Non c’è trama, tutto ha perso senso perché non c’è più neppure il mondo come lo conosciamo. Le categorie temporali e spaziali si sono dissolte e con esse l’unità dell’uomo e della coscienza. Gli stessi personaggi sono già morti e la loro esistenza è rimembranza di un nebuloso passato, di luoghi e tempi che forse non sono mai stati. Così da questo limbo ci giungono immagini distorte, semplici frame, balbettanti visioni, lampi aforismatici, scene emblematiche che divengono apologhi senza senso.

Questo è il mondo del post-esotismo, questo è il mondo di Antoine Volodine.

Come teorizza lui stesso: il cuore dell’edificio del post-esotismo è una prigione nella quale i personaggi si scambiano brandelli di sogni, pensieri e poesie. I personaggi di Volodine sono reduci da una disfatta, morale e fisiologica, e lottano per non estinguersi. Un mondo di superstiti in cui non vi sono neppure utopie e speranze.

Lui è la punta di diamante del post-esotismo, mentre gli altri esponenti, minori, sono le sue ulteriori personalità che scrivono attraverso il suo corpo e gli fanno concorrenza pubblicando con altre case editrici, sotto altri pseudonimi. Così abbiamo ad esempio Manuela Draeger, Elli Kronauer e Lutz Bassmann.

Volodine costruisce i suoi romanzi attorno alla memoria, a volte gli stessi personaggi nascono morti nella finzione e il loro presente è un continuo ricordare incoerenti schegge di esistenza. Questi stessi Angeli minori, che sono incorporei e fluttuano nel limbo dei personaggi, sono eterei e figli di un Dio minore, senza pedigree, senza un’angelologia che possa nobilitarli, né uno Pseudo Dionigi Aeropagita che li collochi in un cielo piuttosto che in un altro.

Sono 49 (sempre multipli di 7, la cifra magica di Volodine) Angeli minori, come 49 sono i capitoli di questo libro. Finché dopo 21 racconti, o “narrat”, scopriamo qual è la trama sottesa di questa strana narrazione e che «la stranezza è la forma che prende il bello, quando il bello è disperato».

Il punto di partenza è sempre un’immagine. La costruzione di questo romanzo frammentario avviene per visioni, per cui l’eredità cinematografica è più importante di quella romanzesca. Bisogna lasciarsi trasportare da queste immagini e non chiederne il senso, come non ci si chiede il senso ultimo dell’esistenza, ma si tira avanti, verso l’estinzione personale e della specie.

Enzo Mardirossian, per esempio, è un regolatore di lacrime:

«Rinvio sempre il momento in cui andrò dal regolatore. Si chiama Enzo Mardirossian. Abita a sessanta chilometri, in una zona dove un tempo sorgevano stabilimenti chimici. So che è solo e inconsolabile. Si dice che sia imprevedibile. Un uomo inconsolabile è spesso pericoloso, in effetti.
Tuttavia è un viaggio che devo fare, devo mettermi nella borsa del cibo, degli amuleti contro il cloro, e qualcosa per cui piangere davanti a Enzo Mardirossian, lunatico o meno che sia. Qualcosa per cui piangere lunaticamente insieme, uno a fianco all’altro. Porterò un’immagine di Bella Mardirossian, rinnoverò per entrambi il ricordo di lei, che non mi abbandona mai, e a lui, al regolatore di lacrime, offrirò i tesori delle nostre parti: un pezzo di vetro, qualche mela grigia»

Altre immagini sono sospese tra l’incubo e la realtà. Qualcuno sogna dettagliatamente Sophie Gironde, nell’atto di far partorire delle orse bianche nell’interponte di un trasatlantico. Khrili Gompo era parecchi decenni che si allenava per essere inviato in una missione di trenta secondi su un altro pianeta (che sembra molto simile al nostro).

Ogni capitolo è un’immagine apparentemente dissociata dalle altre, ma che insieme tendono a formare un nucleo di coerenza distorta. Un libro che ci porta ai confini della realtà. Come nel viaggio di Baltasar Bravo, simile all’avventura antartica di uno Shackleton, che attraversa mille traversie alla scoperta di Izmaïl Dawkes, intento a lavare la macchina nel sabato pomeriggio:

«Subito dopo andò a cercare nel garage lo pneumatico di una bicicletta e lo posò davanti a Baltasar Bravo. La gomma aveva ancora un po’ di battistrada e in un punto vi avevano annodato un brandello scuro di camera d’aria. Fu quello l’oggetto che portarono indietro gli avventurieri. Lo si può vedere nel museo delle scoperte, e per molto tempo ha costituito l’unica prova dell’esistenza di un passaggio verso i Dawkes»

Un libro senza trama insomma, come nella migliore tradizione post-esotica, che ricorda I quaderni di Malte Lauridis Brigge di Rilke e L’alveare di Cela e quei libri di cui non interessa il finale, ma lo starci dentro il più possibile per assaporarne il gusto della prosa e nei quali la divagazione vale molto di più del senso e della linearità di una vicenda che si dissolve in frammenti.

Volodine è senza mezze misure. Dicotomico. O lo si odia o lo si ama.  

È uno scrittore da meditazione. Bisogna leggerlo con la stessa attitudine con la quale ci disponiamo al cospetto della poesia. Bisogna assaporare il gusto delle parole post-esotiche e metabolizzare l’acidità delle sue visioni apocalittiche. Solo così si può arrivare alla rivelazione, che è una sorta di flebile luce interiore da alba post-atomica.

Antoine Volodine
Angeli minori
Des anges mineurs
Traduzione di Albino Crovetto
L’Orma Editore, 2016