L’arte di collezionare mosche sembra apparentemente rientrare nella ‘bottonologia’, ovvero l’arte del futile. Fu Strindberg a coniare il termine ‘bottonologia’ nel racconto L’isola dei beati:

«Siccome per gli sfaccendati era difficile non fare proprio niente, si inventarono svariati lavoretti, più o meno insensati. Uno si mise a collezionare bottoni, un altro pigne di abete, pino e ginepro, un terzo si procurò una borsa di studio per viaggiare all’estero».

Sembrerebbe una definizione riduttiva, eppure quante cose scopre e quante avventure accadono a Sjöberg mentre è intento nei suoi futili atti. Avventure vere e proprie e avventure mentali.

Lo conosciamo all’inizio del libro impegnato a portare a passeggio un agnello, che di giorno in giorno si trasformerà in pecora. Il suo lavoro è quello di trovarobe al Teatro Reale di Stoccolma e il caso vuole che nel dramma Curse of the Starving Class di Sam Shepard debba apparire in scena un agnello vivo. Compito di Sjöberg sarà quello di accudire l’animale. Ma come si arriva, ad un certo punto della propria vita, bloccati in certe situazioni surreali?

A tutti succede di guardarsi attorno e domandarsi come abbiamo fatto a giungere a questo punto, travolti dal presente, volgiamo lo sguardo indietro e tentiamo di ricordare cosa avremmo voluto invece fare e a quale bivio del destino le cose hanno cominciato ad andare diversamente rispetto alle nostre ambizioni.

«Tutti quanti sentiamo il bisogno, di tanto in tanto, di lanciarci alla cieca in qualcosa per evitare di diventare una copia conforme alle aspettative del nostro ambiente, forse anche per trovare il coraggio di ricordare qualcuno di quei grandi pensieri arditi che spingono un bambino ad alzarsi in piena notte a scrivere con il batticuore una promessa segreta che riguarda la propria vita».

Così Sjöberg si ritrova su una piccola isola e inizia un altro tipo di avventura.

Qui, un po’ alla Sebald, un po’ alla Walser, diventa un poco flâneur (ma non tanto blasé, in quanto sempre semisommerso in qualche palude a cercare mosche) e ci porta a passeggio tra nomenclatura e letteratura, tra specie rare e aneddoti che riguardano la vita e le opere di scrittori come Thomas de Quincey, Bruce Chatwin, Milan Kundera, Tomas Tranströmer e altri.

Seguendo il principio secondo il quale non si può mai sapere a priori quali conoscenze, per quanto apparentemente insulse, possano un giorno rivelarsi utili. L’occupazione apparentemente futile di raccogliere e collezionare mosche, diventa lo spunto per sciorinare sotto i nostri occhi meravigliati un’intera specie e innumerevoli sottospecie di fatterelli singolari e aneddoti, spesso ilari e divertenti.

Da vero e proprio flâneur passa di palo in frasca ronzando in giro. Passeggia lentamente, questo scienziato-scrittore, va a zonzo lungo quel sentiero che divide nettamente i campi dell’entomologia da quelli della letteratura. Con una narrazione leggera e ondivaga, se non sembrasse troppo banale direi… a volo di mosca.

I suoi numi tutelari sono Linneo e Darwin. La sua principale occupazione è seguire da un’incolmabile distanza temporale le gesta ardite (e infine un po’ pazzoidi) del suo eroe René Malaise, inventore della migliore trappola per catturare i sirfidi. Sjöberg ricostruisce le avventure di Malaise in Kamčatka, nella Birmania, in quelle terre che nei primi decenni del ‘900 sulle cartine geografiche erano semplicemente descritte come hic sunt leones. Alla fine giungerà il declino e il grande scienziato si lancerà in teorie visionarie sull’esistenza e la scomparsa di Atlantide.

Ma il vero santo protettore di Sjöberg è il dottor Orlík, siccome è immortale, ed è solo un personaggio secondario, egli ha il compito di vegliare sul destino del narratore.

Il dottor Orlík si trova in Utz, il romanzo breve di Bruce Chatwin, forse il suo migliore e l’ultimo che scrisse prima di morire. In questo romanzo Chatwin narra la storia di Kaspar Utz, grande collezionista di porcellane e amico di Orlík, illustre scienziato, esperto dei parassiti dei mammut, ma anche gran conoscitore delle mosche e attraverso questa storia, Sjöberg cerca di far luce sul grande mistero del collezionismo.

Perché questo è il grande interrogativo che aleggia tra le pagine del libro di Sjöberg. Cosa spinge i collezionisti a dedicare una vita intera alla ‘bottonologia’? Quale impulso sotteso spingeva Malaise in capo al mondo a raccogliere insetti e il narratore stesso a passare intere giornate in una palude con un retino in mano? Un’ossessione che spesso è amore per la scienza e per la classificazione e che, come in questo caso, può diventare letteratura.

P.S. Complimenti per il restyling dei libri Iperborea. Il formato allungato (10×20: il formato dell’antico mattone di cotto) che contraddistingue i libri della casa editrice, ormai classico, è rimasto invariato, mentre sono cambiati la carta e il lettering. Complimenti soprattutto per il materiale delle copertine, una carta telata che sembra tessuto e impreziosisce il libro.

Autore: Fredrik Sjöberg
Titolo: L’arte di collezionare mosche
Titolo originale: Flugfällan
Traduzione: Fulvio Ferrari
Editore: Iperborea
Anno: 2015