La casa editrice Voland ha pubblicato a febbraio questo Breviario dei vinti (Collana Intrecci, 126) di Emil Cioran, ed è un piccolo caso editoriale.
Si tratta del primo libro scritto in terra di Francia dal filosofo rumeno, tra il 1940 e il 1944, ma ancora nella sua lingua natale. Questo testo fu poi edito in Francia solo nel 1993, tradotto in francese da Alain Paruit per i tipi di Gallimard, dopo che per decenni Cioran ne aveva rifiutato la pubblicazione e anzi richiesto ripetutamente al fratello di distruggerne il manoscritto.
La traduttrice italiana, Cristina Fantechi, va direttamente alla fonte e per la traduzione utilizza il testo pubblicato in Romania nel 1991. Eppure, ed ecco il caso editoriale italiano, oltre a quello che coinvolge le pubblicazioni in rumeno e in francese, la Voland aveva già pubblicato un Breviario dei Vinti II, nel 2016 (Collana Intrecci, 114).
Si trattava di una seconda parte del testo di Cioran, scoperta dallo stesso Alain Paruit solo dopo la morte dell’autore, nel 1995. E Voland, per imperscrutabili ragioni editoriali, ha pubblicato quella seconda parte tre anni prima della prima…
Mutatis mutandis è un pò come se Schopenhauer avesse pubblicato i Parerga e Paralipomena prima de Il mondo come volontà e rappresentazione. O l’editore di Proust avesse proposto al pubblico La fuggitiva prima de La Prigioniera. Ma in realtà non è proprio come leggere il Secondo Chisciotte di Cervantes (o di Avellaneda) senza aver letto il primo…
In effetti si tratta di due opere a sé stanti, che per il loro carattere frammentario, come del resto nello stile di Cioran, possono essere lette senza tener conto dell’ordine di pubblicazione. Così questo testo, inedito in Italia, raccoglie i frammenti dall’uno al settanta e il precedente volume quelli dal 71 al 140.
Quello che salta all’occhio è invece uno stile non consono all’autore che conosciamo dalle sue opere più mature. È un Cioran, non solo anagraficamente, più giovanile, dallo stile molto lirico, quasi poetico, ma per niente acerbo, anzi già in pieno possesso della sua forza espressiva e di quelle tematiche, intrise di cafard e di pessimismo, che andrà poi sviluppando nelle sue opere successive.
Ma questo stile, così ricco di sfumature e di visioni, sarà il motivo principale per cui il filosofo ne osteggiò fin quasi alla fine la pubblicazione con lui ancora in vita, per poi accettarne l’uscita, ma solo in una versione ampiamente rimaneggiata, che potesse diluire quello stile debordante, per riportarlo nell’alveo della precisa coincisione e delle secche stilettate della maturità.
Si nota certamente l’influenza e anche continui rimandi e citazioni, prese come spunto per approfondite meditazioni, dei libri dell’Antico Testamento: su tuttiGenesi, i libri sapienziali di Giobbe e l’immancabile Qohélet (che in Italia bisogna assolutamente leggere nella versione del da poco scomparso Guido Ceronetti, Adelphi, 2001) che negli anni della Seconda Guerra Mondiale andava continuamente leggendo e studiando, proprio mentre componeva il Breviario, per rovesciarne i rapporti di predicazione.
«Con ardore e amarezza ho cercato di cogliere i frutti del cielo – e non ho potuto. Essi si levavano verso non so quale altro cielo, mentre tendevo le mie mani golose della loro feracità.
Le volte piegavano i loro rami sulle nostre preghiere colme di speranza; quando queste si acquietarono, quelle persero i loro frutti.
In cielo non vi è né fioritura né raccolto. Nella sua dimora, non avendo nulla da sorvegliare, Dio, per ingannare la noia, fa il deserto nei giardini dell’uomo»
Ecco il tema del Paradiso Perduto, della scacciata di Adamo ed Eva dall’Eden, dove nei cieli vuoti rimane un Funesto Demiurgo a trastullarsi con il Nulla e indifferente alle avversità e alle tragedie quotidiane che colpiscono un’umanità frustrata dalla caducità dell’Essere, non dissimile dal Non-Essere (tanto che il dilemma è in realtà una coincidenza di presunti opposti), in questa vita che inizia dall’incoveniente di essere nati.
«Vivere: specializzarsi nell’errore. Ridersela delle verità certe della fine, non tenere conto dell’assoluto, trasformare la morte in burla, e l’infinito in casualità. Non poter respirare che nelle profondità dell’illusione. Il semplice fatto di esistere è talmente grave che, a paragone, Dio non è che un mero trastullo. Armati dagli accidenti della vita, faremo irruzione nelle certezze crudeli che ci spiano. Le saccheggeremo, ci scaglieremo contro le verità, attaccheremo le luci inesistenti. Voglio vivere, ma da ogni parte mi balza contro lo spirito, difensore delle cause del non-essere.
…Così, nel suo amore per se stesso, l’uomo brandisce la spada nella crociata degli errori»
Un giovane Cioran che in una Parigi occupata dai Nazisti, pur sentendosi “il più straniero degli stranieri”, sradicato in cerca di consolazione, mentre passeggiava lungo Boulevard Saint-Michel, sembrava nutrire ancora una qualche speranza, non escatologica, non di natura politica o religiosa, per questo già profondamente disincantato, apolide ed ateo. Ancora nutriva una speranza.
Una qualche flebile, retorica speranza nella bellezza e nel lirismo della lingua, nella luce della Poesia, nella forza espressiva della Parola, simile alla Parola delle Sacre Scritture, che non avvicinasse a un Dio assente, ma che potesse quanto meno lenire il pessimismo esistenziale, cosmico, una lingua contenta di fiorire nel deserto, come quella famosa ginestra sul Vesuvio, così era Cioran a Parigi:
«E in pieno giorno, scosso dalla suggestione di un’assenza, la mancanza della mia ragione d’essere si animava grazie alle fragranze della città. Questo è il fascino di Parigi: rivestire i mali incurabili dell’anima delle consolazioni della bellezza, riempire di impalpabili sortilegi i vuoti creati dal vivere nel tempo. Questa città ci capisce»
Emil Cioran
Breviario dei vinti
Traduzione di Cristina Fantechi
Voland
2019
Emil Cioran
Breviario dei Vinti II
Traduzione di Cristina Fantechi
Voland
2016