sfida che vale la pena affrontare e che arricchisce moltissimo.

Come verranno organizzati i dati raccolti?

Stiamo preparando un biblioteca digitale che prima della fine dell’anno sarà accessibile on-line dal sito del progetto: sinaipalimpsests.org. Ricercatori, studenti e interessati potranno accedere, previa registrazione gratuita, alle immagini dei palinsesti. Ciascun manoscritto e ciascun foglio sarà corredato da descrizione codicologica, paleografica, contenutistica.

Infine, a maggio 2017, si terrà ad Atene la conferenza conclusiva del progetto, in occasione della quale tutti coloro che hanno partecipato al progetto presenteranno i risultati del proprio lavoro.