Pubblicato a puntate sulla rivista Vremja, nel 1861, “Umiliati e offesi” è stato scritto da Dostoevskij quando, ormai quarantenne, torna dalla Siberia, dopo anni di esilio e lavori forzati. Un periodo di transizione, che segue la pubblicazione degli esordi (“Le notti bianche” e “Povera gente”) e precede le opere che segneranno il successo dello scrittore (“Memorie del sottosuolo” e “I fratelli Karamazov”).

Il romanzo, concepito in Siberia, viene scritto soltanto al suo ritorno a Pietroburgo, in pochi mesi; l’autore stesso ammette di essersi ispirato ai feutillon francesi dove, tra scandali e colpi di scena, il fine ultimo è intrattenere il lettore, tenerlo incollato alle pagine è la frase che useremmo al giorno d’oggi. La rivista, infatti, andò a ruba.

Perché, allora, leggere “Umiliati e offesi”? Perché non saltare a piè pari questa fase di sperimentazione di Dostoevskij e leggere direttamente le opere più famose?

Il motivo è sempre il medesimo: per la psicologia con cui vengono descritti i personaggi. Ma prima, un accenno di trama: il narratore e protagonista è lo scrittore – povero, malato e sfortunato, vi ricorda qualcuno?- Ivan Petrovic che, da un letto di ospedale, scrive le sue memorie. Ivan Petrovic nutre un amore segreto per Natascha, e un profondo affetto per i suoi genitori, che lo hanno accolto e cresciuto come un figlio. Natasha, però, è innamorata di Aleksej, figlio immaturo del principe Valkovski, e i due scappano insieme a San Pietroburgo, per ribellarsi alle reciproche famiglie, contrarie all’unione. Un secondo filone narrativo, vede comparire Elena, bambina orfana costretta alla prostituzione e tratta in salvo da Ivan Petrovic.

I personaggi di “Umiliati e offesi” vivono in una costante agonia, che Dostoevskij sceglie di rappresentare attraverso l’uso simbolico dello spazio. Nelle prime pagine del romanzo, leggiamo che Ivan Petrovic vaga per le strade di Pietroburgo, in cerca di un alloggio ampio e spazioso ed egli è convinto di averlo trovato. Finché, un centinaio di pagine dopo, scopriamo che l’amico Masloboev lo definisce piccolo quanto un baule.

Natasha, che vive nella costante attesa che il suo amato Aleksej torni a casa dai suoi viaggi e svaghi, è schiava delle conseguenze determinate dalle altrui azioni.

Lo spazio fisico diventa, quindi, spazio mentale. (Serena Prina)

Uno spazio angusto e limitato, che spinge i personaggi ad accettare condizioni che vanno contro il loro benessere e la loro felicità.

Il romanzo feutillon assume, quindi, un significato diverso da quello di semplice intrattenimento. Dietro alla lirica complessa e, in alcuni punti, troppo artefatta, si scoprono dei personaggi umiliati dalle cattiverie dei potenti, che sono d’animo vuoto e con le tasche piene, di denaro e ambizione.

Dostoevskij, oltre a portare avanti il tema a lui caro della società corrotta nella Russia del Novecento, mette in guardia i suoi lettori dall’ingiustizia del mondo. Nel romanzo, i personaggi più dinamici sono quelli che dominano il corso degli eventi e sono anche i più infimi e subdoli. Coloro che subiscono, rimangono paralizzati di fronte alle offese arrecate. Alcuni, si lamentano a gran voce, come il vecchio Ikhmeniev, padre di Natasha, ma poi sono incapaci di trasformare le parole in fatti.

Questo non fa di loro esseri stupidi, anzi, in “Umiliati e offesi” Dostoevskij anticipa un concetto che poi porterà all’esasperazione in “Memorie del sottosuolo”: la personalità attiva nasconde una mancanza di intelligenza. La libertà sta nella dimensione introspettiva, sta in una spasmodica concentrazione su di sé.

Autore: Fëdor Dostoevskij
Titolo: Umiliati e offesi
Pagine: 487
Editore: Oscar Mondadori
Anno: 1957