Fuggire, senza voltarsi, poiché solo al ricordo è concesso di tornare sulle orme del passato.

Nel suo romanzo In terra straniera gli alberi parlano arabo Usama Al Shahmani racconta la storia di un migrante, di tutti i migranti, alla ricerca della propria identità in un mondo straniero, in cui la riscoperta delle proprie radici inizia nel confronto con l’altro.

Originario di Bagdad, in Iraq, Usama è costretto a fuggire in Svizzera a causa della guerra, di quella dittatura impietosa che massacra il suo paese, una terra lontana devastata da conflitto perenne e dal regime terroristico. In patria lascia la propria famiglia, lui che è il maggiore dei fratelli e non smette di pensare al loro destino nemmeno quando i chilometri si accumulano alle sue spalle.

Non è facile essere uno straniero, sentirsi ovunque estraneo, nella paura continua di dimenticare le proprie radici. Usama vive allora scisso tra una cultura che nonostante la diversità lo accoglie e le origini irachene che tuttavia sanguinano alla notizia della scomparsa del fratello più piccolo, Ali, disperso chissà dove tra le fosse comuni che testimoniano la guerra in corso.

Dalla Svizzera Usama apprende il significato di camminare, quell’incedere dei passi nella fitta vegetazione del bosco, spesso bagnata dalla pioggia, una pratica che non esiste in Iraq, dove non crescono i boschi, bensì le foreste di palme da dattero.

Sì, noi non camminiamo. Ci spostiamo, corriamo, passeggiamo, andiamo a zonzo. Sono le cose quotidiane che facciamo noi iracheni anche se non tutte con piacere.  Ma camminare, no, è impossibile. Potrebbe esserlo in senso religioso. Ci sono musulmani che fanno il pellegrinaggio alla Mecca. […] Altrimenti nessuno fa lunghi percorsi a piedi.

Così, nei pomeriggi trascorsi a camminare, Usama si appropria di questa usanza svizzera, respira gli alberi, studia le chiome che colorano il paesaggio, mentre pensieri puntuti affliggono la sua mente, trascinandolo nel dolore del proprio paese.
E la natura, dapprima ostile e poi fattasi amica, ricambia il suo sguardo, risponde alle sue parole, divenendo balsamo per le ferite dell’animo inferte dai ricordi.

Quando per settimane non sento un vocabolo nel dialetto iracheno meridionale, vado nel bosco e dico parole ad alta voce, come le dicevano i genitori e i nonni. Assaporo il ritmo lento che si avverte dalle loro parti. Parlando le parole vengono allungate con delicatezza, senza opprimerle. Le ripeto, mi ascolto e ho la sensazione di trovarmi nell’Iraq meridionale.

Oriente e Occidente si scontrano e insieme fondono nella persona di Usama, strappato alla normalità di una vita tranquilla dalle chiamate del fratello Naser, che lo aggiorna sulle ricerche senza esiti di Ali, il cui corpo ancora non si trova. Chiamate che sono squarci, brandelli di Iraq che irrompono nella vita dell’autore, quasi a inchiodarlo davanti alla sua scelta di fuggire, condannandolo a un immobilismo forzato e impotente in Europa.

Attraverso bozzetti di una quotidianità da ricostruire, Usama dà voce al dolore dell’anima che colpisce ogni migrante, impossibilitato a dimenticare il proprio paese, nonostante il male che ancora lì si compie, e al contempo eterno straniero in terra estranea, aggrappato al suono della propria lingua così diverso tra i rumori di una nuova casa.

Per me la patria vive nel mio animo. Io sono fuggito da lei ma lei non è fuggita da me.

Autore: Usama Al Shahmani
Titolo: In terra straniera gli alberi parlano arabo
Anno: settembre 2021
Editore: Marcos y Marcos
Pagine: 183