Pietroburgo, Russia degli zar: da questo scenario è necessario partire per comprendere l’opera. Fin dal 1722 Pietro il Grande impose una società rigidamente ripartita in classi sociali (esisteva, ancora, la servitù della gleba!), divisioni presenti anche nell’apparato amministrativo dello stato: trattavasi inevitabilmente di un’organizzazione burocratica, statica, nella quale era comune la prepotenza della classe superiore su quella inferiore. Unica eccezione a tale immobilismo il tentativo degli uomini di risalire parzialmente la scala sociale, risalita spesso non esente da sopruso e corruzione.

Ecco, già, l’elemento di rottura: Akakij Akakievic si sottrae a tale prassi comune. Egli vive soltanto della passione per il suo mestiere di funzionario di scrittura. Dice infatti l’autore: “raramente si sarebbe potuta incontrare una persona che vivesse così il suo lavoro. È poco dire: lavorava con zelo; no: lavorava con amore”. E ancora: “un direttore, una brava persona, volendo ricompensarlo per il lungo servizio, ordinò di affidargli qualcosa di più importante della solita ricopiatura (…). Ciò lo obbligò a un tale lavoro, che fu tutto un sudore; si terse la fronte e alfine disse: no, è meglio se mi date qualcosa da trascrivere”.
Egli è pertanto un “uomo contro”, un diverso, anche se manifesta questa sua diversità in modo totalmente passivo, anti-eroico, conducendo un’esistenza grigia, uniforme, sempre uguale a sé stessa. Ma nella società non vi è spazio per la diversità dell’individuo; il diverso va osteggiato, denigrato (come fanno con lui i suoi colleghi di dipartimento), possibilmente annientato.

Fatale si inserisce a questo punto la vicenda-cappotto, attraverso cui il destino fa rientrare il protagonista nell’ordine sociale pre-costituito che lo vuole inesorabilmente vinto, inferiore agli altri, provocandone addirittura la morte, seppur sopraffandone alla fine un velleitario tentativo di ribellione.

La sorte infatti prima sembra giocare a favore di Akakij Akakievic facendogli acquisire grazie al cappotto nuovo quel rispetto sociale che gli era sempre mancato. Anzi, la sola attesa dell’indumento ordinato al sarto Petrovic è un’autentica luce nel grigiore della sua vita. Racconta Gogol: “da allora era come se la sua stessa esistenza fosse diventata in un qualche modo più completa, come se si fosse sposato, come se un’altra persona vivesse con lui, come se non fosse solo, ma una piacevole compagna di vita avesse acconsentito a percorrere al suo fianco la strada della vita: e questa compagna non era altro che quello stesso cappotto (…). Era diventato in un certo qual modo più vivace, persino di carattere più fermo”.

Tuttavia, quella stessa la sorte che inizialmente pareva così benevola, conduce il nostro impiegato alla rovina: egli è pur sempre un debole che non conosce il mondo, la sua vastità (simboleggiata dall’ampiezza della piazza in cui avviene il furto) e la cattiveria dei suoi abitanti.

Totale, inoltre, è la sfiducia dell’autore nei confronti della giustizia umana, i cui rappresentanti si rivelano attratti solo dal godimento che deriva loro dall’esercitare il potere sugli altri nonché volutamente persi fra i mille formalismi del loro burocratico incarico. Sono perciò inadatti ad aiutare il protagonista, il quale ha verso di loro un moto di ribellione; è questa, forse, l’unica eredità positiva lasciatagli da tutta la vicenda: finalmente ha voglia di lottare contro le ingiustizie subite, vuol far sentire la sua voce, ma tale reazione dura in fondo troppo poco.

All’assenza di giustizia umana non fa in Gogol da contraltare nemmeno la presenza di una giustizia divina. Anzi, nella storia di Akakij Akakievic e dei torti da lui subiti spicca una sorta di “assenza di Dio”. E tale silenzio è solo raramente interrotto, come quando, ad esempio, il protagonista, stanco dei colleghi che lo deridono, mormora: “io sono tuo fratello”, con la parola “fratello” utilizzata nella sua accezione “cristiana”; stesso significato sembrano avere anche le seguenti frasi di Gogol, velate fra l’altro di una certa dose di pietismo: “e Pietroburgo rimase senza Akakij Akakievic, come se questi non fosse mai esistito. Scomparve e dileguò un essere che nessuno aveva mai difeso, che nessuno aveva mai amato, che non aveva suscitato mai l’interesse di nessuno, neppure l’attenzione del naturalista, che pure non tralascia di infilzare sulla spilla una comune mosca e di osservarla al microscopio; un essere che sopportò pazientemente gli scherni dell’ufficio e che scese nella tomba senza aver compiuto alcuna opera eccezionale, ma per il quale tuttavia, sia pure alla viglia della morte, apparve un ospite luminoso sotto forma di cappotto; un essere sul quale poi in modo così spietato si abbattè la sventura, come si abbatteva contro gli zar e contro i dominatori del mondo…”.

Puramente grottesca risulta invece essere nel finale, a testimonianza dell’esistenza di una sorta di “vita ultraterrena”, la descrizione del fantasma di Akakij Akakievic ladro di cappotti altrui.

La trama

Ambientato nel mondo dell’amministrazione burocratica, Il cappotto narra la vicenda di Akakij Akakievic Bašmackin, personaggio umile, timido, che conduce un’esistenza sempre uguale, fatta solo del suo lavoro di ricopiatore di testi, incarico che continua a svolgere anche a casa, dopo cena, non sapendo fare altro. Deriso da colleghi e superiori per la sua mitezza, la sua vita subisce però un’improvvisa accelerazione quando riesce, non senza sacrificio dato il suo modesto salario, a farsi confezionare dal sarto Petrovic un nuovo cappotto poiché quello vecchio è troppo consunto da essere inutilizzabile. Indossare il nuovo indumento è per il protagonista una gioia che rompe la monotonia della routine quotidiana e che gli fa acquistar il rispetto dei suoi colleghi i quali lo invitano per la prima volta ad una festa.

Ma la disgrazia è dietro l’angolo: la notte, di ritorno da questo evento, viene derubato del suo cappotto nuovo. Finalmente deciso ad ottenere giustizia, non è per nulla aiutato dai burocrati a cui si è rivolto, chiusi nella propria alterigia. Deluso e amareggiato, muore di freddo e di crepacuore. Ma la sua vicenda non termina qui: alla gente sembra di vedere il fantasma di Akakij Akakievic derubare i signori dei propri cappotti; ne fa le spese anche un presuntuoso personaggio a cui il protagonista si era invano rivolto per avere giustizia: solo questo furto sembra tra l’altro placare l’ira dello spettro.

L’autore

Nikolaj Vasil’evic Gogol’ nacque nel 1809 a Velikie Sorocincy (Ucraina, allora territorio dell’Impero Russo), da una famiglia di piccoli proprietari terrieri; il padre fu uno scrittore di commedie in lingua ucraina e russa, mentre la madre si caratterizzava per la sua forte personalità e per essere una fervente religiosa.Terminati gli studi liceali, periodo a cui risalgono le prime esperienze letterarie, si trasferì a Pietroburgo dove trovò lavoro dapprima come funzionario dell’economia di Stato e successivamente come professore aggiunto di storia universale all’Università (incarico che manterrà però per un solo anno). Conobbe molti letterati del suo tempo sia a Pietroburgo sia viaggiando per l’Europa (Svezia, Germania, Svizzera ma anche Parigi, Roma e Mosca).

Nel 1845 a Francoforte si ammalò gravemente ma, nonostante le sue precarie condizioni di salute, continuò la sua produzione letteraria. Del 1847 è invece un evento particolarmente significativo: la conoscenza con l’arciprete Konstantinovskij, che eserciterà un’influenza religiosa ossessiva su Gogol’, facendo aggravare la nevrosi di cui già da tempo soffriva.

Dopo altri viaggi (Malta, Costantinopoli, Gerusalemme, Odessa, Kiev) e dopo essersi visto rifiutare nel 1850 una proposta di matrimonio rivolta a una dama del suo tempo, Gogol’ vide aggravarsi le sue condizioni di salute ma rifiutò sempre cibo e medicine. I medici decisero di curarlo contro la sua volontà e con metodi energici e dannosi, tanto da provocarne la morte il 21 febbraio 1852. Solo pochi giorni prima Gogol’ diede alle fiamme il secondo volume de “Le anime morte”, una delle sue opere più famose, probabilmente a causa di una crisi religiosa legata al contrasto fra il desiderio di comprensione cristiana verso gli altri da una parte e il desiderio di sottoporre a dura satira i costumi della società russa dall’altra.

Particolarmente inquietante una vicenda relativa alla sua sepoltura: alla ricognizione della tomba, il cadavere è stato trovato voltato a faccia in giù, il che ha dato adito alla possibilità che lo scrittore sia stato sepolto vivo; la scoperta risulta inquietante alla luce del fatto che la maggior paura di Gogol’ da vivo era proprio la tafofobia, ossia il terrore di venire sepolto vivo.

Tra le sue opere più significative si annoverano molti racconti fra i quali Taras Bul’ba, Vij, Il naso, Il cappotto, Memorie di un pazzo (questi ultimi tre tratti dalla raccolta “Racconti di Pietroburgo”).

Autore: Nikolaj Gogol
Titolo originale: Шинель
Traduzione: E. Bazzarelli
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Anno: 2006