Pubblicato per la prima volta a New York nell’Aprile del 1943 sia in inglese che in francese, “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry è il libro francese più letto al mondo.

Forse non tutti sanno che, con la mezzanotte del 31 dicembre 2014, sono trascorsi i 70 anni dalla morte di de Saint-Exupéry richiesti dalle normative sui diritti d’autore per consentire a ogni editore di pubblicare la propria versione di questo assoluto capolavoro. Ecco perché, nelle ultime settimane, le librerie sono state letteralmente invase da nuove traduzioni de “Il Piccolo Principe”.

Tra le varie rivisitazioni, mi ha particolarmente colpita la nuova edizione per i Meridiani di Mondadori, con la traduzione di Leopoldo Carra. Un’edizione molto ricca, con disegni preparatori, commenti, interpretazioni, pagine del manoscritto originale, foto e “Lettere a un ostaggio”, il poema che de Saint-Exupery scrisse durante il viaggio d’esilio verso gli Stati Uniti, in fuga dalla Francia occupata, pensando a Leon Werth, l’amico a cui aveva dedicato “II Piccolo Principe”. Grazie a questo scritto ho potuto immergermi più a fondo nella visione del mondo di de Saint-Exupery.

È noto che de Saint-Exupery sia stato un aviatore e di come le circostanze siano ancora misteriose riguardo la sua scomparsa durante una spedizione, ma ho anche scoperto un uomo sensibile e in pena per il suo migliore amico Leon Werth (ebreo e per questo perseguitato), un uomo spaventato e solo di fronte a dei soldati pronti a giustiziarlo. Guardando poi le foto in bianco e nero mi sono sentita riportare indietro nel tempo, quando non servivano i filtri di Instagram a rendere un’immagine bella. Allora erano i semplici e timidi gesti ad emozionarci.

Da piccola, quando avevo letto Il Piccolo Principe, mi identificavo nel bambino biondo che girovagava per i pianeti e miei occhi si soffermavano molto sui disegni. Ora invece mi sento un po’ come l’adulto che non riesce più a disegnare. Non è mai stato spronato, in quanto la sua passione era sempre stata vista come un diletto puerile e privo di utilità. Eppure, quando si trova disperso nel deserto del Sahara a causa di un’avaria al motore e cerca di riparlo (scena autobiografica), incontra un bambino che con parole molto semplici lo spiazza: “Per favore… mi disegni una pecora?”. L’adulto all’inizio non gli dà corda, proprio perché è troppo impegnato con i problemi “veri”, tuttavia in seguito si siede e disegna per lui. Passerà poi le giornate accanto a questo bambino dai riccioli d’oro, il quale gli racconterà tutte le avventure che ha vissuto sul suo asteroide e sugli altri pianeti.

Ammetto che questa volta durante la lettura mi sono soffermata molto sulle parole e sul loro significato, indimenticabili poi sono quelle famosissime della volpe: “Si vede bene soltanto con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Due cose però non sono cambiate rileggendolo: l’affetto che provo per la volpe e la malinconia causata dalla fine del rapporto di intimità venutosi a creare tra l’aviatore e il bambino, perché “in fondo è di questo di cui parla il Piccolo Principe. Il bizzarro incontro di due anime in volo. Il pericolo, l’emozione, l’ignoto”.

Autore: Antoine de Saint-Exupery
Titolo originale: Le Petit Prince
Traduzione di Leopoldo Carra
Editore: Mondadori
Anno: 2015