Per molto tempo la mia conoscenza dei fumetti si è limitata a Topolino – e non è una rivelazione che mi sento di fare a cuor leggero considerando quanto il nerd fumettistico sia il nuovo cool, o qualcosa del genere.

Tuttavia, nonostante la passione imperitura per le avventure di Paperino e zio Paperone, la vera e propria epifania riguardo ai comics l’ho avuta di recente leggendo Echo di Terry Moore – una raccolta che mi ha aperto gli occhi sulle potenzialità di questa forma di narrazione unica e, in alcuni casi, persino “più scrittadi un romanzo.

Echo possiede in effetti una forza trascinante, una complessità che trabocca da ogni tavola e contorno, un sottointeso sempre presente che lascia il tempo e il modo di colmare le assenze, di riprodurre un intreccio a solida base dei disegni. Insomma, quella che vede protagonisti Annie, Julie, Ivy, Dillon e Caino è una storia “spessa”, che mescola con nonchalance ingredienti da nulla: fisica, esistenzialismo, politica, riflessioni sulla morte e su Dio.

Tutto ha inizio con la misteriosa morte di Annie, scienziata impegnata nella sperimentazione di una lega metallica dagli straordinari poteri, in grado di aderire perfettamente a un tessuto organico come la pelle e di assorbire dalla persona che la indossa emozioni, sentimenti ma anche qualcosa di biologico. La scienziata durante il collaudo di una tuta realizzata con questa particolare lega metallica salta in aria – letteralmente – e la tuta viene ridotta in tante piccole palline che assomigliano a quelle del mercurio quando tanti anni fa, capitava ancora di rompere velenosissimi termometri. Nel mezzo del deserto, qualche km più in basso, una giovane donna in piena crisi familiare ed esistenziale di nome Julie finisce per essere suo malgrado il nuovo organismo a cui la lega si “attacca” conferendole il potere di far saltare in aria chiunque cerchi di ucciderla, ma anche di curare inspiegabilmente chi le sta vicino.

Cosa sia questa lega, come funzioni, e perché possa arrivare a distruggere il mondo se usata nel modo sbagliato poco importa. Il meccanismo è chiaramente quello dell’escamotage narrativo per cui qualcosa sembra essere importante – il fulcro di tutta la storia – ma in realtà non lo è, o meglio, lo è solo in quanto perno attorno a cui ruota tutto il resto. E se questo vale per i fumetti proprio come per i romanzi, Echo è nondimeno un perfetto esempio di cosa voglia dire narrare per immagini – non perché di per sé basti il linguaggio delle figure, ma perché si tratta di una comprensione più incentrata sul vedere che sulla logica del pensiero. Lo smarrimento di Julie, che si trova a dover affrontare i dilemmi e gli aspetti più terrificanti di una sensazionale scoperta scientifica destinata a distruggere o a salvare il mondo, è quasi sempre tutto concentrato nei suoi occhi, nella forma della sua bocca e nell’espressione, più che in una particolare battuta. Ed è proprio questo che porta il lettore a chiedersi se una storia come quella di Echo avrebbe lo stesso impatto se venisse spiegata o narrata tradizionalmente piuttosto che mostrata.

La risposta, in parte, è semplice: no.

In quella famosa intervista di François Truffaut ad Alfred Hitchcock pubblicata con il titolo Il cinema secondo Hitchcock (Il Saggiatore 2014), che prima di essere libro è una grande lezione di cinema, il buon vecchio zio Alfie racconta di come ogni scena dei suoi film fosse girata seguendo un canovaccio disegnato – quasi un fumetto ante-litteram. Quando puoi mostrare e far vedere, non c’è bisogno di spiegare, insomma. Non so se questo possa valere per tutti i fumetti. Di certo, però, Echo di Terry Moore, è una storia da leggere prima di tutto con gli occhi.

Autore: Terry Moore
Titolo: Echo
Titolo originale: Echo
Traduzione: Favia L.
Editore: Bao
Anno: 2014