Mi immagino la sorpresa e la meraviglia di coloro che fossero stati invitati ad entrare nelle stanze che raccoglieva la famosa collezione di Rodolfo II, nel castello di Praga. Vi erano raccolti calchi di lucertole in gesso, corazze di tartarughe, denti di narvalo, scatole indiane con piume sgargianti, un teschio giallo d’ambra, una caraffa di topazio donata a Rodolfo da un’ambasceria moscovita, un’antica testa di Polifemo, coppe di uova di struzzi, sciabole, daghe di manigoldi, automi e meccanismi melodiosi e una tartarughina con un congegno di orologeria e l’elenco di oggetti esotici e rari continua, per pagine e pagine, nella Praga Magica di Angelo Maria Ripellino.

Questa stessa sorpresa e meraviglia accoglie il lettore alle soglie di questo libro, che è a sua volta una sorta di wunderkammer, una raccolta di curiosità. È un vero e proprio castello delle fiabe, che suscita ammirazione, come se entrando in ogni stanza vi fossero dei trabocchetti meccanici o delle macchine ingegnose predisposte a generare lo stupore.

Gli architetti di questo libro meraviglioso sono gli editori Giometti & Antonello, di Macerata. Due editori con le idee ben chiare, che alla fine del 2015 hanno deciso di esordire con un altro libro a lungo disperso, si tratta delle Memorie di un editore di Kurt Wolff, mecenate di Kafka, Walser, Trakl, Kraus e altri, che diviene una sorta di manifesto di intenti, non ponendosi limiti di grandezza.

La prima stanza delle meraviglie è la prefazione di Edoardo Camurri, come al solito surreale e sopra le righe, al punto da far perdere di vista il discrimine tra finzione narrativa e critica letteraria. Discrimine che si perde laddove l’affabulazione diviene, per eccesso di ammirazione, mistificazione e altre cose declinate in “zione”.

Camurri ci introduce nel mondo dei traduttori del Finnegans Wake. Coloro che come fa Wilcock in questo libro, si immergono nel compito di trasporre in altra lingua il mostro di Joyce (come lo definì lui stesso, in una lettera a Livia Veneziani, moglie dell’amico Italo Svevo e musa del personaggio femminile di Finnegans Wake: Anna Livia Plurabelle).

Per tradurlo in giapponese si sono alternati tre studiosi, perché il primo è morto e il secondo è impazzito. Del traduttore coreano, tale Chong-Keon Kim, si sono perse le tracce, forse vaga in qualche landa desolata o periferia metropolitana, lallando e gloglottando cantilene e tantafere incomprensibili.

Ma l’estrema traduzione la compie il traduttore polacco, Krystof Bartnicki, che traspone la scrittura e le parole di Joyce in note musicali. Il romanzo diventa allora uno spartito e a grande sorpresa la musica che ne fuoriesce spazia tra passato e futuro.

Suonando il Finnegans Wake tradotto in polacco si possono ascoltare: il tema del Padrino (Godfather) di Nino Rota; canzoni folkloristiche russe e giapponesi; cavalcate dodecafoniche; altri brani hanno prodotto l’Inno di Mameli e molti stralci della colonna sonora di Guerre Stellari; deliqui di Chopin e sdolcinate di Cat Stevens; il riff di Smoke on Water e di Child in Time dei Deep Purple, ecc. ecc.

Questa è la prima camera delle meraviglie.

La seconda stanza è scritta da Samuel Beckett. Si tratta di un saggio nel quale Beckett parte da Dante, passando per Giordano Bruno, per appurare come il Finnegans Wake contenga numerosi rimandi alla teoria di Filosofia della Storia di Giambattista Vico. E lo fa con dettagliata erudizione e dissacrante ironia:

«Questo scritto, che voi trovate così oscuro, è la quintessenza del linguaggio, della pittura, del gesto, con tutta l’inevitabile chiarezza dell’antica inarticolazione. Ecco l’economia selvaggia dei geroglifici. Le parole non sono eleganti contorsioni dell’inchiostro da stampa del ventesimo secolo: sono parole vive, si fanno strada a gomitate nella pagina, ardono e divampano e sbiadiscono e spariscono»

La terza stanza è quella più ampia e luminosa. Si tratta della traduzione di alcune parti del libro di Joyce, frammenti scelti, tradotti e annotati da J. Rodolfo Wilcock. Quel grande ingegnere della parola che era Wilcock (come lo era Gadda), scrittore argentino amico di Borges, Bioy Casares e Silvina Ocampo, che a un certo punto, nel 1955, decise di trasferirsi in Italia e di scrivere romanzi e poesie in italiano, meglio di molti italiani a lui contemporanei…

La traduzione di J. Rodolfo Wilcock è preceduta da una nota nella quale l’autore spiega che la traduzione è impossibile:

«Essendo quest’opera quasi interamente scritta con parole inventate, di tre, quattro, cinque e perfino sei sensi, la sua traduzione in una qualunque lingua è assolutamente impossibile. Abbiamo scelto soltanto i brani meno difficili, per cercare di dare al lettore una vaga idea del romanzo, avvertendo però che buona parte dei molteplici sensi del testo originale sono andati per forza perduti nella traduzione».

Perché abbiamo visto che la traduzione perfetta è quella polacca, puro suono, che a tratti si trasforma in musica e in leitmotiv riconoscibili e noti.

Infine ci sono altri spazi in questo libro labirintico. I sotterranei del castello delle meraviglie, che consistono in cinque saggi, inediti in volume, dello stesso Wilcock. Il monologo interiore (apparso su «Tempo presente» nel 1959):

«Nessuna delle acquisizioni del romanzo può considerarsi effimera, perché sono acquisizioni dell’intero genere umano, espressione delle sue possibili modalità. Il romanzo si arricchisce tanto quanto si arricchisce il genere umano, perché è la sua spiegazione, perché è la sua faccia»

Negli altri saggi passa in rassegna il soggiorno di Joyce a Trieste («Il Mondo» 1960) o quello di Joyce a Roma (apparso sempre su «Il Mondo» nello stesso anno); il rapporto eufemisticamente non idilliaco tra La Woolf e Joyce («Il Tempo» 1975) e infine La biblioteca di Joyce (sempre su «Il Tempo»), per capire dal catalogo dei suoi 468 libri posseduti in vita, quali fossero le sue fonti e il suo apprendistato.

Insomma, un libro imperdibile, che impreziosisce il catalogo di un editore che esordisce nel migliore dei modi, e dal quale non possiamo che aspettarci altre piacevoli sorprese.

James Joyce – J. Rodolfo Wilcock
Finnegans Wake
Prefazione di Edoardo Camurri
Con un saggio di Samuel Beckett
Giometti & Antonello
2016