Serena Vitale, dopo aver indagato nel suo libro Il bottone di Puškin la morte del celebre poeta. In quest’ultimo Il defunto odiava i pettegolezzi mette sotto la sua lente d’ingrandimento di slavista, professore ordinario di lingua russa alla Cattolica, bibliofila e archivista, la morte di Vladimir Majakovskij.

Ne viene fuori una narrazione per frammenti. Come frammentaria è la vicenda della morte di Majakovskij, il grande poeta. Avvolta nel mistero dei documenti secretati per anni nell’ex Unione Sovietica. Trasfigurata dalle illazioni e dai pettegolezzi. Stravolta da chi in quel suicidio volle vedervi un omicidio di stato.

Tra questi ultimi Sergej Ejzenštejn che in un appunto di diario, rimasto inedito per quasi mezzo secolo, scrive:

«Bisognava farlo fuori. E lo hanno fatto fuori… Uccidere una persona con le sue stesse mani è la più terribile forma di omicidio, sacrilega e crudele».

Del resto da quando archivi prima inaccessibili aprono le porte, «Improvvisati investigatori elaborano e divulgano sempre nuove congetture sulla morte di Majakosvkij. È ormai entrata nella galleria dei Grandi Misteri del XX secolo». Serena Vitale comprende anche questo. Secondo lei dietro la nuova e altissima ondata di “pettegolezzi” s’indovina l’ossessione del complotto, amplificata e divulgata da internet, malattia dei tempi privi di ideologie.

Serena Vitale riprende in mano tutti i documenti ed espone di nuovo la morte del poeta al prisma sfaccettato delle varie testimonianze e illazioni e pettegolezzi dell’epoca, illuminandola con la sagacia del fascio di luce della sua mente indagatrice, perché di nuovo questa controversa vicenda, come una lampada magica, rilasci i suoi bagliori mai assopiti sulle pareti bianche, come pagine intonse, sulle quali ripercorrere e riscrivere la storia.

Anche la prosa della Vitale, inevitabilmente frammentata tra le prove d’archivio e le dichiarazioni degli interrogati, diviene vagamente futurista. Prosa che sarebbe piaciuta al suo maestro, Angelo Maria Ripellino, il più grande di sempre. Quasi a seguire i versi del poeta Majakosvkij che, secondo una celebre frase di Marina Cvetaeva posta in epigrafe, avanti rispetto alla sensibilità dei lettori a lui contemporanei, parlava alle generazioni future e, appoggiato a un muro, in una svolta del tempo, attende che nascano i suoi lettori ideali, che svoltino infine l’angolo in cui è ancora fermo a fumare, per raggiungerlo e comprenderlo.

Un poeta ingombrante per la sua grandezza letteraria e per la sua stazza fisica. Come ingombrante sarà il suo cadavere, per decenni. Attorniato dagli enigmi di una morte sepolta da quel celebre ‘venticello’. Lui stesso lasciò una lettera d’addio (sulla cui originalità ancora si discute) in cui scrisse:

«A tutti. Non incolpate nessuno della mia morte e, per piacere, non fate pettegolezzi. Il defunto li odiava».

Così simile al biglietto d’addio di Cesare Pavese: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

Ma le risposte per quel gesto suicida si sono ricercate dappertutto, indagando nella sua esistenza a 360°. Nella sua vita sentimentale così anticonformista. Majakovskij era legato sentimentalmente a Lili Brik, la “musa con la frusta”, sposata a Osip, in un triangolo amoroso che anticipa quello descritto in Jules e Jim, romanzo di Henri-Pierre Roché e film di Truffaut. Fu la stessa Lili, “cattivo genio del poeta”, a fargli conoscere l’ultima sua amante, l’ultima che lo vide in vita e per la quale Majakovskij si sparò al cuore: Veronika Polonskaja.

Polonskaja di cui la Vitale ci riferisce di due contradditorie testimonianze. L’una rilasciata agli inquirenti subito dopo la morte del poeta e l’altra scritta otto anni dopo sotto forma di memorie. Perché tutto è doppio in questa storia. Due sono anche le armi che risultano agli atti. Anzi tre. Nel dossier Majakovskij fu rinvenuta infatti una Browning, mentre Serena Vitale, interrogando esperti di armi e confrontando le prove balistiche, appura come fosse invece un revolver Mauser l’arma che uccise il poeta e poi, come se non bastasse, fa la sua comparsa in questo giallo storico anche una Bayard…

Insomma, tante domande e altrettante risposte contraddittorie. Qualcuno le ha cercate nel suo stato di salute. Nel raffreddore continuo che affligeva il poeta, forse polmonite, forse tisi, qualcuno disse sifilide. Risposte cercate nelle sue poesie, dove tante volte viene evocato, come un sentore, il suicidio.

E sempre più spesso mi chiedo

Se non sarebbe meglio mettere il punto

Di una pallottola alla mia fine.

(Il flauto di vertebre, 1915)

O ancora:

Voglio essere capito

nel mio paese.

E se è impossibile

pretesa – poco importa.

Per il paese passerò

di sbieco quasi

Obliqua

pioggia.

(A casa, 1925)

O infine:

Come si dice

L’incidente è chiuso,

La barca dell’amore si è schiantata

Contro l’esistenza quotidiana.

Io e la vita pari siamo e a nulla serve l’elenco

Dei reciproci dolori, disastri, offese.

Buona permanenza al mondo.

(12-04-1930)

Risposte al gesto di togliersi la vita che si sono cercate anche nel suo cervello. Tre uomini in camice bianco si recarono infatti nella camera ardente. «Chi resta fuori sente colpi imprudentemente forti – si poteva credere che abbattessero un albero». Se ne escono con una vaschetta in cui s’intravede una piccola piramide tronca. È il cervello di Majakovskij. Massa cerebrale che viene sottoposta a numerose analisi, per finire infine al GIM, l’istituto statale del cervello, che cinque anni più tardi ne divulgherà i risultati: un cervello che, ovviamente, non poteva rivaleggiare con la straordinaria ricchezza del sostrato materiale del cervello di Lenin…

Insomma, come detto, Serena Vitale documenta e mette ordine in questo guazzabuglio, in questo pasticciaccio brutto della Russia di un tempo. Ne viene fuori un ritratto inevitabilmente contraddittorio, frastagliato, segmentato per i diversi punti di vista, le differenti presunte verità. Un quadro cubista, che raffigura la stessa persona, quel Vladimir Majakovskij fu poeta, ritratto da molteplici angoli visuali a partire da quella tragica mattina del 14 aprile 1930, in cui a Mosca si tolse la vita. Un ritratto finalmente ricomposto, da rileggere infine nella sua risolutiva completezza.

Serena Vitale
Il defunto odiava i pettegolezzi
Adelphi
Anno 2015