Tre mesi o poco più è il tempo intercorso fra il recapito al sottoscritto della busta con mittente svizzero (per la precisione uno studio legale, cosa da far sorgere qualche patema d’animo in merito alla comparsa di possibili aloni sulla finora immacolata personale fedina penale!) contenente la presente opera e la pubblicazione della relativa recensione. Troppo.

Ne chiedo venia all’autore, il quale non scuserà di certo la neanche tanto stereotipata disorganizzazione italica, specialmente se raffrontata alla proverbiale elvetica puntualità.

Sono fiducioso sarà più indulgente sapendo che il ritardo è dovuto a non procrastinabili impegni di carattere professionale del recensore. Il quale, vuole la fatalità, opera guarda caso in un settore economico invero piuttosto contiguo a quello del protagonista della sua opera.

Ma al bando le vicende private, concentriamoci sul libro di Luca Brunoni.

Il protagonista, che parla sempre in prima persona e per questo rimane anonimo, è un giovane in carriera nel mondo bancario. Il suo conto corrente è mensilmente rimpinguato da un ottimo stipendio, tale da permettergli di acquistare un appartamento di ampia metratura e con tutti i confort nella nuova zona residenziale di Milano, quella ultramoderna, magari con le facciate a vetri fumé. I suoi vicini sono gente come lui, molto impegnata nel lavoro, dunque stressata per antonomasia. Perché, e il nostro beniamino lo sa bene provandolo tutti i santi giorni sulla sua pelle, la banca chiede dedizione assoluta, con una sfilza di ore trascorse in ufficio ben oltre le canoniche otto giornaliere, nonché totale disponibilità a servire il cliente.

Ma il protagonista è convinto sia questa la felicità. Basterà un soggiorno a Barcellona, dove sarà inviato proprio dalla banca per farlo partecipare a un corso di lingua spagnola full immersion (bizzarro: un corso di spagnolo proprio nella culla dell’indipendentismo catalano!), a spazzare via le certezze sin qui accumulate. Perché, come ogni viaggio che si rispetti, anche questo è prima di tutto un percorso compiuto dentro sé stessi.

Il personaggio di Brunoni si scoprirà fragile, comprenderà di aver in fondo scelto di vivere un’esistenza che non ama, non tanto per reale inclinazione verso le discipline economico-finanziarie quanto per un senso di rivalsa sociale, provenendo da una famiglia di umili origini. Ma la ricchezza è nulla se non si possono coltivare le passioni e i sentimenti che ci rendono autenticamente noi stessi e non meri ingranaggi di un ambiente lavorativo che ci vuole letteralmente schiavi. E, aggiunge il sottoscritto, fra outlet aperti perfino il dì di Pasqua e infortuni sul lavoro causa scarsa sicurezza, si potrebbe all’uopo aprire un autentico dibattito circa il ruolo del lavoratore in diversi settori nei moderni tempi di crisi o post-crisi (tranquilli non lo si farà: questo è un blog di letteratura, non sui diritti sindacali).

Le ultime parole non sono casuali: la InvestMedia, la banca per cui il protagonista lavora, avrà un ruolo decisamente attivo nell’influenzarne la mente, ma di più non si vuole dire in questa sede, volendosi piuttosto solleticare la curiosità del lettore. Aggiungendo pure che, nel tentativo di riscoprire la vera essenza della sua vita, il protagonista troverà proprio all’interno dell’azienda un insospettabile alleato…

Avverrà anche un incontro che sembra un po’ ispirato all’hemigwaiano Il vecchio e il mare.

Iniziano così settantadue ore vibranti, frenetiche, raccontante con un ritmo incalzante, a tratti inframmezzate da flashback sul passato dell’io-narratore tali da spezzare gli accadimenti in maniera improvvisa e a volte un po’ brusca. Alla vicenda fa da sfondo un insolito cielo plumbeo, richiamato dal titolo, i cui tuoni potenti e fragorosi ben raffigureranno la portata della rivoluzione che il protagonista saprà imprimere alla sua esistenza.

A questo punto sono pertinenti alcune riflessioni.

Innanzitutto, la location. Non c’è dubbio alcuno che nei desiderata dell’autore vi fosse il tentativo di intridere la storia con l’essenza più profonda della città di Barcellona. Come se il “canovaccio” non avesse potuto svilupparsi in questo modo se l’ambientazione non fosse stata collocata nella metropoli catalana. Ebbene, a mio parere, questo esperimento è riuscito solo in parte. Se si eccettua infatti la traversata della città durante un’arrembante Correfoc, la corsa del fuoco, la trama del romanzo avrebbe potuto tranquillamente svilupparsi così com’è in un’altra città di mare e di movida (a proposito: esiste un equivalente vocabolo in catalano anziché in spagnolo-castigliano?) tipo, che ne so, Miami. Oppure Ibiza. Non appare sufficiente nominare la Rambla, il Parc Güell, la Sagrada Familia o svariate tipicità gastronomiche del luogo senza sottolineare come proprio Barcellona, con la sua vocazione autonomista, la sua architettura innovativa (gaudiana!) sia essa stessa un crocevia di libertà e di ribellione. Elementi, guarda caso, del tutto paralleli ai sentimenti del protagonista, con il suo profondo bisogno di rivoluzionare la sua vita. Anche percorrendo l’impervia strada della ribellione.

Azzeccato il finale: senza volerlo qui anticipare, l’autore non dice nulla in merito alla “nuova vita” del suo personaggio, passando senza rimpianti il testimonio alla libera ispirazione del lettore.

Autore: Luca Brunoni
Titolo: Il cielo di domani
Editore: Fontana Edizioni
Anno: 2016