Un attore fallito, un teatro, delle lettere indirizzate a una madre che mai leggerà e loro: spaventosi e abietti rettili mutanti che infestano il mondo. Sono questi i protagonisti di “Terrarium”, il geniale romanzo di Giorgio Manacorda per i tipi di Voland Edizioni.
Un attacco hacker ha mandato in tilt tutte le comunicazioni e ha sfasciato il mondo virtuale. Da lì è iniziato tutto: la decadenza dell’umanità sotto l’incalzante conquista da parte di anfibi ripugnanti, salamandre, vipere e ramarri mutanti e carnivori, arginati solo dalle barriere elettrificate innalzate sulle coste e dalle scorpacciate dei falchi che svolazzano attenti dalle altezze dei palazzi.
Il cielo è giallo, l’acqua è nera. L’inquinamento o forse una tempesta solare ha soverchiato l’ordine cromatico e ha modificato tutto l’esistente. «È la fine della profondità, tutto è piatto e sghimbescio. La luce taglia, spezza, allunga e accorcia, avvita e srotola, ed è scomparso il pieno sole».
Di fronte a un arcobaleno che ha solo i colori dell’ocra e del marrone tutti piangono. «È come se ci strappasse dagli occhi l’allegria della nostra infanzia».
Sì, perché “Terrarium” è solo apparentemente un romanzo distopico. L’autore si serve di un mondo esteriore e umano destinato a soccombere per raccontare un mondo interiore avviato allo stesso destino. Se fuori cede l’umanità, dentro cede l’infanzia di fronte a un cordone ombelicale che deve pur essere spezzato.
E così il protagonista del libro scrive una lunga serie di lettere alla madre scomparsa, lettere che la madre non leggerà più, lettere di odio e di amore, lettere di un figlio infelice e frustrato a una madre che fu possessiva, morbosa ma fredda, indifferente, forse inerme, innanzi ai tradimenti del marito.
«Tu mi hai preso in tuo possesso molto tempo fa. Mi hai espulso e subito risucchiato, mi hai gettato nel mondo e ritirato, mi hai lasciato andare tirando il guinzaglio, e soffocavo come un cane. Un cucciolo per tutta la vita. Non hai mai rinunciato a me, e adesso che sei morta non mi posso più difendere. Posso solo amarti. Non ho bisogno di andare al cimitero. Io ti piango tutti i giorni mentre piango me stesso».
Non è un caso che nel teatro che un tempo fu del padre, l’ultimo baluardo di civiltà a cui il protagonista e pochi altri attori si aggrappano come a un ultimo soffio di vita, si stiano svolgendo le prove per la messa in scena della tragedia di Edipo Re, l’amore di un figlio per la madre, nonostante tutto.
Ed è quando cala il sipario sulla prima di questo ultimo spettacolo che si consuma tutto. «Piango anche io, piangono sul palcoscenico e piangono in platea. Mi calmo, riprendo fiato, e concludo: “Gente di Tebe, nostra patria, guardate: questa è la storia di Edipo. La nostra storia».
Quello di Manacorda è un romanzo potente e geniale. È troppo poco definirlo un libro di fantascienza o un romanzo distopico. Affonda nel lettore pugni nello stomaco emotivi, esplorando uno dei rapporti più complessi e viscerali dell’essere umano: quello con la madre. La potenza espressiva è bilanciata da una scrittura gentile, delicata, da periodi brevi, racconti scorrevoli, ma profondi, mai banali. Come non banale è il finale: del tutto inaspettato. Sorprendente. Tanto più potente, quanto coerente, in definitiva accettabile.
Autore: Giorgio Manacorda
Titolo: Terrarium
Editore: Voland
Anno: 2015