Ci risiamo. I libri dell’Editore Del Vecchio attraggono come una bella donna o una macchina sportiva. È un’attrazione fisica. Irresistibile. Dopo aver scoperto Roberto Arlt. Scopriamo Philippe Forest romanziere. Saggista lo conoscevamo già per i suoi saggi sul romanzo, indagato nel suo rapporto con il reale e con l’io. Saggi tra l’altro ormai introvabili, editi dieci anni or sono da Rizzoli, nella collana Scuola Holden.

Il Philippe Forest romanziere ha un chiodo fisso. Un tragico evento del destino che ripercorre continuamente, che rimane al centro della narrazione seppur indagato da diverse prospettive. Si tratta della morte della figlia. Dramma già narrato in “Tutti i bambini tranne uno” e in “Per tutta la notte”. Anche in “L’amore nuovo” il protagonista ha subìto il lutto di perdere una figlia ancora piccola. In questo ultimo romanzo invece, “Il gatto di Schrödinger”, il dramma dell’autore è solo accennato per introdurre la figura del narratore, fortemente autobiografico, come storyteller e affabulatore. Ci racconta infatti storie, così come le raccontava al capezzale della figlia.

T.S. Eliot nel saggio “La funzione della critica” del 1923, definiva la letteratura come un organismo chiuso, in cui l’ordine esistente tra le opere è autosufficiente prima dell’arrivo di una nuova opera. Perché l’ordine si conservi, una volta che intervenga il nuovo, l’intero ordine esistente dev’essere alterato e i rapporti, le proporzioni, i valori di ogni opera rispetto al tutto vengono risistemati. Chiunque condivida questa idea di ordine non troverà irragionevole, conclude Eliot, che sia il presente ad alterare il passato allo stesso modo in cui è il passato a governare il presente.

Forest afferma che «ogni nuovo libro aggiunge un cerchio ai precedenti. Ne costituisce la somma e contemporaneamente crea una specie di spirale che ci conduce più in là, ma sempre facendoci passare per gli stessi punti». Ecco cosa mi convince del fatto che i libri di Forest siano i capitoli di un unico libro. E questo ultimo suo romanzo non è che l’ultimo indispensabile capitolo per capire tutta la sua opera e gettare da questo presente nuova luce sul tutto. Così come il finale di un giallo, la scoperta dell’assassino, dona un nuovo significato agli indizi sparsi nelle pagine del libro.

Comunque sia. Il gatto di Schrödinger del titolo, chi ha fatto filosofia al liceo forse se lo ricorda. E ricorda anche che nessuno ha mai capito fino in fondo cosa significasse. Quel fenomeno paradossale per il quale una volta sottoposto all’esperimento il gatto chiuso nella scatola è contemporaneamente vivo e morto. Questo più che altro perché, come disse Nicolás Gómez Dávila, alla fine il pensiero del filosofo, più che quello che ha pensato, è quello che circola nella storia sotto il suo nome. Tutto finisce in stupidaggine. Figurarsi le astrazioni della fisica quantistica. Infatti quello che afferma Forest, e lo dice subito, è che questa è solo una favoletta destinata ai profani, come la mela di Newton, per dar loro un’idea di qualcosa che, tanto, non capiranno mai. Diciamo: un romanzo, una poesia.

Questo il punto di partenza.

Certo all’inizio del libro Forest ci disorienta introducendoci in un contesto di elucubrazioni teoretiche e quantistiche. Passa dal gatto di Schrödinger alla tartaruga inseguita da Achille di Zenone. Il tutto per sottoporci il quesito dei quesiti. Ovvero la reale realtà del reale e la questione di sapere se esso esiste al di fuori della rappresentazione che se ne fa la coscienza e in che forma. Quindi si chiede: esiste qualcosa oltre all’io? Cosa si può dire oltre il cogito ergo sum? Ovviamente la risposta non è il gatto, perché per sua definizione «il gatto lo si vede andar via ancor prima di averlo visto arrivare. La regola comporta pochissime eccezioni: il suo scomparire precede il suo apparire». Niente di fatto, non si può costruire un sistema, nemmeno una semplice teoria sul gatto. Allora meglio costruirci attorno un romanzo.

Ma il disorientamento rimane. Non si capisce bene cosa abbiamo in mano.

Un testo filosofico. Un compendio di fisica quantistica per profani. Un manuale su come la narrazione possa lenire tutti i mali, essendo infine l’unica cosa che esiste, in quanto astratta cogitazione. Una specie di thriller assurdo dall’ingranaggio puramente speculativo le cui peripezie si concatenano, ma dove non succede mai niente. Un trattato di fenomenologia felina? Alla fine ritengo che si tratti semplicemente di un diario, in egual misura autobiografico e romanzato. Là dove ogni autobiografia finisce in leggenda, se non in veridica menzogna.

La trama è sottile sottile. Gli accadimenti minimali. Si segue per lo più il filo del discorso tracciato dal girovagare imprevedibile del gatto. Infatti c’è il gatto, la notte, (in cui tutti i gatti sono grigi), una bimba morente e un padre che racconta storie. Storie di tutti i giorni, come un diario minimo. Ma tutto quanto dona una sensazione di quiete e di sicurezza.

La sicurezza della voce esatta di Forest. Nell’esattezza della parola la narrazione scorre lenta come un fiume in piena. Simile ai lenti flutti con cui ci trasporta la prosa di uno Javier Marías o di un Winfried Sebald, grandi narratori del nostro tempo, ai quali aggiungere, d’ufficio, anche Philippe Forest.

p.s Nella sua elegante stravaganza l’editore Del Vecchio pone in appendice dei suoi libri “La scatola nera del traduttore” dove in questo caso dà direttamente la parola alla traduttrice storica di Forest, Gabriella Bosco, che riesce a riproporre la stessa esattezza dell’originale nella nostra lingua, mantenendo fede alla norma inviolabile del traduttore: la leggibilità.

Autore: Philippe Forest
Titolo: Il gatto di Schrödinger
Titolo originale: Le chat de Schrödinger
Traduzione di Gabriella Bosco
Casa editrice: Del Vecchio
Anno: 2014