Presentarlo non credo serva. È uno degli attori più famosi e apprezzati, lo vedremo prossimamente anche nel serial “Il Nome della Rosa” che la RAI sta producendo in questi mesi, con un cast internazionale. Alessio Boni ci racconta di come anche a teatro stia lavorando per interpretare presto uno dei personaggi più famosi della storia della Letteratura…

Sei un lettore appassionato?

Sì, evidentemente. Scegliendo di fare questo mestiere, il teatro, è inevitabile avere a che fare con l’analisi del testo, Strehler, Ronconi, con la materia della “parola”, della letteratura. Ogni giorno leggo qualcosa, inerente al mio lavoro, per piacere o quant’altro. Sono appassionato, mi interessa e mi piace leggere, per conoscere e sapere e poi magari riportare in scena o nella vita quello che ho appreso.

Come avviene la scelta delle letture?

All’inizio, durante il periodo scolastico, ti danno degli indirizzi gli insegnanti e gli amici. Poi però intraprendi una carriera e quindi le scelte risentono di chi incontri o dei lavori che fai. Quando ho interpretato Caravaggio ho letto tutto su Caravaggio e ciò che riguardava il suo mondo, anche di storia dell’arte. Quando ho interpretato il grande Walter Chiari ho letto molto sulla Rivista italiana, sui comici, sul periodo degli anni ’60, ’70 e ‘80, sulla televisione e su come si è sviluppata… La scelta avviene anche casualmente: per esempio ho un amico carissimo, Pino Corrias, il cui libro “Nostra incantevole Italia” è straordinario. In un’occasione sono andato a leggere in Senato delle pagine dal libro “Il bagaglio” di Luca Attanasio, con cui siamo poi diventati amici e così ho poi letto tutto il suo libro. Sono tutte cose che si avvicendano, adesso sto leggendo tutta la bibliografia di Donato Carrisi, perché ho fatto un film con lui. Ho letto i libri di un altro mio amico autore, Ruggero Cappuccio, “La prima luce di Neruda” e del mio amico pittore Valerio Berruti, che ne ha fatto uno sull’arte moderna. Mi interesso di tutto, può arrivarmi anche un libro di motori e moto. Non è solo poesia o letteratura. Sono onnivoro di tutto ciò che mi circonda, mi butto dentro a capofitto e mi metto a leggere… sviscero a mio modo e lo rendo ricchezza dentro di me.

Hai interpretato personaggi leggendari come Ulisse, Heathcliff, il principe Andrej Bolkonskij. Come avviene la tua documentazione?

Leggo tutto, il più possibile, vedo il più possibile, non ho paura di vedere gli altri, anzi. Gli altri mi possono dare una mano, mi possono veramente illuminare su una faccenda che magari a me era sfuggita. Ho guardato tutti i film che hanno fatto su “Guerra e Pace”, tutti gli Ulisse possibili, di Heathcliff di “Cime Tempestose” ce ne sono state tantissime versioni. Mi portano dentro, è una sorta di masticare e deglutire la materia. Poi ovviamente il copione con le battute che devo dire, le luci e i costumi ti danno tutta l’atmosfera per far sì che tu dimentichi te stesso e diventi quel personaggio. Documentazione storica quindi. In più leggo dei libri che mi portano nel periodo storico, nell’Ottocento, nell’Omero di secoli prima di Cristo, nella brughiera inglese dello Yorkshire di Cime Tempestose. Mi si crea un’atmosfera che mi porto addosso e cerco di ricreare una postura, un atteggiamento e un’attitudine che incarnavano quei personaggi di quel periodo.

Quale altro grande personaggio vorresti interpretare e perché?

Mi sarebbe piaciuto interpretare Raskolnikov di “Delitto e Castigo” perché è una lezione enorme di un giovane ventiquattrenne universitario che ammazza un’usuraia vecchia che magari meritava di andarsene per come era! La fa franca, riuscendo a passare il processo davanti al commissario con la sua eloquenza e intelligenza, a nascondere la refurtiva, ma poi con la sua coscienza non ce la fa. Aiutato anche dal suo amore Sonia, torna indietro, si costituisce e sconta i suoi sette anni di Siberia aspettando di uscire e ricongiungersi con sua moglie. È un monito spaventoso perché vuol dire che la coscienza è talmente potente, forte, che anche se la fai franca, non riesci a vivere. È un atto di coraggio enorme. Due cose sono che mi piace sottolineare, che mi piacciono nella vita: dignità e coraggio. Oggi, ma anche allora credo, ci vuole molto coraggio per essere pienamente onesti e non furbi. Questo è il monito di Delitto e Castigo e mi è piaciuto molto.

Alessio Boni si è cimentato anche con la scrittura?

Siamo al secondo spettacolo che stiamo portando avanti con il mio gruppo, io, Marcello Prayer, Roberto Aldorasi e Francesco Niccolini. Abbiamo fatto tre anni fa la drammaturgia de “I duellanti” di Conrad e lì mi sono cimentato assieme a loro per portarlo sulle tavole del palcoscenico.
Adesso stiamo proprio nel pieno della drammaturgia di un altro testo, che non sarà mai finita finché non debuttiamo (il 21 gennaio a Tortona): il Don Chisciotte. Sarà il mio Don Chisciotte, con il mio gruppo. Io sarò nei panni dell’Hidalgo, indegnamente… adesso speriamo di entrarci in un certo qual modo! Accanto a me ci saranno Serra Yilmaz che farà Sancho Panza e poi tutto il mio gruppo di lavoro di teatro.
Un’idea di film per cui ho collaborato con Massimo Carlotto, al momento, è rimasta solo al soggetto. Mettermi lì a scrivere proprio un romanzo? No, non mi sento all’altezza di poterlo scrivere; però pensare alla scrittura come drammaturgia teatrale e cinematografica, forse… potrebbe essere più alla mia portata. Tuttavia mi ci devo ancora cimentare bene.

Sicuramente ti sei cimentato con gli audiobook, la nuova “frontiera” del libro. Ne sei anche un fruitore?

Sì sì! Li ascolto gli audiolibri, molto anche. Ne ho parecchi, con la voce degli amici come Battiston, Anna Bonaiuto, Fabrizio Gifuni. Quando faccio i viaggi in tournée, a volte anche 3 ore di macchina, metto l’audiolibro e stacco tutto. Ti posso garantire che così ho letto diversi libri e in questi ti ci immergi, non fatichi neanche, a me fa viaggiare.

Il tuo libro sul comodino oggi.

A parte sempre le raccolte di poesie che mi piacciono, anche perché la poesia è corta ed è fantastica prima di andare a dormire, adesso inevitabilmente c’ho “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, non può essere che lui.

“La meglio gioventù”, film che hai contribuito a rendere indimenticabile, è anche il titolo di una raccolta di poesie di Pasolini. L’hai letta o, come me, ti devi cospargere il capo di cenere per non averlo ancora fatto?

Sì sì, certo che l’ho letta. Tutti allora l’abbiamo letta, eravamo incuriositi. Era una delle prime raccolte di poesie di Casarsa, in friulano, veramente fantastiche già allora, le primissime di Pier Paolo Pasolini.

In quel bellissimo film interpretavi Matteo Carati, un ragazzo che leggeva tantissimo. Rivestendo i suoi panni, quali erano i suoi autori preferiti?

L’antologia di Spoon River sicuramente, Rimbaud, purtroppo anche Baudelaire e i poeti maledetti… Lui spaziava sulla poetica, e secondo me anche sui greci. Me lo sentivo molto… con una coscienza piramidale della Grecia, dell’etica… quella forza ellenica che caratterizzava Matteo Carati. Poi arrivava anche ai romanzi più leggeri ma lui aveva proprio una bellissima base classica. Era anche il migliore a scuola, era molto dotato per la lettura. Infatti era talmente sensibile e fuori dalla norma – quella vita gli stava stretta – che ha fatto la fine che ha fatto. Si sentiva al di sopra, incompreso totalmente. Gli sembrava che tutti quelli che lo circondavano parlassero di banalità e baggianate assurde.

Chiudiamo allora con una domanda che forse nessuno ti ha mai posto: Matteo cosa leggerebbe oggi?

Guarda… si rifugerebbe, a mio avviso, nella potenza shakespeariana. So che può sembrare banale ma se vai a analizzare Re Lear, Riccardo III, Amleto, Romeo e Giulietta e quant’altro, credo che il suo animo si troverebbe bene lì dentro, nei personaggi immaginifici inventati dal grande Guglielmo. Credo che Shakespeare potrebbe essere una lettura adatta a Matteo Carati ancora adesso, anzi, soprattutto adesso.