Dante Virgili, nonostante questo nome da pseudonimo letterario che sembrava predestinarlo a una clamorosa carriera artistica che dovesse unire, per superarle, le glorie dei due sommi poeti insiti nel suo nominativo, è rimasto un carneade della letteratura. E a differenza dei libri dispersi che andiamo recuperando in questa rubrica, l’indifferenza quasi generale dimostrata verso il suo romanzo d’esordio non è per niente immeritata.

Diciamo che più che un capolavoro è un interessante caso letterario, che periodicamente si libera dalla gelida indifferenza nel quale è impigliato, simile all’Irrimediabile vascello di baudelariana memoria, bloccato in mezzo al polo, come dentro una trappola di cristallo, in procinto di sprofondare per sempre nell’oscuro abisso dell’oblio.

Il suo esordio è avvenuto nel 1970. Fu allora che vide la luce La distruzione: primo romanzo apertamente nazista pubblicato in Italia. La Mondadori s’aspettava che il libro suscitasse rimostranze, diventasse un caso (come in seguito avvenne per esempio per Il male naturale di Giulio Mozzi, nel 1998, che si meritò un’interrogazione parlamentare), e che queste polemiche facessero magari passare in secondo piano la mediocrità del romanzo.

Lo stesso Dante Virgili in una lettera del 23 ottobre 1991, indirizzata ad Antonio Franchini, editor della Mondadori, con questa lucida disillusione proporrà il suo secondo romanzo:

«Nel “Nazista” [titolo della riscrittura de “La distruzione”] c’è realtà storica. Più di attualità è “Metodo della sopravvivenza” con notevole sforzo culturale. Non so quali ostacoli possano impedirne la pubblicazione da parte della Mondadori. Uno soltanto a mio avviso: l’invendibilità; e qui c’è… realtà. Ma un buon romanzo si può tentare di farlo vivere per un po’»

Ecco la cifra stilistica della scrittura di Virgili: un autore di libri che tirano a campare, dal debole respiro narrativo, dalla sintassi zoppa e sincopata, un lessico povero e banale, privo di guizzi e di fantasia, non a caso i suoi libri hanno avuto una breve e agra vita editoriale.

Sulla sua qualità si erano negativamente espressi molti lettori e funzionari della casa editrice. Vittorio Sereni, Ernesto Ferrero, Giuseppe Pontiggia. Questo il successivo giudizio stilistico di Bruno Pischedda, autore del saggio Dante Virgili: un’apocalisse per Hitler, pubblicato da Aragno nella raccolta La grande sera del mondo. Romanzi apocalittici nell’Italia del benessere, del 2003, anno che vedremo quanto sia emblematico nella vicenda letteraria del Virgili:

«La distruzione muove da un’idea di simultaneità sperimentale, da una compresenza di piani sovrapposti e poi cesellati a fini di espressionismo spasmodico. Virgili tuttavia non vuole l’inconscio, vuole la visione, o meglio ancora la profezia escatologica: dà sfogo a un rimuginare protratto, a un regesto di sentimenti e invettive, di velleità, rancori, che assomiglia molto a una veglia apocalittica della ragione. Sull’esame intimista e sulle tecniche tradizionali per una resa pricologica del personaggio, prevale la visività allucinata, quasi sempre in presa diretta e senza modulazioni del discorso. Del flusso di coscienza novecentesco i tratti ci sarebbero tutti; asintattismo diffuso, carenza di indicatori spazio-temporali, frantumazione della frase in versicoli, il ritmo stesso della prosa è quanto mai incostante e concitato: a estesi brani privi di interpunzione, di connessioni logico-sintattiche e plurilingui, seguono brachilogie e formule nominali. Il diagramma stilistico denuncia indiscutibilmente una sensibilità alterata»

In pratica La distruzione è essenzialmente composto dalle elucubrazioni del personaggio principale (non così indistinguibile dall’autore stesso), esposte in prima persona, con dialoghi pensieri allucinazioni ricordi e deliri affastellati senza soluzione di continuità, stilisticamente rifacentesi a un’avanguardia del passato, che nel frattempo era ritenuta superata.

Un nazista dalla vita banale, che lavora come correttore di bozze nella redazione di un giornale, che immagina stupri, depravazioni, mutilazioni, umiliazioni, sodomie, fino alla distruzione totale per opera dell’atomica che nella visione virgiliana annienterà, come nel finale de La Coscienza di Zeno, l’intera umanità.

Giuseppe Genna, sempre nel fatidico 2003 sul portale Clarence, parlerà di “imminenza dell’autorealizzazione del tragico”, a proposito delle cupissime evocazioni di Dante Virgili che sono diventate profezie. Due, essenzialmente: la visione di New York in fiamme mentre crollano le Torri, e l’accenno alla centralità futura del suo amico Saddam Hussein.

Nel 1970 la Mondadori usò questo slogan per lanciare il libro:

«La voce delirante di un sopravvissuto alla disfatta tedesca: il sogno di una vita irrealizzabile che sfocia in un’ansia di distruzione totale»

Risultato: il silenzio. Silenzio della critica e risultato nullo delle vendite.

Dopo questa disfatta iniziale e il successivo oblio, La distruzione, morto l’autore nel 1992, come anticipato rivivrà un’altra breve stagione di estemporaneo successo nel 2003. In quell’anno infatti si situa la ripubblicazione per opera della casa editrice Pequod di Ancona. E questa riedizione susciterà maggior interesse mediatico, almeno tra gli addetti ai lavori, che non la prima.

Forse perché aiutato da un segno beneaugurante, come l’albatro della Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, i ghiacci che imprigionano l’opera si sciolgono e il vascello fantasma chiamato Distruzione, con un mummificato Dante Virgili quale nocchiere simile all’Olandese Volante ritto sul cassero, carico di maledizione e di personaggi appestati, torna inopinatamente a galla 33 anni dopo il suo varo editoriale.

Quel segno è la pubblicazione per Marsilio di Cronaca della fine (2003), la ricostruzione che Antonio Franchini ha fatto della storia editoriale di Dante Virgili e dalla quale sono tratte le citazioni e i retroscena che abbiamo riportato. Giuseppe Genna definirà il saggio Cronaca della fine il miglior romanzo di Franchini.

Lo stesso Giuseppe Genna nel 2003, sempre per la Pequod, pubblicherà a sei mani, insieme a Michele Monina e a Ferruccio Parazzoli, I Demoni, che con la scusa di ambire a essere il rifacimento postmoderno del romanzo di Dostoevskij, racconta una plausibile storia del Male Assoluto, incarnatosi nella figura metafisica di tale Dante Virgilio…

Così Dante Virgili diventa il protagonista di un romanzo, sotto lo pseudonimo di Dante Virgilio, senza che nessuno però riconoscesse la persona in carne ed ossa che aveva ispirato il personaggio, dato l’oblio che attorniava l’autore, anche perché inserirlo nel romanzo era stata una sorta di vendetta postuma da parte del Parazzoli. Così come il seppellirlo sotto una croce… non uncinata.

Ferruccio Parazzoli fu colui che dovette recarsi presso la camera mortuaria per effettuare il riconoscimento di Dante Virgili alla sua morte, avvenuta in perfetta solitudine, senza amici e parenti prossimi. I suoi pochi contatti col mondo avvenivano tramite i consulenti e gli editor della Mondadori, che costantemente importunava.

Parazzoli in particolare era stato bersagliato per vent’anni dalle telefonate del Virgili e lo aveva confessato, durante una visita sulla tomba dello sfortunato autore, al collega Franchini, che lo riporta in Cronaca della fine, pagina 199:

«Ma eccolo, il sepolcro del Distruttore, e almeno quello è coerente, è come uno se lo potrebbe immaginare: una gobba di terra con sopra una croce e la croce è fatta di piccoli pezzi di marmo bianco, come le tessere di un mosaico, solo un poco più grandi e ormai disallineate. È una croce che ha conservato più o meno la sua forma di croce, ma è tutta storta, come se un’emanazione sotterranea del piccolo demone avesse cercato di squassarla e non ci fosse riuscito che in minima parte.
– Lo ha fatto mettere sotto una croce… – non posso fare a meno di dirgli.
– Le dirò… ci ho pensato un po’ su. Del resto, male non gli fa. Vale per tutte le volte che mi ha rotto le scatole telefonandomi ogni domenica sera che dio mandava in terra, dopo la messa e prima del telegiornale, immancabilmente. In quel momento devo aver pensato: per anni è toccato a te. Adesso tocca a me e ti metto sotto la croce in terra consacrata… Sto scrivendo un romanzo dove riporto qualche pezzo delle nostre telefonate prima del telegiornale – »

Anche Roberto Saviano, sempre nel 2003, scriverà un articolo (ora in prefazione alla ripubblicazione della Distruzione per i tipi de Il Saggiatore, avvenuta nel 2016) in cui scomoda Louis-Ferdinand Céline, Blaise Cendrars e il padre assoluto degli odiatori, Charles Baudelaire. Da qui il blurb della quarta di copertina:

«Proprio la magica impubblicabilità di Virgili rende le sue pagine così importanti e necessarie, ma d’una necessità che trascende il piano d’un romanzo. Virgili non è da leggere ma da iniettare»

Anche se la recensione più azzeccata, in quel lontano e nefasto 2003 in cui si situa la ressurrezione editoriale di Virgili, la scrisse Enzo di Mauro sul numero 21 di Alias, l’inserto letterario de Il Manifesto, il 7 giugno 2003, intitolato: L’improbabile ripescaggio di un nazista piccolo piccolo in cui già dal titolo si spoilera il giudizio critico dell’autore dell’articolo.

Infine, come accennato, nel 2016 c’è stato un ultimo fugace disgelo con la pubblicazione della Distruzione da parte della casa editrice Il Saggiatore e di Metodo della sopravvivenza per l’editore Italia storica, collana OFF Topic, pubblicato per la prima volta, dopo il rifiuto editoriale della Mondadori, sempre da Pequod nel 2007. Secondo romanzo che a detta di Franchini era anche peggiore del primo:

«Virgili fa questo sempre, mette sullo stesso piano l’unificazione della Germania e la sua dieta a base di carne trita e prosciutto cotto, la mafia che sta avviluppando Milano e le sue irritazioni cutanee, il campionato del mondo di calcio e le sue fantasie masturbatorie, i vestiti che indossa e l’invasione del Kuwait. Tutto come su una linea retta, senza gerarchie, ma questa volta l’orizzontalità, l’assenza di gradi – a differenza della Distruzione, il cui finale si accendeva nell’identificazione con Hitler e nel rogo di tutto il vecchio mondo – nuoce al climax del romanzo, che non c’è. O è fiacco, è appena un tentativo, un soffio»

Insomma, che dire per concludere? Un libro disperso che si spera, non tanto per la tematica e per l’apologia del nazismo (ai giorni nostri così di moda tanto dall’aver resuscitato anche La distruzione), quanto per la sua intrinseca e innegabile scarsa qualità letteraria, che si disperda per sempre e rimanga una chimera, un incubo mai esistito, una leggenda nera, come gli autori e i libri immaginati e descritti nella Letteratura nazista in America da Roberto Bolaño…

Dante Virgili
La distruzione
Mondadori
1970

Antonio Franchini
Cronaca della fine
Marsilio
2003