Mentre gli altri festival letterari crescono, alla Fiera delle Parole di Padova viene dato il benservito. Insieme a Festivaletteratura di Mantova e a Pordenonelegge, la Fiera delle Parole, giunta nel 2015 all’ottava edizione, è tra le kermesse più importanti del Nord Est, unica in Veneto. Una manifestazione che ogni seconda settimana di ottobre porta a Padova decine di migliaia di persone, attirate dagli oltre 180 incontri culturali gratuiti organizzati nell’arco di sei giorni (l’anno scorso sono arrivati a Padova in più di 70.000).

Mentre gli altri si tengono ben stretti i propri festival letterari (chi è in grado di immaginarsi Mantova o Pordenone senza i rispettivi festival?), il Comune di Padova si sbarazza in quattro e quattro otto della sua manifestazione culturale più riuscita. Cancellando con un colpo di spugna l’investimento fatto negli ultimi cinque anni, a partire dal 2011, quando la Fiera delle Parole è approdata nel centro storico patavino dopo aver mosso i primi passi a Rovigo.

La storia si ripete. Già a Rovigo, la Fiera delle Parole aveva dovuto traslocare per chiamiamole incompatibilità politiche: cambia il colore dell’amministrazione, cambia cultura, si potrebbe dire. Fatto sta che, a Rovigo, i cittadini ancora rimpiangono la Fiera delle Parole e che nulla della sua portata è stato fatto dopo di allora. Arrivata a Padova, sostenuta dalla Giunta di sinistra dell’allora Sindaco Flavio Zanonato, la Fiera delle Parole si ricostruisce, portando anno dopo anno un’atmosfera letteraria degna di Festivaletteratura e Pordenonelegge, coinvolgendo le scuole, l’Università, le associazioni culturali locali, la diocesi, le librerie… Con grandi difficoltà, resiste ai primi due anni della nuova Giunta leghista guidata da Massimo Bitonci (2014-2015) che nel 2016 le dà il benservito.

Perché? Si mescolano questioni economiche (da un lato, il Comune denuncia che la Fiera delle Parole costa troppo, dall’altro, conti alla mano, la direttrice artistica Bruna Coscia afferma che il festival costa molto meno di qualsiasi altra manifestazione dello stesso livello) a questioni politiche, tanto che, mentre Bitonci annuncia l’organizzazione di un nuovo festival sotto la guida di Vittorio Sgarbi, spunta la “lista nera del Comune di Padova”. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Mattino di Padova, la direttrice artistica avrebbe ricevuto pressioni per non invitare al festival ospiti di sinistra come: Ezio Mauro, Sergio Staino, Lella Costa, Paolo Di Paolo e Corrado Augias.

Senza addentrarci troppo in una annosa questione che, secondo noi, è sempre e comunque mal posta: “qual è il colore della cultura?” (per noi, è come chiedere a un albero se è di destra o di sinistra, perché “cultura” non è il contenuto fruito ma l’azione del fruire che i nostri governanti dovrebbero sollecitare, cioè l’andare al teatro, al cinema, leggere un libro, partecipare a un reading, a un concerto…), ci dispiace osservare quanto, in tutta questa storia, la cultura giochi il ruolo della comparsa, mentre protagonista è un modo di fare politica che a noi sembra ottuso, incapace di andare oltre le convenienze dell’urna e le appartenenze politiche.

Un amministratore oculato e lungimirante (cioè capace di vedere oltre la scadenza elettorale) si terrebbe ben stretta una manifestazione culturale di successo su cui la città investe da anni, che riesce a imporsi a livello nazionale, spingendo decine di migliaia di persone a fruire di numerose e varie proposte culturali con risorse finanziarie nemmeno paragonabili a quelle di altri importanti festival letterari italiani.

Quanto sarebbe bello vedere il Sindaco Bitonci affacciarsi dal Palazzo della Ragione per vedere la fila interminabile di persone pronte a partecipare a un incontro o alla presentazione di un libro, e dire, fra sè e sè, con orgoglio e soddisfazione: “mi sto meritando lo stipendio, bravo Massimo, quanto è viva la mia città!”.