Ci sono due modi per far conoscere la storia: recuperarne le tracce e farsela raccontare. Viola Ardone nel suo romanzo Il Treno dei Bambini riesce alla perfezione in questa operazione, portando alla luce una storia di cronaca dimenticata da tutti, tranne che da chi l’ha vissuta.

Siamo a Napoli, anno 1946. Il PCI e l’UDI (Unione delle Donne Italiane) organizzano l’iniziativa nota come “treni della felicità”. Circa 70.000 bambini di famiglie povere del Sud vengono affidati temporaneamente a famiglie del Nord Italia per permettere loro di procurarsi cibo, istruzione adeguata e sperare in un futuro migliore. Su quei vagoni salgono non giovani ventenni o trentenni disoccupati, ma bambini di tre, otto anni ed è uno di loro, Amerigo, personaggio inventato, a raccontarci la sua storia in quest’Italia del dopoguerra.

«Mia mamma avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri spagnoli mia mamma cammina veloce: ogni passo suo, due miei […]. Dove stiamo andando non lo so, dice che è per il mio bene»

Antonietta, la madre di Amerigo, procede avanti a lui e non al suo fianco o tenendolo per mano. Così ha inizio il romanzo, tra le strade di una Napoli affamata e affannata, mentre Amerigo e Antonietta fanno visita a Maddalena Criscuolo, rappresentante politica cui spetterà il compito di organizzare il viaggio dei bambini. Durante tutto il dialogo nessuna delle donne spiega esplicitamente dove andrà Amerigo che, spaventato dalle chiacchiere di quartiere sul futuro suo e degli altri bambini, si lancia in ipotesi e congetture da aneddoti storici.

«La suora dice che[…] quelle comuniste invece vogliono che partiamo col treno per andare in Russia, dove ci tagliano le mani e i piedi e non ci fanno tornare più. Mia mamma non risponde. […] Io allora chiedo: Ma tu veramente mi vuoi mandare in Russia?»

Riga dopo riga Amerigo nella sua innocenza e credulità mi ha strappato più di un sorriso, perché riesce a dare voce ai suoi pensieri senza farne un dramma. In fondo le sue paure sono quelle di tutti: perdere la propria terra, la famiglia, gli affetti più cari.

Al momento della partenza i bambini sono meravigliati da quelle attività quotidiane che per noi oggi sono la normalità: una doccia calda, gli abiti nuovi, i cappotti e anche dal treno stesso. Qui, a parer mio, c’è la scena più bella di tutto il romanzo perché chi parte deve pensare anche a chi resta, come spiega Tommasino, amico di Amerigo, mentre dai finestrini i bambini salutano i genitori lanciando i loro cappotti nuovi

«Questo era il patto: i bambini che partono lasciano i cappotti ai fratelli che restano, perché nell’Alta Italia l’inverno è freddo, ma pure qua non è che fa caldo»

La parola solidarietà trova la sua forza in questa scena e in tutto il resto della storia, persino lì a Modena dove Amerigo troverà la sua famiglia affidataria e Derna, la madre adottiva ben diversa da Antonietta.

«I suoi passi non sono veloci come quelli di mia mamma Antonietta. Lei non mi lascia indietro».

Amerigo giorno dopo giorno scopre un’altra vita, fatta di tavole abbondanti, calori familiari, possibilità come quella di un regalo speciale che cambierà la sua vita: un violino. L’affido, però, è temporaneo e il ritorno a Napoli segnerà un confine tra una vita imposta dal destino e l’avere un’altra possibilità, Amerigo lo fa intendere bene «Oramai siamo spezzati in due metà».

Durante tutta la lettura il protagonista è cresciuto davanti a me fino a diventare adulto.

Ho fatto fatica a comprendere i modi e l’autorità della madre Antonietta all’inizio del libro, ma è stata la stessa autrice a richiamarmi in qualche modo, con la parola coraggio associata più e più volte a questa donna. Il Treno dei Bambini, infatti, è una storia di coraggio: quello di una madre sola che lavora per “campare” se stessa, Amerigo e firma un documento per far partire suo figlio verso una destinazione ignota, quello di Amerigo che, a soli 8 anni, non si volta indietro e non accetta le regole di quella Napoli dopo aver visto che lui un’altra possibilità può averla, anche rinunciando all’amore di sua madre, senza dimenticare, però, le sue origini.

Il Nord e il Sud Italia si incontrano e si sostengono senza pregiudizi in queste pagine, gli expat si muovono dentro i confini nazionali, Napoli è bella, dolorosa e sincera attraverso il dialetto dei protagonisti così come il Nord preciso e sintetico. È una storia che merita di essere conosciuta e apprezzata, perché può ancora insegnarci tanto sulla dignità e la solidarietà che non hanno tempo.

Autore: Viola Ardone
Titolo: Il Treno dei Bambini
Editore: Einaudi
Anno: 2019