Diciamo le cose come stanno. Se non fosse per D Editore la vita editoriale di Emanuel Carnevali sarebbe praticamente ferma al 1978, anno della pubblicazione de Il primo Dio, da parte di Adelphi. Nel giro di due anni invece D Editore ripubblica Il primo Dio, con una nuova curatela e dà ora alle stampe questi Racconti Ritrovati, da troppo tempo dispersi.

La prefazione di questo volume è affidata, non a caso, a Emidio Clementi, che nella sua vita artistica ha più volte evocato il grande dimenticato delle patrie lettere, iniziando dal 1995 e dalla canzone Il primo Dio inserita nell’album Lungo i bordi: «Emanuel Carnevali, morto di fame nelle cucine d’America, sfinito dalla stanchezza nelle sale da pranzo d’America, scrivevi. E c’è forza nelle tue parole». Scrive Clementi:

«La sua biografia pare scritta su misura per un dramma hollywoodiano. Manca però un elemento fondamentale per renderla seducente agli occhi del grande pubblico, ossia il riscatto. Al contrario di Charles Bukowski o di Henry Miller, l’esistenza di Carnevali non è stata rischiarata dal successo. Carnevali muore da fallito, proprio come da fallito ha vissuto»

Ecco che, oltre alla costante del passaparola, il lavoro editoriale di D Editore (prezioso scavo “archeologico”, come viene giustamente definito nella nota curatoriale, che riporta alla luce questi testi sepolti dalla patina del tempo) può ora essere la pietra d’inciampo grazie alla quale il grande pubblico può finalmente riscoprire questo autore troppo a lungo dimenticato.

Non c’è neppure bisogno di utilizzare troppe parole o di dilungarsi in inutili preamboli, è sufficiente lasciare la parola all’incipit del primo racconto di questa raccolta:

«Ho vissuto in Willoughby Street, a Brooklyn, per qualche mese – forse i mesi più oscuri della mia vita. Spalavo la neve – un calvario terribile per un corpo gracile come il mio. (Fu in quella stanza che ho posseduto mia moglie per la prima volta, quando era ancora solo la mia fidanzata). Non ero ancora un poeta, ero solo un lettore, ma qui, in questa stanza, scrissi una frase. Scrissi: “L’amore è una miniera nascosta nella montagna della nostra vecchiaia”»

Questo è Inizio di una carriera letteraria (primo dei 13 racconti che compongono questa antologia di racconti ritrovati), che termina con un passaggio che mette in luce tutta la poetica disperazione che si sprigiona dalla rabbiosa scrittura di Emanuel Carnevali, mentre descrive un reietto, come lui, indicato da una madre al figlio come “L’Uomo Nero”, un fratello di disperazione, disperso nella Grande Mela dei primi del novecento e sembra quindi che inciti se stesso:

«Mi piaci perché urli… Ti scongiuro, non smettere di urlare, di ringhiare, di sentirti come un cane rabbioso che cammina con la coda legata sotto la pancia… Guarda in faccia queste case, guardale dritto in faccia, guarda dritto in faccia la ragazza alla cassa della mensa, quando prende con le piccole dita affusolate la moneta che tu le porgi con mano tremante. Uomo Nero, guarda gli occhi dolci di un qualsiasi bambino con i tuoi occhi profondi e gelidi. Te lo prometto, sarà posto nelle tue mani qualcosa che tremerà per sempre, se solo tu lo guarderai mentre lo tocchi. Troverai qualcosa che ti seguirà, dopo aver udito la tua inflessibile voce. E qualcuno la smetterà di chiamarti pazzo, qualcuno la smetterà di chiamarti pazzo, e non dirà mai più una parola per tutto il resto della sua vita»

Questa raccolta comprende anche il trittico dei Racconti di un uomo che ha fretta, pubblicati in volume da Fazi editore nel 2005, libro, inutile dirlo, oggi introvabile, nel quale erano presenti anche il Diario bazzanese e le Lettere al padre, per la cura di Gabriel Cacho Millet. I tre racconti vengono qui riproposti in una nuova traduzione e costituiscono il cuore nero di questo libro pulsante.

E sempre ritorna l’immagine del grido, il grido disperato dell’anima degli esseri più derelitti sulla faccia della terra, il grido che squarcia il lato silente delle cose, la devastante onda d’urto del grido celato nella forza oscura della natura umana, che giunge fino agli angoli più remoti degli universi facendo deviare le orbite delle comete. Emanuel Carnevali affacciato dal Ponte di Brooklyn grida l’Urlo di Munch, perché la sua eco si riverberi fino a noi:

«Io so che le cose attendono il terribile grido. Il mostro in agguato nelle notti, la caverna da cui la fredda oscurità veleggia verso le nostre finestre e le nostre bocche, la linea più pura dell’orizzonte serale sul lago – quante volte mi sono avvicinato a esse, sapendo che stavano aspettando, mi sono accostato e fermato bruscamente, timoroso di gridare o per non saper gridare. Il puro fiore rosa davanti a fantastici occhi al mattino, il puro fiore rosa è un occhio scintillante che guarda un orrore di sogni putrefatti. Il cielo, quando è lontanissimo dalla terra, il cielo più puro, il cielo che è volato sempre più in alto, perché l’aria è così chiara, il cielo avverte il tocco del grido, che con tanta paura noi soffochiamo – come il bianchissimo seno di una donna sente la carezza di un amante disperato. Queste cose attendono il nostro orribile grido»

Infine. A testimonianza della grande cura editoriale del libro e della coerenza filologica seguita, al termine del volume troviamo in appendice la cronologia e le informazioni necessarie per sapere quando e dove i racconti sono stati pubblicati per la prima volta e poi successivamente ristampati, almeno per quanto riguarda la versione originale in inglese, mentre per la versione in italiano, per gran parte dei racconti, abbiamo dovuto aspettare fino ad oggi, ma possiamo dire che ne è valsa veramente la pena.

Emanuel Carnevali
Racconti Ritrovati
Traduzione di Emmanuele J. Pilia
D Editore
2019