Mi sono lungamente interrogato sull’opportunità di recensire un’opera che affronta il tema, terribilmente attuale, del terrorismo di matrice islamica. “La gente è già sufficientemente assuefatta e spaventata in merito all’argomento, non c’è bisogno di gettare ulteriore benzina sul fuoco del panico” mi sono detto. Ma, come spesso accade in momenti di incertezza, mi sono appigliato a qualcosa di apparentemente banale, quale unico elemento che ha determinato una scelta: semplicemente, una coincidenza. Questo libro mi è stato infatti recapitato lo scorso 22 marzo, giorno dell’attentato di Bruxelles. “Forse non ha senso girare la testa dall’altra parte dinnanzi a un pericolo che riguarda la società intera” ho pensato.

È nata così la recensione del libro dello scrittore algerino Mohammed Moulessehoul, ex militare, testimone diretto della guerra civile che devastò il suo paese e del ruolo esiziale che il fondamentalismo ebbe in essa. Un punto di vista indubbiamente scomodo che lo ha costretto per motivi di censura ad utilizzare lo pseudonimo femminile di Yasmina Khadra.

“L’attentatrice”, dopo essere uscito in Francia nel 2005, paese dove l’autore si è auto-esiliato, e in Italia nel 2006 con Mondadori, è nuovamente nelle librerie italiane edito da Sellerio con il titolo “L’attentato”. Scelta opportuna, vivendo un’epoca presente nel corso della quale non è remoto il rischio che la vecchia Europa somigli sempre più ad un vasto e sanguinolento Israele…

Proprio in Israele è ambientato il libro. E nemmeno il suo protagonista ha potuto girare la testa dall’altra parte…

Il dottor Amin Jaafari è toccato in profondità dalla tragicità del fenomeno del terrorismo a causa del suo doppio ruolo: di chirurgo obbligato a fare gli straordinari per ricucire i corpi dilaniati da un’esplosione avvenuta in un bar di Tel Aviv, con l’obiettivo di salvare più vite possibili; di marito della kamikaze che nello stesso bar si è fatta saltare per aria annientando all’istante, fra i numerosi presenti, un’intera scolaresca.

Amin è distrutto, sotto choc, ma soprattutto incredulo; è toccata proprio a lui, arabo naturalizzato israeliano, fervido esempio di integrazione, figlio di beduini che, autentico self-made man mediorientale, è riuscito ad entrare nell’élite ospedaliera di quello che considera a tutti gli effetti il suo paese, con l’ovvia sequela di fama e di denaro. È lui che ha sposato Sihem, donna affascinante, perbene, riflessiva, da cui non ha avuto figli, che sembrava pendere dalle labbra del marito da quanto era felice. Invece…

Mentre la polizia inizia a sospettare di un suo possibile collaborazionismo, Amin sente il bisogno di comprendere le motivazioni che hanno condotto, a sua insaputa, la moglie alla militanza per la causa palestinese fino al gesto più estremo, di sapere chi e che cosa l’ha ispirata.

Alternando una sorprendente lucidità a stati di isteria tipici del coniuge tradito, perché la moglie ha preferito i terroristi a lui, incomincia il suo viaggio, a rischio (letteralmente) della vita, nei luoghi dove l’Islam, mischiato alla miseria e alla frustrazione per una patria occupata da invasori infedeli, diventa integralismo. Finendo per inimicarsi anche gli arabi, che lo accusano di essere una spia israeliana.

Ne viene fuori un quadro, per nulla rassicurante, anche in riferimento all’oggi, in cui le fazioni in lotta si rivelano in tutta l’incommensurabilità delle loro rispettive posizioni, quasi fossero una il negativo dell’altra.

Ma l’autore spinge ugualmente il suo protagonista, e di conseguenza anche il lettore, a separare con una netta cesura il bene dal male e a schierarsi senza timore dalla parte del bene. Ossia dalla parte di Amin che, non scegliendo di uccidere bensì di salvare, non esita a dichiarare:

“quello che per te è un nemico, per me è un paziente. (…) Voglio solo vivere la mia vita senza essere costretto a rubarla agli altri. Non credo alle profezie che privilegiano il supplizio a danno del buonsenso. Sono venuto al mondo nudo, lo lascerò nudo; quel che possiedo non mi appartiene. Non più della vita degli altri. Le disgrazie degli uomini nascono da questo malinteso: quel che Dio ti presta, devi saperlo restituire. Niente sulla Terra ti appartiene davvero. Né la patria di cui parli né la tomba in cui tornerai polvere fra la polvere.”

Del male è doveroso individuarne le cause, scandagliarlo, analizzarlo in profondità ma giustificarlo mai. Né tanto meno accettarlo.

Il contatto di Amin con ambienti fondamentalisti rappresenta anche l’occasione di un ritorno alle sue origini tribali, nel ricordo del padre, pittore déraciné e quindi inviso al suo stesso clan, in un mondo chiuso fatto di pastori e di contadini, che educava il figlio dicendogli:

“chi ti racconta che esiste una sinfonia più bella del respiro che ti anima, mente. Odia quanto hai di meglio: la possibilità di approfittare di ogni istante della tua vita. Se parti dal principio che il tuo peggior nemico è colui che tenta di seminare l’odio nel tuo cuore, avrai conosciuto metà della felicità. Il resto ti basterà tendere la mano per raccoglierlo. Ricorda: non c’è niente, assolutamente niente, che valga la tua vita… E la tua vita non vale quella degli altri.”.

Che dire insomma? Un libro da leggere (e con un finale emblematico), che tratta anche tematiche quali l’incomunicabilità nella coppia, il valore della famiglia e dell’amicizia. Anche se le mani del lettore possono fremere sulle pagine, per il sangue versato. E per la rabbia. Un’opera che fornisce qualche speranza per il futuro, anche se permane un velo di pessimismo dell’autore sull’uomo, in ogni epoca storica impegnato in qualche guerra:

“ognuno paralizzato nel proprio silenzio, contempliamo (…) l’orizzonte che l’aurora accende di mille fuochi, certi che il giorno che sorge, come quelli che l’hanno preceduto, non saprà illuminare a sufficienza il cuore degli uomini.”.

Autore: Yasmina Khadra
Titolo: L’attentato
Titolo originale: Titolo
Editore: Sellerio
Anno: 2016