Piego di Libri non è un blog serio se non recensisce neppure un libro di uno dei fenomeni letterari italiani degli ultimi vent’anni: Mauro Corona.

Confessioni Ultime, edito da Chiarelettere nel marzo del 2013 è il frutto della video-intervista realizzata dall’inviato di Report Giorgio Fornoni, il quale si recò a stanare l’autore friulano dalla casa-nascondiglio-laboratorio dove vive, come un saggio eremita, fra le amate ed impervie montagne della Valcellina. Dalla quale lo stesso guarda, con spirito critico ma anche con una certa dose di rassegnazione, alle cose della società moderna a cui raramente si concede.

Caratterizzato da un linguaggio istintivo, a tratti colorito, Corona, che si definisce scultore e alpinista, prima che scrittore, appartiene, come l’amico Erri De Luca citato all’inizio del testo, ad uno stuolo di scrittori non accademici, indottrinati alla letteratura dalla “ripida strada in salita dell’esistenza” e dalle sue svariate asperità.

La povertà, la violenza in famiglia, l’abbandono della madre, il duro lavoro nelle cave, l’alcolismo: ecco gli strumenti utilizzati nel corso di questo apprendistato che, efficaci, hanno inciso il loro insegnamento lasciando tracce di una profonda saggezza popolare. La saggezza che sgorga, pura e priva di “inquinamenti intellettuali”, dalla sofferenza. Ma a condizione che se si lascino parlare liberamente la mente ed il cuore.

Ecco perché Corona non concorda con quanto afferma lo scrittore uruguaiano Juan Carlos Onetti: “le uniche parole che meritano di esistere sono quelle migliori del silenzio”. Soprattutto quando il silenzio puzza di omertà, di nascondimento.
Allora è meglio parlare, se non altro per onestà nei confronti della propria famiglia, dei propri lettori, di sé stessi; se non altro con finalità di testamento, per lasciare qualcosa di sincero, di autentico. Così diveniamo “come volpi sulla neve fresca. Lasciamo delle tracce nostro malgrado, per questo dobbiamo stare attenti a non lasciare tracce che portino al burrone”.

Dal timore dell’autore di proferire parole inopportune, lontane anni luce dall’essere migliori del silenzio, nasce pertanto questo libro, quale compendio generale dei temi cari allo scrittore friulano, quindi particolarmente adatto a chi desidera avvicinarglisi.

Ma Corona è, lo abbiamo detto poc’anzi, prima di tutto scultore.

È grazie all’antica nobiltà di quest’arte che ha imparato che la vita è come scolpire: bisogna togliere, rimuovere. Eliminare tutto ciò che non serve, che pesa inutilmente sulla materia. Solo in questo modo apparirà la figura nella sua essenza.

Essenza, appunto. Cioè, parte intima, fondamentale. L’esclusione di quanto è superfluo comporta un ritorno alle origini, alla fonte, da cui la vita stessa scaturisce. Ossia alla natura: l’uomo deve dissotterrare il cordone ombelicale che lo lega ad essa. Che non è dunque la natura matrigna e indifferente alle disgrazie dell’umanità della poetica leopardiana; e nemmeno la potente e spaventosa nemica dei primi scrittori nordamericani. In Corona la natura è genuinamente madre, nel senso più affettuoso del termine.

Ma da tutto ciò non deriva solo il piacere di guardare un tramonto o di camminare nel bosco, quanto piuttosto il senso di pace dato dal “bastare a sé stessi”, perché consapevoli di appartenere a qualcosa di grande, senza dare eccessiva importanza a ciò che, di materiale, non si possiede e che, conseguentemente, crea insoddisfazione e dipendenza.

Sono discorsi che si fanno inevitabilmente “teologici”, però l’autore preferisce non addentrarsi in questo campo: la sua fede è “sperare in Dio”, averne rispetto, rispettando ogni creatura, anche la più umile. E qua si ferma. Perché cercare, come fanno i teologi, vuol dire nutrire dei dubbi. E quindi, dopotutto, non credere.

Ma ci si affida a Dio per invocare un intervento contro il male, che spesso è opera dell’uomo. In Corona si percepisce il pessimismo nei confronti dell’uomo, che sovente si rivela approfittatore, violento. Avido.

A questo punto della narrazione, il ricordo non può non andare a quel tragico 9 ottobre del ‘63, quello del disastro del Vajont, quando una gigantesca frana cancellò dalla faccia della terra l’abitato di Longarone e limitrofi causando circa duemila morti: è niente affatto la prova dell’ostilità della natura, bensì la testimonianza di un uomo che la bramosia di ricchezza ha reso sordo e insensibile alla natura e alle sue leggi millenarie.

Mauro Corona, contraddistintosi negli anni come vero e proprio “cantore” del Vajont (i più maligni potrebbero addirittura affermare che non vi sarebbe stato Corona senza il Vajont), racconta come tale disgrazia abbia colpito, specie negli anni a venire, anche il vicino paese di Erto, suo “natìo borgo selvaggio”, svuotandolo fino a farlo cadere letteralmente a pezzi.

Giunti alla fine, cosa dire dunque? Un libro indubbiamente da leggere o, per chi non ama dilettarsi con questo passatempo, da ascoltare, grazie al comodo DVD allegato. A proposito, una curiosità: nel supporto elettronico troviamo espressa, forse meglio che sulla carta stampata, un’altra massima, sintomo della ruvida ma profonda saggezza di Corona il quale, per l’occasione, smette i panni dello scrittore e dello scultore per indossare quelli dello scalatore: “lo stress è mancanza di fatica fisica”. Riflettere.

Autore: Mauro Corona
Titolo: Confessioni ultime
Editore: Chiarelettere
Anno: 2013