Niccolò Ammaniti dà sempre il meglio di sé quando si riallaccia al tema dell’infanzia e dell’adolescenza. Come è successo in Io e te e in Io non ho paura. È il miglior cantore italiano di questa età.

In questo Anna è riuscito a unire tematica adolescenziale e distopia. L’idea è geniale. Viene in mente Non è un paese per vecchi. Con la fine dell’adolescenza e l’ingresso nell’età adulta gli esseri umani muoiono per una strana malattia, che partendo dal Belgio si è diffusa in tutta Europa, sterminando solo gli adulti. Questa malattia si chiama “La rossa”.

Questo ambiente, che Ammaniti ricrea nella sua invenzione letteraria, gli permette di immaginare una società di soli bambini, che sopravvissuti tentano di vivere senza elettricità, senza cibo e altri beni di consumo, senza tutto ciò che gli adulti riuscivano a produrre. È la fine della società del progresso e un balzo indietro in un’era primitiva.  

Ne è venuto fuori un libro molto ben riuscito.

I personaggi sono ben delineati. Anna e il fratello Astor vivono in un casolare nella campagna siciliana. Sono isolati. Ma ben presto devono fare i conti con il mondo esterno. Anna si aggira nei dintorni per procurarsi cibo e si imbatte in bande di ragazzini che si sono coalizzati per sopravvivere.

Sono sorte delle leggende metropolitane, molto infantili. Qualcuno dice che c’è un adulto sopravvissuto, la Picciridduna che era immune dal morbo e mangiando le ceneri del suo corpo carbonizzato si sopravvive alla rossa. Altri dicono che sia sufficiente indossare delle scarpe Adidas Hamburg per sfuggire all’epidemia. Per altri solo la Sicilia è ancora invasa dal morbo, mentre nel continente qualche scienziato ha trovato l’antidoto…

In fondo il libro è una grande metafora di come l’adolescenza sia una fase della vita senza un domani. Con la fine dell’adolescenza l’infanzia muore e nulla sopravvive nell’età adulta. Molto difficile a volte riscoprire il fanciullino che è in noi. Tutto scompare con le prime mestruazioni, con le prime preoccupazioni e certe sensazioni, alcuni pensieri impuberi, quelle fantasie alle quali ci si abbandonava, i violenti desideri, certi brividi non torneranno più.

È un libro anche pulp questo di Ammaniti. Realistico nella sua ben architettata finzione. Non risparmia niente ai suoi personaggi, in questo c’è molta brutalità. Ammaniti si ricorda di essere stato un Cannibale. È un Dio crudele per i suoi personaggi. Se ne accorge anche Anna, nonostante sia una ragazza dura, ormai donna, e se ne lamenta.

«Era come se qualcuno la osservasse dall’alto e scrivesse la sua storia inventando modi sempre più crudeli per farla soffrire. La metteva alla prova per vedere quando avrebbe mollato. Le aveva portato via il padre, la madre, e l’aveva lasciata sola con un bambino da crescere. La verità era che avanzava come un criceto in un percorso obbligato. L’idea di poter scegliere se andare a destra o a sinistra era un’illusione. Le ritornò in mente quello che le aveva detto tante volte Pietro: “Questo mondo non esiste. È un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci”»

Lo scrittore è Dio. E noi lettori ci divertiamo a leggere le peripezie dei personaggi, nel libro che ha scritto per noi. Con il sospetto di essere a volte anche noi semplici personaggi, dispersi e senza speranza, nel grande libro dell’universo. In balia, a volte, di uno Scrittore ubriaco, che assomiglia molto a un Bukowski.

Ma torniamo a Anna. Alcune scene di come si sia organizzata la società di under 14 sono molto ben studiate e architettate nei dettagli e riportano alla mente Il signore delle mosche di William Golding. Il suo è un mondo e quindi un romanzo molto coerente.

In una scena del libro mandrie di vacche vengono costrette in un percorso prestabilito, aizzate da bambini che le pungolano con bastoni appuntiti. I bambini sono rimasti a uno stadio primitivo. Incapaci di parlare e di espirmersi per la mancanza di insegnamenti, in un mondo in cui presto scomparirà la scrittura e coloro che erano in grado di leggere. Dirigono la mandria verso il centro commerciale dove le mucche si schiantano dal primo piano, così come facevano appunto gli uomini primitivi, per cacciare i mammut.

In altri passaggi assistiamo a veri e propri riti tribali, apotropaici. Viene costruito un totem di ossa e teschi. Ci si divide in caste e in funzione del proprio ruolo sociale. Gli iniziati portano collane di falangi umane. Vengono messi in scena riti del fuoco e veri e propri sacrifici per cercare la salvezza. Assistiamo alla fine e al tempo stesso all’inizio della società. L’istinto vince sulla ragione. Adolescenti, quasi adulti, pronti ad uccidere per l’ultimo ovetto Kinder.

Il finale poi è di quelli che raramente s’incontrano in un romanzo e risulta alla fine dei conti il più coerente con l’idea di scrittura che Ammaniti ci propone. Perché come la vita non ci appartiene, ma ci attraversa (dice la quarta di copertina). Così anche la storia di Anna non si comprende a pieno, ma è piacevole seguirla per un breve tratto.

Niccolò Ammaniti
Anna
Einaudi
2015