Domenica sera alla trasmissione “Che tempo che fa”, in onda su Rai Tre alle 20.10, Ian McEwan ha parlato del suo ultimo libro, “La Ballata di Adam Henry” (titolo originale: “The Children Act”), edito da Einaudi a novembre di quest’anno.
Il romanzo racconta le vicende del giudice londinese Fiona May che, sopraffatta dalle richieste di un marito che non vuole accettare l’arrivo della vecchiaia, si lascia risucchiare dal suo ultimo caso, quello del giovane violinista e poeta Adam Henry, affetto da una grave leucemia.
Il soggetto del “Monday Breakfast” di questo lunedì non è però l’ultimo capolavoro di Ian McEwan – che, comunque, mi propongo di recensire al più presto – bensì McEwan stesso.
Daniel Zalewski, redattore dei contenuti speciali del New Yorker, è riuscito nell’intento di delineare un profilo preciso ed esaustivo dello scrittore di “Espiazione”. Ogni paragrafo del lungo articolo, pubblicato sul New Yorker il 23 febbraio del 2009, arricchisce il lettore come una sobria – ma fresca – pennellata di un ritratto fatto a una persona tanto enigmatica, quanto intellettualmente affascinante come Ian McEwan.
L’articolo affronta i temi e i retroscena di tutti i romanzi più famosi dello scrittore britannico, dal già precedentemente citato “Espiazione” a “Il Giardino di Cemento” e “Cortesie per gli Ospiti” a “Cani Neri”, “Sabato” e “Chesil Beach”. Non mancano i commenti dello scrittore e dei colleghi e amici sui primi racconti, quelli definiti più scabrosi dalla critica, come “Fra Le Lenzuola” e “Primi Amori e Ultimi Riti”.
Nell’articolo lo scrittore si lascia andare e racconta alcuni frammenti della propria infanzia. In questa parte McEwan sembra schiudersi come un forziere che si apre alla giusta combinazione, in questo caso quella delle domande di Zalewski, che nell’articolo vengono omesse per lasciare che le risposte “mini-racconti” di McEwan coinvolgano il lettore appassionato, quello che con la stessa voracità ha anche letto le sue opere.
La traduzione di oggi si concentra in particolare su alcuni paragrafi dell’articolo che ho ritenuto più significativi. Consiglio però caldamente di leggere il pezzo integrale.
The Background Hum
Tutti i romanzieri sono degli studiosi del comportamento umano, ma Ian McEwan si attiene allo studio con un rigore scientifico che va oltre a quello richiesto dal mestiere. Recentemente, durante una passeggiata in mezzo ai boschi che circondano la sua dimora – un cottage in mattoni del XVII secolo, restaurato, che si trova nel Buckinghamshire – McEwan ha più volte espresso le sue opinioni riguardo all’Homo Sapiens, citando un esperimento di un collega che gli era stato chiesto di revisionare.
McEwan e la psicologia dei personaggi: tra la pericolosità dell’inganno e il piacere della vendetta
Dopo aver discusso molti dei suoi personaggi dal carattere ipocrita e falso – come Briony Tallis, l’adolescente precoce di “Espiazione”, romanzo pubblicato nel 2001, che rovina la vita dei due protagonisti incriminando ingiustamente uno di loro di aver violentato la cugina – McEwan si è spostato verso gli studi di psicologia cognitiva, sostenendo che la via migliore per ingannare gli altri è ingannare prima se stessi, perché si è più convincenti quando si è sinceri. (è caduta nella sua stessa trappola, ha dato vita a un labirinto e ha finito per perdervisi, scrive McEwan su Briony. I suoi dubbi avrebbero potuto essere dissipati, se soltanto qualcuno fosse andato a fondo della questione).
Parlando, invece, del modo in cui il neurochirurgo Henry Perowne di “Sabato”, romanzo pubblicato nel 2005, cerca di frenare l’impulso di vendicarsi di un uomo che viola la sua privacy, McEwan parla di quello che è in grado di rivelare uno scanner celebrale: Quando le persone si vendicano, nel cervello vengono stimolati gli stessi centri del piacere collegati al godimento che si trae anche dal mangiare, dal bere e dal soddisfare l’appetito sessuale. Una prospettiva alquanto triste.
Nel tempo gli scrittori hanno cercato di esprimere lo stesso concetto attraverso alcune personali considerazioni, qualcuno se ne è venuto fuori, senza l’aiuto di uno scanner celebrale, con l’espressione “Dolce vendetta”, ma McEwan è fin troppo diffidente per affidare qualsiasi cosa all’intuito.
Lui possiede quello che chiama uno spirito agostiniano. […] Mi ha confessato che “L’amore fatale” – romanzo pubblicato nel 1997, dove un uomo inesorabilmente razionale riesce ad aver la meglio su uno stalker dal carattere incredibilmente irrazionale – era stato concepito come una risposta a quei presupposti infondati dei Romantici che ancora persistono nel romanzo contemporaneo, quelli secondo i quali l’intuito va bene, ma la ragione no. […]
McEwan e i dettagli
Mentre scrivo non mi soffermo troppo sul tema. Quando è all’opera, lo scrittore preferisce tenere bene a mente una frase di Nabokov che recita “Bisogna accarezzare i dettagli”. McEwan ha spiegato che Per prendere in prestito un termine che proviene dalla dimensione cognitiva, scrivere è un processo ascendente. Un aspetto che manca nelle lezioni accademiche di letteratura è il principio del piacere. E non soltanto il piacere che prova il lettore, ma anche quello dello scrittore. Scrivere è un atto di piacere che lo scrittore infonde a se stesso.
McEwan tra infanzia e studi universitari
Ian McEwan è nato nel 1948, ad Aldershot, a sud-ovest di Londra, ma ha trascorso gran parte della sua infanzia all’estero, presso basi militari. Il posto dove la sua famiglia è rimasta più a lungo è stata la Libia. Per un periodo hanno alloggiato in una fattoria da quattro soldi. Suo padre, David, un ufficiale militare in carriera, lavorava tutto il giorno, e McEwan veniva spesso lasciato in balia della madre, Rose, che faceva la casalinga. Al piccolo Ian è sempre piaciuto contemplare il potere del proprio cervello. Quel momento in Espiazione quando Briony piega il dito e si chiede fino a che punto l’intenzione si traduce effettivamente in azione è qualcosa molto legato alla mia infanzia. […]
I genitori di McEwan, che avevano lasciato la scuola all’età di 14 anni, nutrivano pochi interessi letterari ma lo scrittore ha affermato che è mia madre che ha dato vita allo scrittore che è in me. Lei era una grande lottatrice e questo richiede immaginazione. Era una di quelle che temeva sempre di aver lasciato il ferro da stiro acceso. In un saggio dallo stile delicato, “Mother Tongue”, McEwan ha descritto l’intensa ansietà intellettuale di Rose. Con un senso di vergogna per il suo accento da classe operaia, di fronte alle donne di alto rango parlava con una lentezza assurda, facendo uso della lingua inglese come di qualcosa che potesse esploderle in faccia, come una bomba.
Il padre di McEwan era autoritario e lunatico, ma voleva bene ed era fiero di suo figlio Ian; andavano inseme alla ricerca di scorpioni nel deserto con un barattolo di marmellata e si davano alla pazza gioia nuotando nel Mediterraneo. Di solito stavo sulle sue spalle, che erano scivolose a causa della brillantina che l’acqua del mare lavava dai suoi capelli. […]
McEwan era un ragazzo timido ma un lettore vorace. Inizialmente gli piacevano i gialli di Agatha Christie e qualche borioso blockbuster, come “L’ammutinamento del Caine”, ma è salito di livello con Graham Greene e Iris Murdoch. Imbarazzato dai modi di conversare di sua madre, aveva incaricato un amico di correggerlo quando diceva cose come Ce l’ho fatto (I done it nell’articolo originale, ndr). La sua timidezza veniva compensata da una mente audace. […]
È entrato all’università (del Sussex, ndr) nel 1997 e all’ultimo anno era arrivato a coltivare due nuove passioni: Freud e la scrittura di racconti brevi. Dopo la laurea si è iscritto a un corso di specializzazione in letterature comparate all’Università di East Anglia, dove gli era richiesto di scrivere storie per potersi laureare.
Fin dai primi componimenti la sua prosa presentava una disciplina snervante. Le descrizioni erano dettagliate, nessun gioco di parole o tortuosa metafora; le frasi erano di uno stile affilato. […] Nel saggio “Mother Tongue”, McEwan ha spiegato che questo tipo di prosa chirurgica era, in parte, un prodotto della sua ansia sociale. Componevo senza una penna in mano, formulando una frase nella mia testa, spesso perdendone l’inizio nel momento in cui la frase terminava, e soltanto nel momento in cui ero sicuro che potesse funzionare la mettevo su carta. Per poi fissarla con sospetto. Era proprio quello che intendevo dire? Conteneva per caso qualche errore o doppio senso che non ero in grado di vedere? Mi stavo rendendo ridicolo?.
McEwan tra perversione, normalità, scienza e spiritualismo
Le frasi di McEwan sono ipercontrollate, non si può dire altrettanto dei temi affrontati (nei primi racconti e romanzi, ndr), che sono piuttosto scabrosi. […] Il tema dell’incesto è presente ne “Il giardino di cemento” (1978), una lugubre fantasia di abbandono, nella quale dei ragazzini diventano apatici a seguito della perdita di entrambi i genitori. […] McEwan mi ha detto che con i suoi esprimenti giovanili tentava di scioccare le persone. Il suo, però, era un tono di disconoscimento. Iniziavo a sentirmi relegato in un angolo. Da adulto, il pessimismo incauto delle mie prime composizioni mi disertava.
Il cambiamento nelle sue opere non è stato però così estremo come si possa pensare. L’interesse di McEwan è sempre stato puramente psicologico e, come molti scienziati della sua generazione, aveva semplicemente dirottato altrove la sua lealtà intellettuale. Se prima studiava la perversione, oggi si dà alla normalità. Se il suo dio prima era Freud, oggi è Darwin. […]
In un’intervista del 1992, McEwan ha dichiarato: ho sempre nutrito un grande amore per la scienza, ma ancora non riesco a convincermi che si possa spiegare tutto razionalmente. Tuttavia, la mia dimensione spirituale è talmente allo sbando, che tutto quello che posso dire è che è data da un’insoddisfazione vaga, una sensazione che proviene dal fatto che il mondo materiale e visibile non è completamente quello che sembra. […]
McEwan ha rivelato di non essere mai frettoloso nel passare dalla bozza alla stesura del romanzo: Devi proprio sentire che non si tratta di una semplice idea. Deve esistere dentro di te. Sono molto restio a iniziare qualcosa senza prima lasciare che i sentimenti vengano fuori. Sono molto bravo a non scrivere. Alcune persone riescono a raggiungere le 500 parole al giorno, per sei giorni a settimana. Io, invece, sono uno che esita.