Donna Leon, un nome che a un lettore italiano non dirà nulla, o quasi. Eppure è stata tradotta persino in cinese e in ceco, e i suoi libri hanno raggiunto un livello di fama mondiale. Ma c’è di più. Un particolare di non secondaria importanza: Leon vive e lavora in Italia, precisamente a Venezia, e scrive tutti i suoi gialli ambientandoli proprio nella celeberrima città lagunare. Protagonista d’elezione è il commissario Guido Brunetti, uomo intelligente e determinato, ma soprattutto onesto, cosa da non sottovalutare nello scenario fosco di intrallazzi e corruzione che i libri di Leon mettono a nudo.
Incuriosita da questa “scoperta” – fatta del tutto accidentalmente mentre scrivevo l’articolo sui bestseller tedeschi del giugno 2015 – non potevo che pormi qualche domanda prima di iniziare a leggere il primo libro della serie dedicata a Brunetti, Death at La Fenice.
Perché mai non esistono traduzioni in italiano dei libri di Donna Leon? Possibile che nessun editore ci abbia pensato?
Quasi subito scopro che è lei stessa ad aver messo il veto. Detesta la notorietà, leggo, non vuole essere riconosciuta, vuole vivere in pace a Venezia e continuare a scrivere in una sorta di anonimato che, tuttavia, al contrario di chi usa semplicemente uno pseudonimo (ricordiamo altri casi già affrontati in questa rubrica, come quello di Elena Ferrante o di Fred Vargas), le sottrae un’ampia fetta di mercato.
Perché, dunque, negare al grande pubblico italiano il privilegio – o almeno così lo vedo io – di leggersi con gli occhi degli altri, e, in particolare, con gli occhi di una persona che ha scelto una delle nostre più belle città d’arte per vivere? Si tratta forse di snobismo? O i libri che scrive Donna Leon sono pensati essenzialmente per quel tipo di pubblico straniero – non tutto, certo – che conosce l’Italia per luoghi comuni e stereotipi, e che rifugge, in un certo senso, la complessità della nostra realtà?
Ho deciso, dunque, di leggere Death at La Fenice, storia incentrata sulla misteriosa morte di un famoso direttore d’orchestra, per rendermi conto di prima mano se effettivamente i libri di Donna Leon sono confezionati appositamente per il “turista perfetto” – quello che si lascia guidare e si accontenta delle viste da cartolina. In tal caso, tuttavia, non ci sarebbe bisogno di vivere a Venezia. Né tantomeno di conoscere in modo così approfondito, come l’autrice dimostra, calli e sestieri, oltre che dinamiche investigative e poliziesche tipicamente italiane.
In Death at La Fenice spicca, in particolare, la sapiente descrizione psicologica dei personaggi e la capacità dell’autrice di costruire un intreccio complesso e intrigante attraverso cui si sviluppa un legame empatico tra il lettore e Brunetti che fa da preludio a una lunga futura affezione. C’è molto della Venezia altolocata, in questo libro, ma c’è anche la normale quotidiana complicità di Brunetti con la moglie, e la volontà del commissario di far luce fino in fondo nella vita e nel passato di una vittima eccellente che tutti apprezzano per le sue doti artistiche senza (quasi) mai pensare alla dimensione umana.
Questa, a pensarci bene, può essere la prospettiva per inquadrare Donna Leon, la scrittrice che non vuole far leggere i suoi libri in italiano: non lo snobismo, o il paternalismo, né la paura di essere di giudicata o di non essere presa sul serio. Qualunque siano le ragioni della sua scelta, la sfera umana e quella artistica spesso non coincidono.
E a poco serve, credo, accusarla di volerci pugnalare alle spalle, a nostra insaputa, con gialli che espongono al pubblico internazionale le nostre “magagne” (come ho avuto modo di leggere qui, ad esempio). Forse quello che Donna Leon vuol fare è semplicemente raccontare storie, finzioni, ambientate in una Venezia che esce direttamente dalla sua esperienza e dal suo immaginario, senza essere costretta a giustificarsi della realtà o meno di questa immagine. Forse, sarebbe il caso di dirlo, dovremmo smettere di vedere sottintesi o secondi fini ovunque, e semplicemente imparare a goderci le storie che una scrittrice americana che vive in Italia ha voglia e tempo di raccontarci.
Autore: Donna Leon
Titolo: Death at La Fenice
Editore: Harper
Anno: 1994
2 commenti
Sono veneziana per parte di madre e padovana per parte di padre. Ho visto la serie del commissario Brunetti in spagnolo. Triste e deprimente. Non si salva quasi nessuno, a parte il sergente Vianello. O sono ricchissimi e vivono in palazzi meravigliosi (evidentemente Venezia è dopo Londra la città con più alta concentrazione di miliardari) o sono ‘popolino’. Sembra che veneziani/e parlino ‘porconando’ in continuazione e bevano vino a tutte le ore della giornata, anche di prima mattina. Tutti più o meno corrotti e/o vigliacchetti e le forze dell’ordine diversamente abili… Personaggi stereotipati e macroscopiche inesattezze imperdonabili dopo quasi quarant’anni di permanenza a Venezia. Non ha lo stile di Georges Simenon né la grandezza di Thomas Bernhardt.
Perché ho guardato? Perché Venezia merita sempre di essere guardata. Peccato che le serie italiane si svolgano praticamente da Roma in giù. Ma sto molto apprezzando Rocco Schiavone in Val d’Aosta.
Mi pare evidente che il motivo per cui Donna Leon ha rifiutato di essere tradotta in italiano è che cerca di risparmiarsi le giuste ire dei suoi ospiti. INGRATA.
Corrono voci che, di recente, Donna Leon ha avuto un colloquio con una traduttrice italiana ben noto.