Marcello Di Muzio è un imprenditore e un ricercatore, da oltre trent’anni studia le discipline introspettive e spirituali tradizionali e antiche ed è esperto della psicologia dell’io. Abbiamo letto di recente il suo libro “Il potere della coscienza” (qui la recensione) e abbiamo voluto fargli qualche domanda di approfondimento.

Nel tuo libro descrivi accuratamente il rapporto tra Io e Coscienza. Perché è così importante conoscerlo?

Perché noi, interiormente, siamo realmente formati da entrambi. Cercherò qui di non entrare molto nel dettaglio – con l’invito al lettore ad approfondire l’interessante argomento sul libro – anche per non svelare al lettore il colpevole. Scherzi a parte, con coscienza non voglio alludere solamente ad un senso morale o religioso, ma principalmente mi riferisco al nucleo di ogni essere, alla vera essenza, al fulcro su cui fanno leva e confluiscono le nostre esperienze. La coscienza è la nostra vera ricchezza interiore, è qualcosa che esiste realmente dentro di noi – in quantità e qualità – e che ci caratterizza nei nostri comportamenti e nelle reazioni.

All’opposto vi è l’io, il nostro ego nel senso più ampio, che agisce solo quando ottiene un beneficio diretto, quando sa di guadagnare un tornaconto personale. Perché l’io, diciamoci la verità, fa tutto in funzione di se stesso: ama ciò che gli dà soddisfazione, desidera ciò che può assecondare la sua espansione e il suo vanto, sempre abile nel giustificare le sue debolezze, risoluto nel portare la ragione dalla sua parte, e incauto quanto basta da non rendersi conto che le relazioni con gli altri spesso diventano un continuo conflitto fra io ed io.

Però, vedi, il nostro io non va combattuto, ma va compreso e lentamente superato: perché l’io è comunque quell’indispensabile motore interiore che ci spinge ad agire, che ci induce nelle scelte di ogni giorno, che ci consente di vivere e di reagire.

Senza il desiderio di espansione che accompagna l’io, senza lo sforzo di apparire, senza le spinte di desideri e stimoli alla ricerca della felicità o di una migliore collocazione nel mondo, senza il bisogno di sperimentare, l’ambizione di possedere e il vanto di apparire migliore nelle sue più sfumate sfaccettature, l’individuo non recepirebbe le spinte necessarie ad agire nelle direzioni a lui necessarie per comprendere e rapportarsi alla pari con le altre persone, e non avrebbe alcuna concreta possibilità di sviluppare e raffinare lentamente la pazienza, la tolleranza, l’amore e così via. Senza l’io, l’individuo non solo non vivrebbe quelle esperienze necessarie al suo progredire interiore, ma non vivrebbe affatto.

Una “maggiore consapevolezza” sembra essere la chiave del benessere interiore. Ma tu parli anche di comprensione. Che differenza c’è?

La consapevolezza è, senza ombra di dubbio, il passo più importante in qualsiasi percorso interiore. Con la consapevolezza l’individuo acquisisce lentamente la conoscenza dei vari moti interiori che smuovono il proprio io, costringendolo prima o poi a piegarsi davanti all’evidenza che quel particolare difetto, additato prima solo negli altri, non gli è intimamente estraneo ma, anzi, fa parte anche del suo carattere. La fase della consapevolezza è, difatti, quella più tormentata e anche la più lunga da attraversare. L’io, in questa fase, inizia gradualmente a perdere colpi, a sfaldarsi e ricomporsi trovando i suoi nuovi equilibri in forme meno presenti, ma sempre egocentriche.

Il discorso si complica allorché giungiamo all’atto finale, al percorso conclusivo del ciclo di maturazione interiore: alla comprensione. È con la comprensione che l’individuo diventa realmente più maturo interiormente. Il tempo, le ripetute esperienze ma anche il lavoro su se stessi nell’osservarsi lo fanno cambiare in meglio, permettendogli finalmente di superare quella parte dell’io che prima lo limitava e lo appesantiva in alcuni tratti nel carattere.

Prendiamo, ad esempio, un individuo permaloso e irritabile, e per questo di facile offesa e di pronta reazione emotiva. Poniamo che il ripetersi degli eventi lo abbia palesemente reso consapevole di questo aspetto non piacevole del suo carattere. Egli si rende conto di essere suscettibile alla facile offesa e si vede reagire in modo sgradevole di fronte agli altri.

Ma l’essere divenuto consapevole non vuol dire che egli abbia già superato il suo problema. Ben più facilmente, invece, pur riconoscendo in lui quel difetto, cercherà mille scusanti, additando la colpa della sua reazione ora alla provocazione di chi ha di fronte, ora allo stress della giornata pesante. Il problema c’è e lui intimamente è consapevole di avere quel difetto, ma la colpa è sempre esterna.

Lavorare per la comprensione è tutt’altra cosa: significa impegnarsi attivamente nel processo del ben noto “conosci te stesso”, che io cerco di descrivere nel libro con esempi, indicazioni, dettagli e procedure. Così facendo l’individuo riesce, gradualmente, a modificare il suo intimo, permettendo di volta in volta di poter manifestare un controllo sempre maggiore nella sua reazione emotiva.

In sintesi, non è sufficiente la semplice consapevolezza a permetterci la tanto sperata crescita interiore, se non lavoriamo attivamente anche verso la comprensione. Sembra solo una questione di termini usati, ma ti assicuro che la differenza, all’atto pratico, è enorme.

Come possiamo dedicarci alla nostra crescita interiore oggigiorno? Dobbiamo ritirarci forse in un eremo?

Assolutamente no. Avere una vita interiore o essere interiormente ricchi non significa vivere staccati dalla realtà, non vuol dire isolarci dal mondo e dagli altri, non significa ritirarci nella solitudine di un eremo, attendendo invano l’ora dell’illuminazione. Così facendo, ci priveremmo dei necessari stimoli per confrontarci e per crescere. La vita, gli altri, la quotidianità, sono tutti lo specchio su cui si riflette e si forgia il nostro valore interiore. Senza questa ondata continua di stimoli, di emozioni, di esperienze che solo una vita pienamente vissuta può dare, noi non cresceremmo di un sol passo interiormente. Il nostro obiettivo dev’essere sviluppare le nostre qualità interiori così da poter vivere la stessa vita di prima ma con più pienezza, con quella consapevolezza che ci permette di riconoscere e sottrarci da tutte quelle credenze e da quei meccanismi abitudinari che non fanno più parte di noi.

Noi non viviamo isolati in cima ad una montagna. La crescita personale non ha bisogno di ritirarsi dal mondo, dal proprio luogo o dal ruolo sociale svolto, per trovare un reale giovamento. Viviamo in una società in continuo rapporto con gli altri, proprio perché questa è la modalità migliore per acquisire evoluzione. Vivere isolati non è la strada più rapida per sviluppare la comprensione di se stessi, in quanto l’isolamento priva l’interiorità proprio di quegli stimoli che fanno da specchio per arrivare alla giusta comprensione. Per migliorarci non dobbiamo spostarci di un solo centimetro dal luogo in cui siamo ora. Dobbiamo solamente allenarci ad una nuova volontà: l’abitudine ad osservarci e riflettere sui meccanismi che muovono i nostri gesti quotidiani. A casa, sul posto di lavoro, con gli amici, con la famiglia o da soli: questa è la nuova abitudine che deve seguirci sempre e ovunque. Strano a dirsi, ma rendersi consapevoli di se stessi è solo una questione di abitudine.

Il percorso per l’evoluzione interiore ha una fine? Secondo te, c’è un momento in cui ci si può dire arrivati?

Non spetta a me dire quando l’evoluzione interiore di ognuno avrà la sua fine, ma credo di poter affermare, senza ombra di smentita, che fino a quando siamo sulla Terra a fare le nostre belle esperienze di vita, evidentemente qualcosa dobbiamo necessariamente ancora apprendere nel nostro percorso. Non mi sono mai sentito un arrivato e, quando mi è consentito, consiglio sempre di diffidare da chi si ritiene un maestro arrivato. Vedi, io credo che la “sindrome dell’arrivato” sia quell’atteggiamento, del tutto esteriore, che colpisce chi ha un ego ancora troppo smisurato. È l’ennesimo vanto dell’io che vuole sfruttare l’occasione per far vedere agli altri quanto si è innalzato spiritualmente, per apparire a se stessi e agli altri “illuminato”. Purtroppo no: la conoscenza interiore è una procedura lenta, umile e graduale.

Nel tuo libro ti rivolgi all’individuo. Quando è una società intera a essere fondata sull’egocentrismo, come può, secondo te, maturare una coscienza collettiva?

La nostra società, come qualsiasi altra società esistita fino ad ora, è fondata inevitabilmente sull’egocentrismo presente in tutti i suoi componenti. Nuovi equilibri si creano in continuazione tramite il continuo confronto – per non dire il continuo scontro – tra io ed io, tra il nostro ego e quello degli altri.

Tieni sempre presente che è l’egocentrismo degli uomini che ha sviluppato intere società, che ha spinto a edificare imperi ed espandere civiltà. È l’io che spinge l’uomo a ingegnarsi per ottenere l’oggetto del suo desiderio, che ha creato magie tecnologiche permettendo lo sviluppo di civiltà maestose, ma che al tempo stesso ha permesso che le scoperte della scienza venissero usate contro i suoi simili. L’io – da cui l’egocentrismo ne è il suo derivato – è sempre esistito come necessità evolutiva.

Per quale motivo però proprio in questo periodo storico sentiamo da più parti che occorre conoscersi dentro se vogliamo davvero migliorare la propria vita? Il motivo è semplice. Quando la società arriva ad una certa evoluzione, l’io egocentrico della maggior parte delle persone non si manifesta più in maniera evidente e con atteggiamenti egoistici palesi e vistosi, ma tende a nascondersi dietro comportamenti più fini, dietro una morale altruistica spesso solo di facciata. L’individuo di oggi vive un egoismo sfumato, sottile, spesso quali impalpabile. È un egoismo raffinato, che nasconde il suo egocentrismo sottile dietro le apparenze e le abitudini della società. È un io di cui spesso oggi non si devono scoprire le bugie palesi o i grossi atti negativi, bensì le piccole sfumature egoistiche.

In queste situazioni, diventa assai difficile per l’individuo non consapevole identificare dove si nasconde la mano del suo io. Senza la necessaria attenzione, l’individuo che vuole capire qualcosa di se stesso e non procede nella giusta maniera, rischia di fare un passo avanti e qualche altro passo indietro nella conoscenza di sé.

Cosa succede? Che a questo punto della nostra evoluzione interiore, il nostro io è così subdolo e sottile che diviene alquanto difficile scorgere dove finisce l’annullamento del nostro io e dove comincia la sua esaltazione, come abbiamo visto ad esempio nella “sindrome dell’arrivato”.

Ci giochiamo molto del nostro futuro nell’età evolutiva. C’è qualche nuova materia che introdurresti nelle scuole? Che consigli daresti ai genitori che vogliono crescere un figlio felice?

Senza ombra di dubbio introdurrei nelle scuole una materia che aiuti a sviluppare la parte più interiore di ognuno, che esalti la propria sensibilità, che sviluppi la comprensione di se stessi. E non intendo da punto di vista religioso o morale, ma dal punto di vista pratico di una nuova psicologia dell’interiore, volta a conoscersi realmente per quello che siamo e per quel vero valore interiore che ci rende unici.

In merito alla felicità dei figli, più che dare un consiglio ai genitori, vorrei portarvi con un piccolo viaggio di fantasia ad immaginare come sarà la famiglia del futuro. Senza ombra di dubbio i figli costituiranno l’interesse predominante della famiglia del futuro, in cui entrambi i genitori, di comune e sereno accordo, cercheranno di accantonare ogni eventuale piccola difficoltà di relazione fra loro, facendola passare in secondo piano proprio per la felicità ed il bene dei figli. Nella famiglia del futuro, sarà chiaro ad entrambi i genitori che i figli avranno il diritto prioritario di crescere in un ambiente di pace, di armonia e di affetto. Il non nuocere all’altro, sia esso compagno o figlio, sarà l’attenzione maggiore che ognuno avrà, il proposito più sentito di chi avrà scelto di vivere in compagnia. Attorno ai figli, quindi, e non alla coppia, graviterà la futura famiglia.

Tutto ciò non significherà tuttavia essere dei genitori permissivi; l’educazione sarà massimamente comprensiva dei problemi personali dei ragazzi ma al tempo stesso si saprà che la forza del carattere e la volontà si sviluppano non certo togliendo ogni preoccupazione e dando tutto quello che è desiderato al figlio, ma al contrario facendo risolvere a ciascuno i propri problemi, facendogli pagare il prezzo della conquista dell’oggetto desiderato. Perché è vero che amare significa comprendere, ma comprendere non significa assecondare tutti i capricci dell’amato; perciò significa anche saper dire di no; significa dare loro una certa autonomia ma non abbandonarli a loro stessi.

E qua torna utile citare le parole di un vecchio saggio: “Se dare ai figli la sicurezza economica significa renderli insensibili al bisogno degli altri; se dar loro facilmente tutto quello che desiderano significa renderli incapaci di godere delle piccole cose o, peggio ancora, di gioire della vita; se togliere loro ogni preoccupazione significa convincerli che tutto è a loro dovuto; se metterli al centro dell’attenzione significa far loro valorizzare se stessi oltre misura, cioè accentuare l’egoismo; allora adoperatevi affinché i vostri figli conoscano e affrontino le difficoltà della vita in prima persona”.

Sta ora a noi, genitori del presente, operare la nostra intima trasformazione, la quale, realizzata, è la sola vera rivoluzione capace di mutare il futuro della società nella quale viviamo.

Chi ha ispirato il tuo interesse per il mondo interiore? Chi sono i tuoi “maestri”?

Non vi è stato un momento particolare nella mia vita in cui è scattato l’interesse per il mondo interiore. Ho nutrito questo interesse veramente da sempre, in forma sempre più crescente. Sin dalla prima adolescenza mi ritrovavo a fare riflessioni sull’esistenza, come capita un po’ a tutti in giovane età, ma le mie domande tendevano spesso ad un approfondimento che non trovava alcuna risposta convincente in ciò che mi circondava.

Moltissimi sono stati i miei maestri, tanti quanti sono stati i libri che ho avuto la fortuna di leggere. Ma il maestro per eccellenza, mi preme dirlo, è insostituibilmente la vita, con tutte le esperienze belle e brutte che immancabilmente ti forgiano. Potrebbe sembrare la solita frase ad effetto, ma è la pura verità.

Qual è il tuo libro sul comodino? Cosa stai leggendo in questo periodo?

Vorrei avere un comodino come la tasca di Doraemon, credimi, per poter ospitare tutti i libri che mi hanno permesso di crescere e che torno sempre molto volentieri a sfogliare e rileggere.

In questo momento sto rileggendo alcuni classici della letteratura, ma ogni tanto mi soffermo volentieri anche su letture molto più recenti e attuali. Sono inoltre in procinto di organizzare il materiale e le letture per il mio nuovo libro, ma qui mi fermo: non vorrei anticipare nulla, neanche a me stesso.

Ti ringrazio per l’intervista e per le interessanti domande che mi hai posto; colgo l’occasione per salutare tutti i lettori, e a presto.