Il deserto di Atacama è uno dei territori più estremi della Terra, dove una volta l’anno si verifica un evento che ha un ché di magico. In seguito a una mite pioggia, le piante che giacciono sepolte sotto la sabbia si risvegliano e danno alla luce dei coloratissimi fiori che infuocano il paesaggio. Nel giro di qualche ora, il sole rovente annienta le rose lasciando negli occhi la sensazione di un’allucinazione. Pochi fortunati hanno potuto assistere a questo evento e descriverne la meraviglia.
Ne “Le rose di Atacama” (Ed. Guanda) Luis Sepúlveda ha scelto di raccontarci la precarietà che accomuna l’esistenza di queste rose a quella di una serie di preziosi individui, nelle cui storie l’autore si è imbattuto. Essi sono al contempo umani qualunque ed eroi. Eroi silenziosi e discreti, il cui valore palpita sotto il deserto delle dittature, della tortura, della violenza e delle privazioni.
“Io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia“.
Così recita un’incisione su una pietra collocata nel campo di concentramento di Bergen Belsen.
Lo scrittore cileno parte proprio da questa terrificante presa di coscienza e, consapevole del potere nelle sue mani, fa dell’inchiostro uno strumento per comporre un inno agli ultimi, a “quelli che vengono sconfitti senza che nessuno gli abbia chiesto se volevano perdere”. La narrazione sconfigge l’oblio che, per chi lotta, è più doloroso delle ferite stesse.
“Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori”.
I protagonisti sono diamanti allo stato grezzo che di fronte all’annientamento che li circondava hanno deciso di imporre la loro esistenza. Lucas sognava di salvare i boschi della Patagonia. Il giornalista Juanpa rimase per sempre fedele solo alla verità. Il Signor Nessuno (Fritz Niemand), reso muto, cieco e castrato, ora vaga alla tormentata ricerca delle voci dei carnefici. Oscar, torturato e usato come esca per la cattura dei compagni che l’avessero soccorso, fece dell’immobilità e del silenzio strumenti di salvezza. Inna Pasportnikova, unica sopravvissuta tra le Rose Bianche di Stalingrado che combatterono il regime nazista, oggi vende i suoi gloriosi ricordi per le strade di Mosca. Il suo si mimetizza tra i molti sguardi fissi a guardare l’asfalto, emblemi di un paese “che è scomparso senza pena né gloria”.
“Non conosco l’uomo che si ferma sulla riva del fiume, che respira a fondo e sorride riconoscendo i profumi che aleggiano nell’aria. Non lo conosco, ma so che quell’uomo è mio fratello”.
Sepùlveda mostra sinceramente la propria sensibilità a queste tematiche. Con questa raccolta riesce nell’intento di liberare molte vicende dal silenzio assordante che le ha escluse dal palcoscenico della storia. Crea un memoriale in grado di amplificare la portata di battaglie sconosciute e donare un senso al dolore dei loro protagonisti, difendendo così quella “causa planetaria” che è la dignità dell’essere umano.
Luis Sepulveda
Le rose di Atacama
Guanda
2016